RACCONTI
Marco Amerighi
Il convegno
Mi dissero che sarei dovuto partire la settima seguente per U. Mi era stato chiesto di partecipare ad un convegno sul Libro Antico. Un corso di otto ore al giorno su sistemi di catalogazione, schedatura e ricostruzioni dei primi testi a stampa che celebrava quell'anno la sua seconda edizione. Il fatto che io studiassi letteratura contemporanea, e che non avessi idea di cosa fosse un incunabolo, né a cosa servisse la filigrana, mi fece pensare che fosse una specie di punizione. All'altezza della gola mi si formò un nodo. Mi osservai allo specchio ma per non correre rischi presi un paio di pillole e mi feci un caffè. Mi ricordai – o immaginai – che quell'anno non mi ero presentato ad un seminario sugli ipertesti, e che un'altra volta ero scappato a cercare un fiore per la ragazza con cui mi vedevo allora, invece di seguire una lezione sulle riscritture della Medea di Euripide. Le comprai un girasole meraviglioso ma lei disse che avrebbe dovuto pensarci su perché la situazione era difficile. Pensai subito che Carlo in quel periodo mi avrebbe accompagnato volentieri. "Puoi venire a qualche lezione o fare un giro in città, non so. Poi la sera usciamo." Grazie a dio lui non è il tipo che ci pensa su.
Del resto l'ultima volta che eravamo partiti assieme aveva conosciuto Barbara, una ragazzona dai capelli rossoviola che passava metà anno alle Canarie a fare surf e con cui si vedeva ancora ogni tanto quando veniva a trovarmi in dipartimento o alla clinica, di sera.
- "Ma figa ce n'è, dottore?" mi chiese spalancando gli occhi come faceva sempre, come se mi stesse leggendo nella mente.
Partimmo da S. la domenica pomeriggio. Mio fratello mi lasciò la macchina in una inquietante mancanza di polemiche e silenzi. Del resto ci sono persone che la domenica non vogliono fare assolutamente niente, neppure mettersi a discutere. Guidai io tutto il tempo, con la sensazione di aver dimenticato qualcosa, mentre il mio accompagnatore si dedicava a scegliere la musica e a immaginare le nostre conquiste. Non mi dispiaceva che lui si accendesse una sigaretta di tanto in tanto. Il fumo che attraversava l'abitacolo mi faceva stringere gli occhi e concentrarmi sulla strada, mentre in quella calma avevo preso a ripassare degli appunti su cui stavo lavorando. Avevo promesso di concludere un saggio per il mese successivo sul ruolo degli animali nel teatro aulico, per poi lasciarlo al mio tutor e vedere che succedeva. Lui sa sempre tutto. Chissà se conosce l'incredibile varietà di animali di piccola e media taglia che si usavano in quelle rappresentazioni.
Arrivammo ad U. nel tardo pomeriggio. La signora da cui avevo prenotato una stanza mi aveva chiamato per lo meno cinque volte durante il viaggio. Avrei voluto non rispondere ma Carlo mi convinceva a comportarmi come si deve.
"Magari è una mamma giovane", ripeteva in una specie di estasi da hare-krsna. Trovammo quasi subito l'appartamento che rimaneva leggermente fuori città, sotto il bastione centrale delle mura. La signora che ci accolse era una donna di una bellezza rassicurante. Niente della supermamma in cui sperava Carlo, ma potevamo ritenerci soddisfatti lo stesso. Anche l'appartamento non era niente male. La stanza era stata ricavata da un vecchio garage, rimesso a nuovo. Aveva un vano cucina, un tavolino, due letti divisi da un separè di bambù e un bagno. Mancavano ancora due ore prima della conferenza inaugurale. Ci facemmo una doccia, fumammo e andammo a mangiare in un ristorante convenzionato.
Accanto a noi c'era una coppia di signori anziani e ben vestiti. Pensai subito che quell'eleganza era inopportuna per un posto del genere. "Magari sono due lords caduti in rovina a cui hanno confiscato tutto, tranne quei vestiti". Lui aveva un monocolo che sosteneva tra lo zigomo e il ciglio destro e un vistoso tupè che portava senza imbarazzo nonostante il parrucchino luccicasse come una porcellana sotto il lampadario, acquistando delle tonalità verde scuro. La signora che lo accompagnava, seppure facesse molto caldo nel locale, non si era tolta la pelliccia e seduta al tavolo sembrava una grosso castoro con in mano forchetta e coltello.
Carlo a fine pasto volle un whisky e io lo accontentai. Speravo forse che mi sciogliesse il nodo alla gola che invece di andarsene si era fatto più stretto vedendo mangiare i nostri commensali e adesso mi faceva sudare vistosamente. L'unica cosa che incominciò a sciogliersi invece fu il fondotinta della signora preoccupata però solo dalle sue tagliatelle. All'improvviso la cameriera senza che io dicessi niente mi portò un altro whisky e mi fece l'occhiolino "Vedrà che questo le scaccia tutte le preoccupazioni!" Quel gesto di attenzione da parte di uno sconosciuto mi urtò e Carlo mi lanciò un'occhiataccia.
- "Con te non se ne fa bene una! Non è neppure male, la tipa."
Mi alzai per andare in bagno e passai davanti al tavolo della coppia che mi guardò a lungo mentre gli sfilavo davanti. Cercai l'interruttore del bagno per qualche secondo e non trovandolo mi agitai. Ebbi l'impressione che ci fosse qualcuno o qualcosa con me là dentro. Chiesi se c'era qualcuno e non ottenendo risposta, pensai immediatamente che poteva anche non essere un uomo. Presi allora a cercare il pulsante di plastica su tutta la parete di destra muovendo le mani come un mimo, in alto e in basso. Il resto del corpo era invece qualcosa che non mi apparteneva. Mentre le mani si muovevano sulla parete, il corpo se ne restava immobile senza lasciarmi nell'oscurità neppure la percezione di averlo ancora. Non trovando l'interruttore della luce – che avrebbe riattivato anche il resto del corpo – passai alla parete di sinistra dove mi scontrai con un lavabo di marmo e una superficie fredda e liscia. Quel qualcuno era proprio lì davanti, dietro lo specchio. Per qualche ragione se ne stava lì dietro e mi osservava. Ebbi come l'impressione che fosse entrato anche lui lì per sfuggire a qualcosa e si trovasse lì adesso, proprio come mi ci trovavo io. Aprii il rubinetto dell'acqua calda e pochi istanti dopo mi sembrò di sentire un altro rubinetto aprirsi. Premetti un paio di volte l'erogatore del sapone e di nuovo mi sembrò di sentire lo stesso rumore dall'altra parte. Avrei voluto dire qualcosa, chiedergli chi era e come era finito là anche lui. Poi, sul soffitto si accesero una miriade di piccolissime stelle che si riflettevano sulla parete a specchio. La ragazza che mi aveva servito da bere era affacciata alla porta.
- "Ha trovato quello che cercava?" disse accennando un sorriso compiaciuto.
Il convegno trascorse rapidamente, senza note interessanti come avevo previsto. Non conobbi nessuno di persona, né sentii mai il desiderio di farlo, ad essere sinceri.
Continuai invece a pensare alla coppia di anziani di quel ristorante, fino a che potei, fino a che ne persi il ricordo e le loro facce vennero sostituite dagli animali che affollavano i miei appunti e le mie ricerche. Da quel momento in realtà ogni volta che cenavo fuori un grosso castoro e un tizio con un monocolo e dei capelli scintillanti si sedevano al tavolo accanto al mio. Non nego che col tempo mi abituai a quella presenza che finì persino per diventare una piacevole compagnia. Quando ero con loro succedeva spesso che, mentre ritornavo dal bagno, un cameriere impiccione mi offrisse da bere, adducendo qualche scusa esageratamente fantasiosa.
Non ne ho mai parlato con nessuno ovviamente. Neppure con la psicologa che continuo a vedere il mercoledì su richiesta di mamma, e mi parla del suo capo reparto che dice di amarla e continua a mandare rose, amarillis e girasoli a casa mia per non destare sospetti nelle rispettive metà, dice. In fondo mi dispiace non poterle raccontare tutte le cose che mi succedono. Non parlarle di Carlo, o della coppia di anziani animali, o della mia propensione a fantasticare leggendo i manifesti affissi al muro di fronte alla mia finestra o le pubblicità di località vacanziere sugli opuscoli. Comunque ora non faccio più niente di tutto questo. Lo so che perdevo solo un sacco di tempo mentre quello che devo fare è finire il lavoro sul ruolo degli animali nel teatro aulico e consegnarlo al mio tutor e vedere un po' che succede. Neppure uno come lui immaginerà mai la quantità di animali che ho trovato! Quello che ancora non mi spiego è chi continui a spostare l'interruttore della luce in bagno e perché poi si nasconda dietro lo specchio.
Del resto l'ultima volta che eravamo partiti assieme aveva conosciuto Barbara, una ragazzona dai capelli rossoviola che passava metà anno alle Canarie a fare surf e con cui si vedeva ancora ogni tanto quando veniva a trovarmi in dipartimento o alla clinica, di sera.
- "Ma figa ce n'è, dottore?" mi chiese spalancando gli occhi come faceva sempre, come se mi stesse leggendo nella mente.
Partimmo da S. la domenica pomeriggio. Mio fratello mi lasciò la macchina in una inquietante mancanza di polemiche e silenzi. Del resto ci sono persone che la domenica non vogliono fare assolutamente niente, neppure mettersi a discutere. Guidai io tutto il tempo, con la sensazione di aver dimenticato qualcosa, mentre il mio accompagnatore si dedicava a scegliere la musica e a immaginare le nostre conquiste. Non mi dispiaceva che lui si accendesse una sigaretta di tanto in tanto. Il fumo che attraversava l'abitacolo mi faceva stringere gli occhi e concentrarmi sulla strada, mentre in quella calma avevo preso a ripassare degli appunti su cui stavo lavorando. Avevo promesso di concludere un saggio per il mese successivo sul ruolo degli animali nel teatro aulico, per poi lasciarlo al mio tutor e vedere che succedeva. Lui sa sempre tutto. Chissà se conosce l'incredibile varietà di animali di piccola e media taglia che si usavano in quelle rappresentazioni.
Arrivammo ad U. nel tardo pomeriggio. La signora da cui avevo prenotato una stanza mi aveva chiamato per lo meno cinque volte durante il viaggio. Avrei voluto non rispondere ma Carlo mi convinceva a comportarmi come si deve.
"Magari è una mamma giovane", ripeteva in una specie di estasi da hare-krsna. Trovammo quasi subito l'appartamento che rimaneva leggermente fuori città, sotto il bastione centrale delle mura. La signora che ci accolse era una donna di una bellezza rassicurante. Niente della supermamma in cui sperava Carlo, ma potevamo ritenerci soddisfatti lo stesso. Anche l'appartamento non era niente male. La stanza era stata ricavata da un vecchio garage, rimesso a nuovo. Aveva un vano cucina, un tavolino, due letti divisi da un separè di bambù e un bagno. Mancavano ancora due ore prima della conferenza inaugurale. Ci facemmo una doccia, fumammo e andammo a mangiare in un ristorante convenzionato.
Accanto a noi c'era una coppia di signori anziani e ben vestiti. Pensai subito che quell'eleganza era inopportuna per un posto del genere. "Magari sono due lords caduti in rovina a cui hanno confiscato tutto, tranne quei vestiti". Lui aveva un monocolo che sosteneva tra lo zigomo e il ciglio destro e un vistoso tupè che portava senza imbarazzo nonostante il parrucchino luccicasse come una porcellana sotto il lampadario, acquistando delle tonalità verde scuro. La signora che lo accompagnava, seppure facesse molto caldo nel locale, non si era tolta la pelliccia e seduta al tavolo sembrava una grosso castoro con in mano forchetta e coltello.
Carlo a fine pasto volle un whisky e io lo accontentai. Speravo forse che mi sciogliesse il nodo alla gola che invece di andarsene si era fatto più stretto vedendo mangiare i nostri commensali e adesso mi faceva sudare vistosamente. L'unica cosa che incominciò a sciogliersi invece fu il fondotinta della signora preoccupata però solo dalle sue tagliatelle. All'improvviso la cameriera senza che io dicessi niente mi portò un altro whisky e mi fece l'occhiolino "Vedrà che questo le scaccia tutte le preoccupazioni!" Quel gesto di attenzione da parte di uno sconosciuto mi urtò e Carlo mi lanciò un'occhiataccia.
- "Con te non se ne fa bene una! Non è neppure male, la tipa."
Mi alzai per andare in bagno e passai davanti al tavolo della coppia che mi guardò a lungo mentre gli sfilavo davanti. Cercai l'interruttore del bagno per qualche secondo e non trovandolo mi agitai. Ebbi l'impressione che ci fosse qualcuno o qualcosa con me là dentro. Chiesi se c'era qualcuno e non ottenendo risposta, pensai immediatamente che poteva anche non essere un uomo. Presi allora a cercare il pulsante di plastica su tutta la parete di destra muovendo le mani come un mimo, in alto e in basso. Il resto del corpo era invece qualcosa che non mi apparteneva. Mentre le mani si muovevano sulla parete, il corpo se ne restava immobile senza lasciarmi nell'oscurità neppure la percezione di averlo ancora. Non trovando l'interruttore della luce – che avrebbe riattivato anche il resto del corpo – passai alla parete di sinistra dove mi scontrai con un lavabo di marmo e una superficie fredda e liscia. Quel qualcuno era proprio lì davanti, dietro lo specchio. Per qualche ragione se ne stava lì dietro e mi osservava. Ebbi come l'impressione che fosse entrato anche lui lì per sfuggire a qualcosa e si trovasse lì adesso, proprio come mi ci trovavo io. Aprii il rubinetto dell'acqua calda e pochi istanti dopo mi sembrò di sentire un altro rubinetto aprirsi. Premetti un paio di volte l'erogatore del sapone e di nuovo mi sembrò di sentire lo stesso rumore dall'altra parte. Avrei voluto dire qualcosa, chiedergli chi era e come era finito là anche lui. Poi, sul soffitto si accesero una miriade di piccolissime stelle che si riflettevano sulla parete a specchio. La ragazza che mi aveva servito da bere era affacciata alla porta.
- "Ha trovato quello che cercava?" disse accennando un sorriso compiaciuto.
Il convegno trascorse rapidamente, senza note interessanti come avevo previsto. Non conobbi nessuno di persona, né sentii mai il desiderio di farlo, ad essere sinceri.
Continuai invece a pensare alla coppia di anziani di quel ristorante, fino a che potei, fino a che ne persi il ricordo e le loro facce vennero sostituite dagli animali che affollavano i miei appunti e le mie ricerche. Da quel momento in realtà ogni volta che cenavo fuori un grosso castoro e un tizio con un monocolo e dei capelli scintillanti si sedevano al tavolo accanto al mio. Non nego che col tempo mi abituai a quella presenza che finì persino per diventare una piacevole compagnia. Quando ero con loro succedeva spesso che, mentre ritornavo dal bagno, un cameriere impiccione mi offrisse da bere, adducendo qualche scusa esageratamente fantasiosa.
Non ne ho mai parlato con nessuno ovviamente. Neppure con la psicologa che continuo a vedere il mercoledì su richiesta di mamma, e mi parla del suo capo reparto che dice di amarla e continua a mandare rose, amarillis e girasoli a casa mia per non destare sospetti nelle rispettive metà, dice. In fondo mi dispiace non poterle raccontare tutte le cose che mi succedono. Non parlarle di Carlo, o della coppia di anziani animali, o della mia propensione a fantasticare leggendo i manifesti affissi al muro di fronte alla mia finestra o le pubblicità di località vacanziere sugli opuscoli. Comunque ora non faccio più niente di tutto questo. Lo so che perdevo solo un sacco di tempo mentre quello che devo fare è finire il lavoro sul ruolo degli animali nel teatro aulico e consegnarlo al mio tutor e vedere un po' che succede. Neppure uno come lui immaginerà mai la quantità di animali che ho trovato! Quello che ancora non mi spiego è chi continui a spostare l'interruttore della luce in bagno e perché poi si nasconda dietro lo specchio.
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