RACCONTI
Jacques Barbéri
Il dentista
Guadagnate tempo sui tempi che corrono
SNCF
La giornata comincia su un binario. Meglio ancora, il risveglio. Prima ancora, il camminare.. Il viale, vestito di alberi e di movimenti meccanici. B...pensa ai suoi sogni:
La folla rumorosa riecheggia nella sua testa in tutta la rabbia di bocche urlanti. Davanti a lui una struttura metallica, circolare, di un metro di diametro circa, rivestita di carta da imballaggio. Dietro, non può vederlo, ma lo sa, un'enorme vasca di legno sormontata da vetrate e sul fondo un materasso pneumatico. B... prende la rincorsa; la folla lo vede, teso sulle gambe, pronto a decollare, trattiene il respiro. Scatta. La finestra marrone man mano ingigantisce. Salta. Attorno a sé la carta si strappa, sferza le orecchie. Non appena tocca il bordo della vasca sa di aver fatto male i conti. Lacerando le sue orecchie sanguinanti, la parete di vetro esplode. Dietro la vasca c'è una parete a picco di venti metri. Al contatto col suolo, il suo corpo finalmente libero disegna la forma sognata nella sua testa. Una Z perfetta: l a testa a sinistra, le gambe a destra, il tronco mezzo incastrato. Quando riprende conoscenza è sdraiato su un tavolo operatorio.
Poi la sala d'attesa della stazione. Con gli uomini del controllo persi tra cartelloni pubblicitari di viaggi organizzati o incastrati tra gli stand per la vendita di bevande e dolciumi.
B... prende posto al binario. Non arriva semplicemente al binario, ma prende posto sulla piattaforma. Ne prende posto, a dir la verità. A ciascuno spetta il proprio spazio, il proprio territorio. Così può impunemente gettare a terra la sigaretta, posare la cartella o la valigetta, dar sfogo a un riso nervoso. O grattarsi la patta. Tutte cose che non potrebbe fare, non oserebbe fare in un altro posto, anche se fosse solo a un metro di distanza dal suo territorio.
Il territorio di B...sta tra quello di un gruppo di liceali e quello di una giovane lesbica. Sa che è omosessuale perché, nel suo stesso vagone, a due posti di distanza, tra le stazioni di A... e C..., discute sempre con una signora di una certa età, il viso sfregiato da cicatrici recenti. Le ha sorprese un mattino che si masturbavano e che si coprivano maldestramente con un giornale.
I liceali lo scioccano un po'. Non osa ammetterlo ma quando se ne escono con una sequela di ingiurie, insultano gli altri viaggiatori o si palpano apertamente, un calore malsano lo fa arrossire e lo obbliga a girare lo sguardo. Osano addirittura sconfinare coi loro eccessi.
Nel penultimo vagone dove si siede sistematicamente – i primi vagoni sono sempre i più pericolosi in caso di deragliamento – si lascia andare al suo abituale posto di osservazione e si assopisce, ascoltando distrattamente le conversazioni, che riguardano furtivamente il paesaggio, ignorando grazie a quel certo torpore l'odio che nutre per quel tragitto.
Una strana paura gli impedisce l'accesso all'ultimo vagone; forse la conseguenza di un vecchio sogno:
Un bambino gli fa uno scherzo soffiandogli delle crema chantilly sugli occhi. Barcolla lungo un corridoio ingombro di bagagli, di gente sdraiata in terra. Un cieco gli fa scivolare nella tasca destra del suo gilet un biglietto da 10 euro. Poi raggiunge la fine dell'ultimo vagone e crede di aprire la porta della toilette, ma la rabbia e la crema che lo accecano gli fanno commettere un errore: spalanca la porta che da sul vuoto. Si schianta su una massicciata ed esplode.
Riprende conoscenza in un letto d'ospedale, ingessato dalla testa ai piedi. Il gesso, intorno alle sue gambe, ha la forma di un vestito all'antica e sul suo torace due protuberanze bianche disegnano il contorno di grossi seni. Nessun piede esce da sotto il vestito. Sviene.
Qualche minuto prima di arrivare alla galleria della stazione di C..., come tutte le mattine, scorge l'ospedale. E si dice, come tutte le mattine, che non morirà in quella specie di mattatoio, che continuerà il tragitto, pagando la multa senza protestare, scendendo a Lione o a Strasburgo per entrare nel primo bar incontrato e ubriacarsi fino alla chiusura. Telefonerà poi al direttore della clinica in piena notte e gli dirà: "le zanne dei vostri pazienti ve le potete mettere nel culo!
Malgrado lo spessore doppio dei calzini in lana e le solette di para, il contatto col marciapiede gli ghiaccia la pianta dei piedi.
Solo nel suo studio. Durante quegli istanti di solitudine comincia ad immaginare qualcuno dei suoi pazienti più sordidi, legato alla poltrona in attesa della barocca operazione che gli trapianti una testa di animale al posto della sua. Poi l'assistente arriva, il viso sfatto per il sonno – forse per una notte di stravizi – l'alito che pare una chiavica e il caffé riscaldato.
- Gli sciroccati sono di là.
- Sono tutti sciroccati.
Madame Rontag entra nello studio seguita dal figlio e dal cane.
- I cani non sono ammessi nelle sale mediche.
Di solito a B... non frega un cazzo. Spera solo che dicendo così sparisca anche il figlio. Marchiano errore. Quello rientra subito dopo aver trovato un'anima sensibile che gli guarda la bestiaccia.
- Dottore, è orribile – geme Madame Rontag – è una settimana che ho del pus che mi devasta la gola. Pensa sia il caso di operarmi? In ospedale so quel che si passa. L'ultima volta per poco non mi uccidono. Sono degli assassini mascherati, dei macellai.
- Sedetevi signora, ora vediamo. Non affannatevi inutilmente.
Quando chiude la bocca gli incisivi si raddrizzano e spuntano fuori. La tipa se l'era giocati. B... lancia uno sguardo all'assistente alzando le spalle, le sopracciglia e tutto quello che umanamente gli è possibile alzare per esprimere una forma paradossale di sorpresa disincantata.
Soffoca a malapena una risata che avrebbe potuto essere sana.
Il figlio interviene senza che gli sia stato chiesto.
- I medici che l'hanno in cura dicono che la cosa potrebbe arrivarle al cervello.
- Io poi non voglio essere anestetizzata in ospedale, dottore... mio figlio dice che usano il formol. Il liquido era bianco. Quando lo hanno addormentato in clinica il liquido era giallo. Mi hanno voluto uccidere, dottore!
Fa fresco. L'assistente vuole accendere il radiatore elettrico. B... dice di no e chiude la finestra. Delle folate di caldo si condensano in sudore sulla pelle del collo. Il canto di uccelli dai polmoni incatramati riempie la stanza.
- Mia madre ha ragione, dottore, io non ricordo bene perché ho perso la memoria, ma quando mi hanno trovato, la notte, nel parco, ho guardato bene... il liquido era giallo... e poi il suo cuore è fragile. Non è che può operarla senza anestesia generale?
Madame Rontag è allungata sulla poltrona. Con la punta dello specchio B... preme la gengiva tenendo il viso abbastanza lontano da qualche possibile, eventuale schizzo. Il pus, denso e citrino, ribolle. Madame Rontag vuole parlare, morde lo specchio. I suoi denti anteriori si allungano e cercano di toccarle il naso.
- Bisogna staccare tutto signora... poi mettere una protesi totale... dall'alto in basso... i vostri "accumuli" di pus sono sicuramente dovuti a un dente del giudizio. Bisogna estrarlo.
- Tutto questo lo farete voi non è vero? – elemosina il figlio con la sua aria da idiota al limite dell'incitazione alla violenza.
- Credo che sarà più saggio...
- Ma vogliono uccidermi, dottore, vogliono uccidermi!
- Sì... lei è malata di cuore... dovete sapere che l'ultima volta...
- Ascoltate! Non c'è altra soluzione.
B... si sorprende a gridare. Quello che non gli era mai successo di fronte a un paziente. Ma trova subito il punto debole e la soluzione. Ora capisce le coglionerie di un medico.
- Potrebbe arrivarvi al cervello! E poi vedrete... lo specialista che se ne incarica è veramente abile. Non c'è nessun rischio.
La signora Rontag si trattiene, il figlio borbotta, sputa e gli va di traverso. La sua bava paranoica sporca il viso di B... che abbandona lo studio. L'assistente può regolare da sola le formalità del ricovero.
Dopo un piccolo giro lungo i corridoi per decontrarsi, B... rientra e constata che tre pazienti già aspettano il loro turno. Il mattatoio. Nello studio accende una sigaretta e poi subito la spegne e poi domanda all'assistente di introdurre il paziente.Si torna in trincea.
Cura, ma ferisce, guarisce, ma seziona, allevia, ma estirpa, incide, strappa, mola, squarta... e spesso i suoi movimenti diventano rigidi.
Deve estrarre un molare che ha spasmi violentissimi e la paziente, distesa in orizzontale sulla poltrona, lo fissa con uno sguardo bovino. Quando il dente è spuntato dal suo alveolo, accompagnato da un suono familiare di aspirazione, uno spaventoso odore di macelleria ha invaso la stanza. E l'immagine mattutina di umani sanguinanti, soggetti a esperimenti animali estremi si è impossessata di lui in un attimo.
La donna distesa davanti a lui ha una testa di mucca. Implorante.
- Ridatemi la mia vera testa, dottore- muggisce – vi prego. Mio marito mi pesta se mi vede conciata a questo modo!
B... deambula di nuovo per i corridoi. Poi va nel bagno. Sul fondo della tazza del gabinetto, sotto un'acqua torbida, e per la seconda volta in questa settimana, scorge un perno dentale.
Una meraviglia subitanea lo sprona a cercare una causa logica per la presenza di quell'oggetto in quel posto, ma pensa subito ai pazienti che coi loro corpi deformi occupano le sedie consumate della sala d'attesa e così i suoi intenti si afflosciano.
Metà pomeriggio. B... ha visto circa una ventina di pazienti tra le due e le quattro ed un automatismo esasperato gli ha fatto anticipare i movimenti futuri. La siringa è ancora nella sua mano, lo stantuffo schiacciato sotto il suo pollice con le articolazioni imbiancate dalla tensione e già l'altra sua mano impugna un divaricatore avvicinandolo alla posizione della pinza estrattrice che la prima mano prenderà dopo aver posto la siringa.
In quegli istanti il tempo diventa macchina e il volante della materia la dirige a brani di spazio, di carne e di dubbio. Acceleratore bloccato. Omogeneizzazione di tessuti. In quel primo pomeriggio, però, un granello di sabbia scivola nel meccanismo oliato dei gesti chirurgici.
B... è completamente curvo su un vecchio ubriaco per curare la parte distale di un molare di difficile accesso. L'alito alcolico del paziente lo stordisce un po' e non fa caso, in un primo momento, allo strano contatto che gli procura la spalla del vecchio contro il suo ventre. Poi le immagini si mettono a fuoco e realizza che sta premendo contro una forma arrotondata, morbida che esce dalla veste del vecchio. Il tempo si divide e si rivede bambino nel tentativo di catturare una gallina che era scappata dal pollaio. Egli riuscì, dopo vari tentativi e cadute rovinose inframezzate da risate, a gettare il gilet sul volatile per immobilizzarlo. E la forma che esce dal dorso del vecchio ha, sotto la sua veste, la stessa struttura tissutale della gallina imprigionata... come se agitasse le ALI!
Il trapano scalfisce la polpa dentaria. Il vecchio urla chiudendo la bocca sulla turbina. La sorpresa fa sussultare B... perso nei suoi pensieri e la guancia si lacera con un suono molle, quasi liquido.
B... è al binario, ancora sotto choc. "Mi vogliono trasferire" si dice. Tendenze schizoidi. Riposo forzato. "E forse è meglio così, anzi... la follia comincia a tessere la sua tela zuccherina dall'odore di madeleine attorno alle sue mani insanguinate".
B... si perde in una bruma grigia che odora di treni e di passeggeri stanchi. Delle iscrizioni passano davanti ai suoi occhi, lentamente: ...FUMATORI – 1 – 054SL – 2- NON FUMATORI – 127 SM – 2...
E capisce che il treno che doveva prendere è bello che partito.
La cortina di bruma si allarga ed egli prova a saltare sul predellino. La punta del suo piede destro scivola sul metallo brillante e consunto. La sua mano destra si tende, le sue dita sfiorano il sostegno verticale. Cade. Le ruote tagliano di netto le sue gambe e sviene.
B... riprende coscienza in un letto d'ospedale. Una stanza bianca. Un bouquet di mimosa sul comodino. Un'infermiera accanto al suo letto.
- Allora Signor B... come vi sentite?
B... non sa che dire. Non ha il coraggio di alzare la testa e guardare ai piedi del letto. Si ricorda perfettamente della caduta, del metallo che gli triturava gli arti.
- Non ho più le gambe, vero?
- Ma no, andiamo, che idea! Al contrario, avrete una bella sorpresa.
B... decide alla fine di alzare la testa ma il suo sguardo è impedito da una massa enorme che gonfia il lenzuolo.
- Non avrete più bisogno di prendere il treno per andare al lavoro Signor B...vi sarà sufficiente galoppare gioiosamente - dice sollevando il drappo. E comincia a ridere, e B...le allenta un pugno sulla mascella, spezzandogli parecchi denti.
- Ho l'impressione che abbiate bisogno di un appuntamento, madame.
Traduzione dal francese di Alfredo Ronci e Marco Lanzòl.
SNCF
La giornata comincia su un binario. Meglio ancora, il risveglio. Prima ancora, il camminare.. Il viale, vestito di alberi e di movimenti meccanici. B...pensa ai suoi sogni:
La folla rumorosa riecheggia nella sua testa in tutta la rabbia di bocche urlanti. Davanti a lui una struttura metallica, circolare, di un metro di diametro circa, rivestita di carta da imballaggio. Dietro, non può vederlo, ma lo sa, un'enorme vasca di legno sormontata da vetrate e sul fondo un materasso pneumatico. B... prende la rincorsa; la folla lo vede, teso sulle gambe, pronto a decollare, trattiene il respiro. Scatta. La finestra marrone man mano ingigantisce. Salta. Attorno a sé la carta si strappa, sferza le orecchie. Non appena tocca il bordo della vasca sa di aver fatto male i conti. Lacerando le sue orecchie sanguinanti, la parete di vetro esplode. Dietro la vasca c'è una parete a picco di venti metri. Al contatto col suolo, il suo corpo finalmente libero disegna la forma sognata nella sua testa. Una Z perfetta: l a testa a sinistra, le gambe a destra, il tronco mezzo incastrato. Quando riprende conoscenza è sdraiato su un tavolo operatorio.
Poi la sala d'attesa della stazione. Con gli uomini del controllo persi tra cartelloni pubblicitari di viaggi organizzati o incastrati tra gli stand per la vendita di bevande e dolciumi.
B... prende posto al binario. Non arriva semplicemente al binario, ma prende posto sulla piattaforma. Ne prende posto, a dir la verità. A ciascuno spetta il proprio spazio, il proprio territorio. Così può impunemente gettare a terra la sigaretta, posare la cartella o la valigetta, dar sfogo a un riso nervoso. O grattarsi la patta. Tutte cose che non potrebbe fare, non oserebbe fare in un altro posto, anche se fosse solo a un metro di distanza dal suo territorio.
Il territorio di B...sta tra quello di un gruppo di liceali e quello di una giovane lesbica. Sa che è omosessuale perché, nel suo stesso vagone, a due posti di distanza, tra le stazioni di A... e C..., discute sempre con una signora di una certa età, il viso sfregiato da cicatrici recenti. Le ha sorprese un mattino che si masturbavano e che si coprivano maldestramente con un giornale.
I liceali lo scioccano un po'. Non osa ammetterlo ma quando se ne escono con una sequela di ingiurie, insultano gli altri viaggiatori o si palpano apertamente, un calore malsano lo fa arrossire e lo obbliga a girare lo sguardo. Osano addirittura sconfinare coi loro eccessi.
Nel penultimo vagone dove si siede sistematicamente – i primi vagoni sono sempre i più pericolosi in caso di deragliamento – si lascia andare al suo abituale posto di osservazione e si assopisce, ascoltando distrattamente le conversazioni, che riguardano furtivamente il paesaggio, ignorando grazie a quel certo torpore l'odio che nutre per quel tragitto.
Una strana paura gli impedisce l'accesso all'ultimo vagone; forse la conseguenza di un vecchio sogno:
Un bambino gli fa uno scherzo soffiandogli delle crema chantilly sugli occhi. Barcolla lungo un corridoio ingombro di bagagli, di gente sdraiata in terra. Un cieco gli fa scivolare nella tasca destra del suo gilet un biglietto da 10 euro. Poi raggiunge la fine dell'ultimo vagone e crede di aprire la porta della toilette, ma la rabbia e la crema che lo accecano gli fanno commettere un errore: spalanca la porta che da sul vuoto. Si schianta su una massicciata ed esplode.
Riprende conoscenza in un letto d'ospedale, ingessato dalla testa ai piedi. Il gesso, intorno alle sue gambe, ha la forma di un vestito all'antica e sul suo torace due protuberanze bianche disegnano il contorno di grossi seni. Nessun piede esce da sotto il vestito. Sviene.
Qualche minuto prima di arrivare alla galleria della stazione di C..., come tutte le mattine, scorge l'ospedale. E si dice, come tutte le mattine, che non morirà in quella specie di mattatoio, che continuerà il tragitto, pagando la multa senza protestare, scendendo a Lione o a Strasburgo per entrare nel primo bar incontrato e ubriacarsi fino alla chiusura. Telefonerà poi al direttore della clinica in piena notte e gli dirà: "le zanne dei vostri pazienti ve le potete mettere nel culo!
Malgrado lo spessore doppio dei calzini in lana e le solette di para, il contatto col marciapiede gli ghiaccia la pianta dei piedi.
Solo nel suo studio. Durante quegli istanti di solitudine comincia ad immaginare qualcuno dei suoi pazienti più sordidi, legato alla poltrona in attesa della barocca operazione che gli trapianti una testa di animale al posto della sua. Poi l'assistente arriva, il viso sfatto per il sonno – forse per una notte di stravizi – l'alito che pare una chiavica e il caffé riscaldato.
- Gli sciroccati sono di là.
- Sono tutti sciroccati.
Madame Rontag entra nello studio seguita dal figlio e dal cane.
- I cani non sono ammessi nelle sale mediche.
Di solito a B... non frega un cazzo. Spera solo che dicendo così sparisca anche il figlio. Marchiano errore. Quello rientra subito dopo aver trovato un'anima sensibile che gli guarda la bestiaccia.
- Dottore, è orribile – geme Madame Rontag – è una settimana che ho del pus che mi devasta la gola. Pensa sia il caso di operarmi? In ospedale so quel che si passa. L'ultima volta per poco non mi uccidono. Sono degli assassini mascherati, dei macellai.
- Sedetevi signora, ora vediamo. Non affannatevi inutilmente.
Quando chiude la bocca gli incisivi si raddrizzano e spuntano fuori. La tipa se l'era giocati. B... lancia uno sguardo all'assistente alzando le spalle, le sopracciglia e tutto quello che umanamente gli è possibile alzare per esprimere una forma paradossale di sorpresa disincantata.
Soffoca a malapena una risata che avrebbe potuto essere sana.
Il figlio interviene senza che gli sia stato chiesto.
- I medici che l'hanno in cura dicono che la cosa potrebbe arrivarle al cervello.
- Io poi non voglio essere anestetizzata in ospedale, dottore... mio figlio dice che usano il formol. Il liquido era bianco. Quando lo hanno addormentato in clinica il liquido era giallo. Mi hanno voluto uccidere, dottore!
Fa fresco. L'assistente vuole accendere il radiatore elettrico. B... dice di no e chiude la finestra. Delle folate di caldo si condensano in sudore sulla pelle del collo. Il canto di uccelli dai polmoni incatramati riempie la stanza.
- Mia madre ha ragione, dottore, io non ricordo bene perché ho perso la memoria, ma quando mi hanno trovato, la notte, nel parco, ho guardato bene... il liquido era giallo... e poi il suo cuore è fragile. Non è che può operarla senza anestesia generale?
Madame Rontag è allungata sulla poltrona. Con la punta dello specchio B... preme la gengiva tenendo il viso abbastanza lontano da qualche possibile, eventuale schizzo. Il pus, denso e citrino, ribolle. Madame Rontag vuole parlare, morde lo specchio. I suoi denti anteriori si allungano e cercano di toccarle il naso.
- Bisogna staccare tutto signora... poi mettere una protesi totale... dall'alto in basso... i vostri "accumuli" di pus sono sicuramente dovuti a un dente del giudizio. Bisogna estrarlo.
- Tutto questo lo farete voi non è vero? – elemosina il figlio con la sua aria da idiota al limite dell'incitazione alla violenza.
- Credo che sarà più saggio...
- Ma vogliono uccidermi, dottore, vogliono uccidermi!
- Sì... lei è malata di cuore... dovete sapere che l'ultima volta...
- Ascoltate! Non c'è altra soluzione.
B... si sorprende a gridare. Quello che non gli era mai successo di fronte a un paziente. Ma trova subito il punto debole e la soluzione. Ora capisce le coglionerie di un medico.
- Potrebbe arrivarvi al cervello! E poi vedrete... lo specialista che se ne incarica è veramente abile. Non c'è nessun rischio.
La signora Rontag si trattiene, il figlio borbotta, sputa e gli va di traverso. La sua bava paranoica sporca il viso di B... che abbandona lo studio. L'assistente può regolare da sola le formalità del ricovero.
Dopo un piccolo giro lungo i corridoi per decontrarsi, B... rientra e constata che tre pazienti già aspettano il loro turno. Il mattatoio. Nello studio accende una sigaretta e poi subito la spegne e poi domanda all'assistente di introdurre il paziente.Si torna in trincea.
Cura, ma ferisce, guarisce, ma seziona, allevia, ma estirpa, incide, strappa, mola, squarta... e spesso i suoi movimenti diventano rigidi.
Deve estrarre un molare che ha spasmi violentissimi e la paziente, distesa in orizzontale sulla poltrona, lo fissa con uno sguardo bovino. Quando il dente è spuntato dal suo alveolo, accompagnato da un suono familiare di aspirazione, uno spaventoso odore di macelleria ha invaso la stanza. E l'immagine mattutina di umani sanguinanti, soggetti a esperimenti animali estremi si è impossessata di lui in un attimo.
La donna distesa davanti a lui ha una testa di mucca. Implorante.
- Ridatemi la mia vera testa, dottore- muggisce – vi prego. Mio marito mi pesta se mi vede conciata a questo modo!
B... deambula di nuovo per i corridoi. Poi va nel bagno. Sul fondo della tazza del gabinetto, sotto un'acqua torbida, e per la seconda volta in questa settimana, scorge un perno dentale.
Una meraviglia subitanea lo sprona a cercare una causa logica per la presenza di quell'oggetto in quel posto, ma pensa subito ai pazienti che coi loro corpi deformi occupano le sedie consumate della sala d'attesa e così i suoi intenti si afflosciano.
Metà pomeriggio. B... ha visto circa una ventina di pazienti tra le due e le quattro ed un automatismo esasperato gli ha fatto anticipare i movimenti futuri. La siringa è ancora nella sua mano, lo stantuffo schiacciato sotto il suo pollice con le articolazioni imbiancate dalla tensione e già l'altra sua mano impugna un divaricatore avvicinandolo alla posizione della pinza estrattrice che la prima mano prenderà dopo aver posto la siringa.
In quegli istanti il tempo diventa macchina e il volante della materia la dirige a brani di spazio, di carne e di dubbio. Acceleratore bloccato. Omogeneizzazione di tessuti. In quel primo pomeriggio, però, un granello di sabbia scivola nel meccanismo oliato dei gesti chirurgici.
B... è completamente curvo su un vecchio ubriaco per curare la parte distale di un molare di difficile accesso. L'alito alcolico del paziente lo stordisce un po' e non fa caso, in un primo momento, allo strano contatto che gli procura la spalla del vecchio contro il suo ventre. Poi le immagini si mettono a fuoco e realizza che sta premendo contro una forma arrotondata, morbida che esce dalla veste del vecchio. Il tempo si divide e si rivede bambino nel tentativo di catturare una gallina che era scappata dal pollaio. Egli riuscì, dopo vari tentativi e cadute rovinose inframezzate da risate, a gettare il gilet sul volatile per immobilizzarlo. E la forma che esce dal dorso del vecchio ha, sotto la sua veste, la stessa struttura tissutale della gallina imprigionata... come se agitasse le ALI!
Il trapano scalfisce la polpa dentaria. Il vecchio urla chiudendo la bocca sulla turbina. La sorpresa fa sussultare B... perso nei suoi pensieri e la guancia si lacera con un suono molle, quasi liquido.
B... è al binario, ancora sotto choc. "Mi vogliono trasferire" si dice. Tendenze schizoidi. Riposo forzato. "E forse è meglio così, anzi... la follia comincia a tessere la sua tela zuccherina dall'odore di madeleine attorno alle sue mani insanguinate".
B... si perde in una bruma grigia che odora di treni e di passeggeri stanchi. Delle iscrizioni passano davanti ai suoi occhi, lentamente: ...FUMATORI – 1 – 054SL – 2- NON FUMATORI – 127 SM – 2...
E capisce che il treno che doveva prendere è bello che partito.
La cortina di bruma si allarga ed egli prova a saltare sul predellino. La punta del suo piede destro scivola sul metallo brillante e consunto. La sua mano destra si tende, le sue dita sfiorano il sostegno verticale. Cade. Le ruote tagliano di netto le sue gambe e sviene.
B... riprende coscienza in un letto d'ospedale. Una stanza bianca. Un bouquet di mimosa sul comodino. Un'infermiera accanto al suo letto.
- Allora Signor B... come vi sentite?
B... non sa che dire. Non ha il coraggio di alzare la testa e guardare ai piedi del letto. Si ricorda perfettamente della caduta, del metallo che gli triturava gli arti.
- Non ho più le gambe, vero?
- Ma no, andiamo, che idea! Al contrario, avrete una bella sorpresa.
B... decide alla fine di alzare la testa ma il suo sguardo è impedito da una massa enorme che gonfia il lenzuolo.
- Non avrete più bisogno di prendere il treno per andare al lavoro Signor B...vi sarà sufficiente galoppare gioiosamente - dice sollevando il drappo. E comincia a ridere, e B...le allenta un pugno sulla mascella, spezzandogli parecchi denti.
- Ho l'impressione che abbiate bisogno di un appuntamento, madame.
Traduzione dal francese di Alfredo Ronci e Marco Lanzòl.
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