ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Il fascista, il 'frocio cattolico' ed il cattolico moralista
E' in libreria in questi giorni un bel testo di Jonathan Littell (l'autore de Le benevole) sull'importanza del linguaggio e come esso sia spesso utilizzato per confortare ideologie. Si intitola Il secco e l'umido (1) (sottotitolo: una breve incursione in territorio fascista) e prende spunto dalla lettura di un saggio del mai ex-nazista Léon Degrelle, esattamente La campagne de Russie, per evidenziare l'importanza di prendere alla lettera il lessico fascista.
Innanzi tutto due parole su Léon Degrelle: di nascita belga, fu il fondatore del rexismo, movimento politico che partendo da posizioni populiste con vaghe tendenze fasciste si avvicinò sempre di più al nazismo quando questo cominciò ad attuare la sua politica sistematica di invasione. Si arruolò, suo malgrado, nelle file della Legione Wallonie, sorta di gruppo collaborazionista fiammingo in chiave antibolscevica, quando la Germania iniziò la campagna di Russia. Ammiratore di Hitler, dopo la fine della seconda guerra mondiale fuggì in Spagna, dove, nonostante una condanna a morte in contumacia comminata in Belgio, vivrà tranquillamente per il resto della sua vita e, come dice lo stesso Littell, ... circondato da una corte di fedeli, impenitente, più che mai murato nelle sue bugie e nelle sue sterili pose.
L'attenzione dello scrittore americano per un libro come La campagne de Russie, nonostante sia un'operazione dello stesso Degrelle per giustificare e costruire la propria leggenda, deriva dall'assoluta convinzione come spesso l'ideologia più pericolosa non passi attraverso l'azione diretta, ma passi attraverso un uso del linguaggio che è elemento affine e parallelo alla sostanza 'rivoluzionaria'. Dice Littel: Qui non ci occuperemo, in realtà, della politica di Degrelle, ma del suo linguaggio (...) vediamo cosa ci dicono esattamente quelle parole vere. Testo alla mano.
Ed il testo alla mano è esplicativo della 'suggestione' linguistica dell'autore, della sua battaglia semantica, ancor prima che agitatrice, per conferire alla sua azione una valenza concentrazionista.
Il titolo del libro Il secco e l'umido rivela l'essenza dell'analisi (vi è, soprattutto all'inizio del libro e grazie anche al fascino che Littell subì alla lettura di Männerphantasien (2) di Klaus Theweleit, [lo psicanalista che per primo, lavorando su un corpus di circa duecento romanzi, memorie e scritti nazisti, elaborò la struttura mentale di certe personalità], un certo 'lassismo' freudiano nell'analisi dell'essere fascista, anche involontariamente comico): per Degrelle il combattente, che deve tendere alla conservazione dell'Io per una questione di vita e di morte, struttura la realtà attraverso delle nette contrapposizioni: che sono quelle del titolo, ma anche lo strutturato e l'informe, il duro e il molle, il rigido e il flaccido, l'eretto (cosa c'era di più foscamente priapico dell'Heil Hitler?) e lo sdraiato, il pulito e lo sporco, il glabro e il peloso (negli anni settanta i ragazzi di destra chiamavano quelli di sinistra 'i pelosi').
L'analisi del linguaggio de La campagne de Russie evidenzia effettivamente questa netta contrapposizione soprattutto nell'uso dell'iperbole che Degrelle fa parlando dei bolscevichi (e delle sue derivazioni!): la regione del Doner era un'enorme fanghiglia (umido); i russi erano mostri palustri ripugnanti di melma (umido); i miei soldati stavano acquattati nelle scarpate e nel frumento, silenziosi, rigidi come legna secca (eretto-secco); il territorio russo era una 'mostruosa vischiosità', una 'straordinaria cloaca' (umido).
Anche l'immagine stessa della morte propone un divario che avremmo potuto pensare, in quei casi, colmabile: i cadaveri dei russi si dissolvono (pure col gelo!), si liquefano, si decompongono (I bolscevichi uccisi erano più neri dei neri, molli e luccicanti); i morti nazisti vengono ricomposti, seppelliti, intatti nella loro fissità mortale.
Linguaggio dunque come 'territorio' in cui gettare l'altro, l'avversario, il contendente, spesso il 'diverso'. Linguaggio come piattaforma melmosa in cui scaraventare il nemico, l'antagonista.
Dunque la 'breve incursione in territorio fascista' come specifica il sottotitolo de Il secco e l'umido dimostra ancora una volta come la necessità di un'ideologia di contrapporsi all'altra (ma come spesso succede, la necessità della singola persona di contestarne un'altra) passi attraverso la mistificazione della parola, mistificazione che ovviamente contiene in sé il falso e il tendenzioso, l'ipocrisia e l'inattendibilità e un becero moralismo.
E' incredibile come certe letture s'innestino poi perfettamente nelle diatribe di fine estate: vedasi il caso Feltri-Boffo.
Riassumiamo per i pochi fortunati che non sanno: il 'nuovo' direttore de Il Giornale, in un articolo agostano, ha attaccato le pratiche poco 'confessionali' del direttore de L'Avvenire, rivelando pure l'esistenza di un'informativa della polizia a proposito delle tendenze omosessuali di quest'ultimo.
Apriti cielo! E' sceso in campo lo stesso cardinal Bagnasco (mi chiedo perché 'sto pregiato signore non abbia detto una sola parola di pietà per i due gay pestati dal fantomatico 'Svastichella') e l'intera CEI per difendere il 'probo' cattolico.
Quel che spaventa in tutta questa vicenda non è la presunta omosessualità del Boffo (dal momento che è un cattolico praticante dovrebbe astenersi da simili peccatucci, ma in fondo è libero di frequentare chi vuole, anche se il pagamento di un'ammenda come patteggiamento per il reato di molestie nei confronti della moglie del suo amante la dice lunga sul suo modus operandi) ma la palude vischiosa (l'umido) in sui si agitano i contendenti: ci par di capire che il delitto di cui si macchia il direttore de L'avvenire non sia la frequentazione di ambienti, ma l'ambiente stesso (infatti nei giornali cattolici il termine 'omosessuale' è affiancato a quelli di 'molestatore' e 'sfasciafamiglie').
Vecchia storia: in un paese in cui manca una precisa legislazione in merito, quei poveri 'disgraziati' che non possono negare le proprie pulsioni per evidente inconciliabilità col proprio 'sentire' (tranne quelli che godono di ampie coperture in sede ecclesiale! E lasciamo stare poi l'inconciliabilità con la propria immagine, che ci sarebbe proprio da ridere) s'arrabattono con definizioni o comportamenti presi chissà da quale testo psicanalitico per distanziarsi dal volgo: ecco che escono fuori fluorescenze letterarie del tipo 'affettività omoerotica' (Cecchi Paone), o categorizzazioni infelici 'sono bisessuale' (Pecorario Scanio) o comportamenti televisivamente 'aperti' dopo aver passato una vita a filosofeggiare e stronzeggiare senza confessare la propria natura (Gianni Vattimo) . Della serie: vuoi vedere che nel culo lo prendo solo io?
La diatriba tra Feltri e Boffo mostra il pantano (l'umido! Ma a 'sto punto contrapporrei anche il secco, il turgido e l'eretto perché, tutti lo sanno, e forse sarebbe il caso che lo sapessero anche i protagonisti di questa losca vicenda, un'inculata non ha fatto mai male a nessuno!) del moralismo più becero.
Quel titolo iniziale 'Il fascista, il 'frocio' cattolico (virgolettiamo la parola frocio, non si sa mai dove possa arrivare il risentimento degli uomini moralmente integri) e il moralista cattolico' ha una sua valenza ontologica: sono tre categorie dell'inessenza, del rifiuto della vita per incapacità intellettuale. Il fascista è tale perché come direbbe Littel è 'il non completamente nato', colui che non ha effettuato la completa separazione dalla madre; il 'frocio' cattolico (sì frocio e non gay, perché l'accezione gaya ammanterebbe il cattolico di un'aura che in realtà non ha, perso nella sua grigia, spenta e triste auto contemplazione di sé e dell'Alto) non è purtroppo un ossimoro, ma una velatissima condizione del mai-realizzato; il moralista cattolico è quello che per primo (come ha fatto effettivamente Feltri) accusa gli altri di moralismo, dividendo invece con 'l'avversario' istinti e sentimenti comuni ed indissolubili.
La diatriba tra Feltri e Buffo (e il mortificante balletto di esternazioni ed espressioni di solidarietà da parte del mondo cattolico) mi ricorda due episodi. Uno abbastanza ininfluente: quello in cui la madonnina insulsa della letteratura deamicisiana, la virnalisi del sacro cuore del Gesù, la Tamaro Susanna, smentì categoricamente di essere lesbica, come se lesbica avesse voluto significare la dannazione eterna e l'epiteto più infamante. L'altro, molto più politicamente appropriato, la furiosa contrapposizione, immediatamente dopo le prime emanazioni razziali nell'Italia di Mussolini, tra il quotidiano Il regime fascista di Farinacci e il periodico dei padri gesuiti La Civiltà Cattolica. L'uno nel difendere l'attività governativa in materia di ebrei e nel 'riconoscere' altrettanto zelo nei cattolici più oltranzisti, l'altro nel respingere le accuse e proporre una visione 'sionista' della realtà all'acqua di rose.
Un diverbio che scaturì in una melmosa polemica (l'umido!) ma che 'istituzionalizzava' il dominio dei poteri forti (fascisti e cattolici sono sempre andati a braccetto) sul resto della popolazione. Così come sta avvenendo per la disputa Feltri-Boffo.
In mancanza, come si diceva prima, di una legislazione che ponga l'accento sui diritti delle persone e che colpisca ogni manifestazione di violenza, fisica e verbale, nei confronti delle minoranze sessuali, assistiamo basiti a questo scambio di improperi tra fascisti, froci-cattolici e moralisti cattolici alla cui base c'è sempre la condanna 'esecrabile' di quella pratica che gli italiani del quattrocento definivano 'vizio innominabile: la sodomia.
Vedo tempi difficili.
P.S. Leggo sulla prima pagina del Manifesto del 4 settembre la pubblicità del libro di Daniel Borrillo Omofobia (dedalo edizioni). Perfetta cavalcatura della tigre. Come se in questi giorni decidessi di pubblicare un saggio dal titolo 'Perché si muore di influenza A1'. Vergogna 'cari e vecchi compagni'. davvero vergogna!
(1) Jonathan Littell – Il secco e l'umido – Einaudi 2009
(2) Il Saggiatore, nel 1997, pubblicò solo la prima parte del saggio col titolo: Fantasie virili. Donne, Flussi, Corpi, Storie.
Innanzi tutto due parole su Léon Degrelle: di nascita belga, fu il fondatore del rexismo, movimento politico che partendo da posizioni populiste con vaghe tendenze fasciste si avvicinò sempre di più al nazismo quando questo cominciò ad attuare la sua politica sistematica di invasione. Si arruolò, suo malgrado, nelle file della Legione Wallonie, sorta di gruppo collaborazionista fiammingo in chiave antibolscevica, quando la Germania iniziò la campagna di Russia. Ammiratore di Hitler, dopo la fine della seconda guerra mondiale fuggì in Spagna, dove, nonostante una condanna a morte in contumacia comminata in Belgio, vivrà tranquillamente per il resto della sua vita e, come dice lo stesso Littell, ... circondato da una corte di fedeli, impenitente, più che mai murato nelle sue bugie e nelle sue sterili pose.
L'attenzione dello scrittore americano per un libro come La campagne de Russie, nonostante sia un'operazione dello stesso Degrelle per giustificare e costruire la propria leggenda, deriva dall'assoluta convinzione come spesso l'ideologia più pericolosa non passi attraverso l'azione diretta, ma passi attraverso un uso del linguaggio che è elemento affine e parallelo alla sostanza 'rivoluzionaria'. Dice Littel: Qui non ci occuperemo, in realtà, della politica di Degrelle, ma del suo linguaggio (...) vediamo cosa ci dicono esattamente quelle parole vere. Testo alla mano.
Ed il testo alla mano è esplicativo della 'suggestione' linguistica dell'autore, della sua battaglia semantica, ancor prima che agitatrice, per conferire alla sua azione una valenza concentrazionista.
Il titolo del libro Il secco e l'umido rivela l'essenza dell'analisi (vi è, soprattutto all'inizio del libro e grazie anche al fascino che Littell subì alla lettura di Männerphantasien (2) di Klaus Theweleit, [lo psicanalista che per primo, lavorando su un corpus di circa duecento romanzi, memorie e scritti nazisti, elaborò la struttura mentale di certe personalità], un certo 'lassismo' freudiano nell'analisi dell'essere fascista, anche involontariamente comico): per Degrelle il combattente, che deve tendere alla conservazione dell'Io per una questione di vita e di morte, struttura la realtà attraverso delle nette contrapposizioni: che sono quelle del titolo, ma anche lo strutturato e l'informe, il duro e il molle, il rigido e il flaccido, l'eretto (cosa c'era di più foscamente priapico dell'Heil Hitler?) e lo sdraiato, il pulito e lo sporco, il glabro e il peloso (negli anni settanta i ragazzi di destra chiamavano quelli di sinistra 'i pelosi').
L'analisi del linguaggio de La campagne de Russie evidenzia effettivamente questa netta contrapposizione soprattutto nell'uso dell'iperbole che Degrelle fa parlando dei bolscevichi (e delle sue derivazioni!): la regione del Doner era un'enorme fanghiglia (umido); i russi erano mostri palustri ripugnanti di melma (umido); i miei soldati stavano acquattati nelle scarpate e nel frumento, silenziosi, rigidi come legna secca (eretto-secco); il territorio russo era una 'mostruosa vischiosità', una 'straordinaria cloaca' (umido).
Anche l'immagine stessa della morte propone un divario che avremmo potuto pensare, in quei casi, colmabile: i cadaveri dei russi si dissolvono (pure col gelo!), si liquefano, si decompongono (I bolscevichi uccisi erano più neri dei neri, molli e luccicanti); i morti nazisti vengono ricomposti, seppelliti, intatti nella loro fissità mortale.
Linguaggio dunque come 'territorio' in cui gettare l'altro, l'avversario, il contendente, spesso il 'diverso'. Linguaggio come piattaforma melmosa in cui scaraventare il nemico, l'antagonista.
Dunque la 'breve incursione in territorio fascista' come specifica il sottotitolo de Il secco e l'umido dimostra ancora una volta come la necessità di un'ideologia di contrapporsi all'altra (ma come spesso succede, la necessità della singola persona di contestarne un'altra) passi attraverso la mistificazione della parola, mistificazione che ovviamente contiene in sé il falso e il tendenzioso, l'ipocrisia e l'inattendibilità e un becero moralismo.
E' incredibile come certe letture s'innestino poi perfettamente nelle diatribe di fine estate: vedasi il caso Feltri-Boffo.
Riassumiamo per i pochi fortunati che non sanno: il 'nuovo' direttore de Il Giornale, in un articolo agostano, ha attaccato le pratiche poco 'confessionali' del direttore de L'Avvenire, rivelando pure l'esistenza di un'informativa della polizia a proposito delle tendenze omosessuali di quest'ultimo.
Apriti cielo! E' sceso in campo lo stesso cardinal Bagnasco (mi chiedo perché 'sto pregiato signore non abbia detto una sola parola di pietà per i due gay pestati dal fantomatico 'Svastichella') e l'intera CEI per difendere il 'probo' cattolico.
Quel che spaventa in tutta questa vicenda non è la presunta omosessualità del Boffo (dal momento che è un cattolico praticante dovrebbe astenersi da simili peccatucci, ma in fondo è libero di frequentare chi vuole, anche se il pagamento di un'ammenda come patteggiamento per il reato di molestie nei confronti della moglie del suo amante la dice lunga sul suo modus operandi) ma la palude vischiosa (l'umido) in sui si agitano i contendenti: ci par di capire che il delitto di cui si macchia il direttore de L'avvenire non sia la frequentazione di ambienti, ma l'ambiente stesso (infatti nei giornali cattolici il termine 'omosessuale' è affiancato a quelli di 'molestatore' e 'sfasciafamiglie').
Vecchia storia: in un paese in cui manca una precisa legislazione in merito, quei poveri 'disgraziati' che non possono negare le proprie pulsioni per evidente inconciliabilità col proprio 'sentire' (tranne quelli che godono di ampie coperture in sede ecclesiale! E lasciamo stare poi l'inconciliabilità con la propria immagine, che ci sarebbe proprio da ridere) s'arrabattono con definizioni o comportamenti presi chissà da quale testo psicanalitico per distanziarsi dal volgo: ecco che escono fuori fluorescenze letterarie del tipo 'affettività omoerotica' (Cecchi Paone), o categorizzazioni infelici 'sono bisessuale' (Pecorario Scanio) o comportamenti televisivamente 'aperti' dopo aver passato una vita a filosofeggiare e stronzeggiare senza confessare la propria natura (Gianni Vattimo) . Della serie: vuoi vedere che nel culo lo prendo solo io?
La diatriba tra Feltri e Boffo mostra il pantano (l'umido! Ma a 'sto punto contrapporrei anche il secco, il turgido e l'eretto perché, tutti lo sanno, e forse sarebbe il caso che lo sapessero anche i protagonisti di questa losca vicenda, un'inculata non ha fatto mai male a nessuno!) del moralismo più becero.
Quel titolo iniziale 'Il fascista, il 'frocio' cattolico (virgolettiamo la parola frocio, non si sa mai dove possa arrivare il risentimento degli uomini moralmente integri) e il moralista cattolico' ha una sua valenza ontologica: sono tre categorie dell'inessenza, del rifiuto della vita per incapacità intellettuale. Il fascista è tale perché come direbbe Littel è 'il non completamente nato', colui che non ha effettuato la completa separazione dalla madre; il 'frocio' cattolico (sì frocio e non gay, perché l'accezione gaya ammanterebbe il cattolico di un'aura che in realtà non ha, perso nella sua grigia, spenta e triste auto contemplazione di sé e dell'Alto) non è purtroppo un ossimoro, ma una velatissima condizione del mai-realizzato; il moralista cattolico è quello che per primo (come ha fatto effettivamente Feltri) accusa gli altri di moralismo, dividendo invece con 'l'avversario' istinti e sentimenti comuni ed indissolubili.
La diatriba tra Feltri e Buffo (e il mortificante balletto di esternazioni ed espressioni di solidarietà da parte del mondo cattolico) mi ricorda due episodi. Uno abbastanza ininfluente: quello in cui la madonnina insulsa della letteratura deamicisiana, la virnalisi del sacro cuore del Gesù, la Tamaro Susanna, smentì categoricamente di essere lesbica, come se lesbica avesse voluto significare la dannazione eterna e l'epiteto più infamante. L'altro, molto più politicamente appropriato, la furiosa contrapposizione, immediatamente dopo le prime emanazioni razziali nell'Italia di Mussolini, tra il quotidiano Il regime fascista di Farinacci e il periodico dei padri gesuiti La Civiltà Cattolica. L'uno nel difendere l'attività governativa in materia di ebrei e nel 'riconoscere' altrettanto zelo nei cattolici più oltranzisti, l'altro nel respingere le accuse e proporre una visione 'sionista' della realtà all'acqua di rose.
Un diverbio che scaturì in una melmosa polemica (l'umido!) ma che 'istituzionalizzava' il dominio dei poteri forti (fascisti e cattolici sono sempre andati a braccetto) sul resto della popolazione. Così come sta avvenendo per la disputa Feltri-Boffo.
In mancanza, come si diceva prima, di una legislazione che ponga l'accento sui diritti delle persone e che colpisca ogni manifestazione di violenza, fisica e verbale, nei confronti delle minoranze sessuali, assistiamo basiti a questo scambio di improperi tra fascisti, froci-cattolici e moralisti cattolici alla cui base c'è sempre la condanna 'esecrabile' di quella pratica che gli italiani del quattrocento definivano 'vizio innominabile: la sodomia.
Vedo tempi difficili.
P.S. Leggo sulla prima pagina del Manifesto del 4 settembre la pubblicità del libro di Daniel Borrillo Omofobia (dedalo edizioni). Perfetta cavalcatura della tigre. Come se in questi giorni decidessi di pubblicare un saggio dal titolo 'Perché si muore di influenza A1'. Vergogna 'cari e vecchi compagni'. davvero vergogna!
(1) Jonathan Littell – Il secco e l'umido – Einaudi 2009
(2) Il Saggiatore, nel 1997, pubblicò solo la prima parte del saggio col titolo: Fantasie virili. Donne, Flussi, Corpi, Storie.
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