CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
Il pop della più grande band svedese (dicono loro). Forse hanno ragione.
E pensare che sono attivi dal 1990 ma in Italia non li conosce nessuno. Sono i Kent, gruppo pop svedese che si diletta a canticchiare anche in inglese e a scalare le classifiche britanniche ed europee. Il nuovo album, Röd (rosso), è uscito sì nel 2009 ma è di fatto la loro ultima fatica. Perché ne parliamo? Perché piacciono al sottoscritto. E perché credo che un pop del genere, a metà fra Verve e Subsonica, possa piacere, e parecchio, anche nel Bel Paese. Qualcuno dirà che cantando in svedese potrebbero risultare sgradevoli. Tutt'altro. Meglio ascoltare pop in svedese che ammorbarsi con il cantautorame italico attuale che sforna versetti osceni e impalpabili. Meglio loro che il principe a San Remo.
Per esempio Krossa allt, una ballata con venature leggermente elettro dance (ricorda le caramellose hit anni'80 che ballavamo spensierati in discoteca), oppure Vals För Satan, un'altra ballata elettro dance che sale piano e si scatena nel finale. La voce di Joakim Berg è melodiosamente stridula. Per certi versi potrebbe definirsi come un Jonsi dei Sigur Ros che improvvisamente abbia svestito i panni del malinconico islandese e si sia trasformato in una frizzante rock star scandinava.
I Kent si ballano ma si ascoltano anche. Hjärta regala un sottofondo d'archi incalzanti e la voce che linearizza il cantato e poi s'innalza nel ritornello a mo' di inno. Ammetto che la lingua svedese che mio malgrado sono costretto a frequentare sia sonoramente ostica. Tuttavia inserita in un contesto musicale come quello dei Kent risulta, superato il primo impatto, gradevole ed evocativa.
Anche i Kent provano infatti a rimandare immagini di paesaggi rocciosi e colori boreali, freddi fiumi patinati di ghiaccio e città grigie solcate da efficienti metropolitane. Sjukhus ad esempio. Un altra specie di inno alla triste lentezza di una campagna paralizzata nel suo biancore innevato che a metà parte incalzante e ritmata, nemmeno t'invitasse a buttartici in quella neve.
Tutti gli undici pezzi dell'album risultano orecchiabili dopo pochi ascolti. Bellissima e onirica Svarta Linjer, qui davvero la partenza lenta richiama altri gruppi dell'orda nordeuropea fino a che non si arrampica sulle note, gradualmente, e si apre in un'altra ballata un po' minimalista un po' colonna sonora anni '70. La voce di Berg è convincente e caratterizzante. Ensamheten segue lo stesso schema. Morbida e suadente in partenza. Chitarra e tastiera che aprono la scena, leggeri arpeggi. Salita. Voce che inizia a marciare. Che declama e richiama. Interludio con beat house che ci porta dalle parti degli ultimi Subsonica. Non si sta fermi. E poi nuova lentezza. E poi ballo. Rimane Taxmannen. Non frequento le classifiche di dischi (si dice ancora così) svedesi ma sono sicuro che questa elettro ballata sia il prossimo singolo (il primo, a proposito, è Hjarta). Ritornello accattivante, ritmo che acchiappa. Belli e semplici, come vorremmo che fosse anche il pop di qualche gruppo italiano. Magari cantato in inglese. Bestemmia!!!
Röd – Kent
Sony Aus/Zoom
Per esempio Krossa allt, una ballata con venature leggermente elettro dance (ricorda le caramellose hit anni'80 che ballavamo spensierati in discoteca), oppure Vals För Satan, un'altra ballata elettro dance che sale piano e si scatena nel finale. La voce di Joakim Berg è melodiosamente stridula. Per certi versi potrebbe definirsi come un Jonsi dei Sigur Ros che improvvisamente abbia svestito i panni del malinconico islandese e si sia trasformato in una frizzante rock star scandinava.
I Kent si ballano ma si ascoltano anche. Hjärta regala un sottofondo d'archi incalzanti e la voce che linearizza il cantato e poi s'innalza nel ritornello a mo' di inno. Ammetto che la lingua svedese che mio malgrado sono costretto a frequentare sia sonoramente ostica. Tuttavia inserita in un contesto musicale come quello dei Kent risulta, superato il primo impatto, gradevole ed evocativa.
Anche i Kent provano infatti a rimandare immagini di paesaggi rocciosi e colori boreali, freddi fiumi patinati di ghiaccio e città grigie solcate da efficienti metropolitane. Sjukhus ad esempio. Un altra specie di inno alla triste lentezza di una campagna paralizzata nel suo biancore innevato che a metà parte incalzante e ritmata, nemmeno t'invitasse a buttartici in quella neve.
Tutti gli undici pezzi dell'album risultano orecchiabili dopo pochi ascolti. Bellissima e onirica Svarta Linjer, qui davvero la partenza lenta richiama altri gruppi dell'orda nordeuropea fino a che non si arrampica sulle note, gradualmente, e si apre in un'altra ballata un po' minimalista un po' colonna sonora anni '70. La voce di Berg è convincente e caratterizzante. Ensamheten segue lo stesso schema. Morbida e suadente in partenza. Chitarra e tastiera che aprono la scena, leggeri arpeggi. Salita. Voce che inizia a marciare. Che declama e richiama. Interludio con beat house che ci porta dalle parti degli ultimi Subsonica. Non si sta fermi. E poi nuova lentezza. E poi ballo. Rimane Taxmannen. Non frequento le classifiche di dischi (si dice ancora così) svedesi ma sono sicuro che questa elettro ballata sia il prossimo singolo (il primo, a proposito, è Hjarta). Ritornello accattivante, ritmo che acchiappa. Belli e semplici, come vorremmo che fosse anche il pop di qualche gruppo italiano. Magari cantato in inglese. Bestemmia!!!
Röd – Kent
Sony Aus/Zoom
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