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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Salvo Tavella

Il ronzio del neon

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"Vuole?"

Un caschetto di capelli rossi incornicia un volto pallido, leggermente truccato nei toni del marrone, un paio di occhi chiari illuminano il viso dandole un'età indefinita.

Porge una confezione di mentine all'uomo che le siede accanto, in una sala d'aspetto con sedie in plastica rigida nera. Sulla stanza, alla fine di un lungo corridoio, si affaccia, oltre all'entrata, un'altra porta in quel momento chiusa. Sta aspettando già da una buona mezzora. Tradisce il suo nervosismo con piccoli gesti ossessivi: allunga le mani sulla gonna per stirare piccole pieghe del tessuto, si accarezza il baschetto di capelli lisciando immaginari ciuffi ribelli.

Accanto a lei, ed unica presenza nella saletta oltre lei, un uomo dal quale sta aspettando una risposta.

Ripete: "Vuole?"

L'uomo, avvolto in un cappotto grigio spinato, resta immobile nella sua posizione: la testa poggiata alla parete, le braccia strette sul petto, il bavero alzato, un'immobilità surreale. Alla domanda della donna, apre gli occhi e guardando le mentine dice:

"No, grazie."

La donna approfitta di quella risposta per tentare un approccio di conversazione:

"Che odore c'è in questo posto! Non lo sente anche lei?"

L'uomo alza un braccio e, con l'indice, segna il corridoio d'accesso, dove un inserviente sta pulendo il pavimento passando, svogliatamente, uno straccio grigio verde.

"Beh... almeno sarà pulito."

"La conforta sapere che il posto 'almeno' è pulito?"

"Mi conforta sapere che non è sporco."

"È sporco lo stesso, anche se lavano il pavimento dieci volte al giorno. È sporco lo stesso".

"Che vuol dire?"

"Quello che ho detto."

Sa di conversazione finita sul nascere.

L'uomo torna a chiudere gli occhi, riappoggia la testa alla parete e si stringe nel suo cappotto.

La donna si gira dall'altra parte verso un tavolinetto in formica, riviste di pettegolezzi sgualcite e vecchie di qualche settimana, giacciono sgualcite. Ne prende una, guarda la foto in copertina: una donna sorridente stringe al petto un neonato. 'Ecco il nuovo arrivato in casa della più amata della Tv' recita il titolo. Sfoglia la rivista fino all'ultima pagina senza soffermarsi su nessun articolo in particolare. Guarda la pubblicità in ultima di copertina: un circolo di lettura invita a comprare cinque romanzi al prezzo di uno inviando un tagliando. Rimane, per qualche secondo, come stregata, a fissare le forbicine nere stampate che tracciano la linea di ritaglio del tagliando. Ricorda quand'era bambina, a quando ritagliava le immagini dai giornali, una modella dai capelli biondi, un cagnolino arruffato, un'auto sportiva, un tagliando su cui fossero già tracciati i segni per il taglio.

"Un libro, ecco cosa avrei dovuto portarmi", pensa.

Restando seduta sulla rigida seggiola in plastica, si sporge a guardare cosa accade lungo il corridoio d'entrata. L'inserviente è già andato via, lasciando sospeso l'odore pungente del disinfettante. Ora una coppia, davanti ad una macchina automatica per il caffè, parla sommessamente. Accanto, sul distributore automatico di bibite, riesce a leggere un cartello: mantenere pulito. Rilegge meglio: mandenere pulito. Sorride per quell'errore ortografico. Cerca una penna nella sua borsa. Fatica un po', affonda le mani senza guardare e al tatto, individua il portafoglio, il cellulare, il portachiavi, la scatolina delle mentine e poi infine la penna.

Si alza e va diretta verso il cartello. Traccia un X sulla "d" dell'errore e aggiunge sul margine una "t", poi con un sorriso soddisfatto, si rivolge alla coppia, che senza prestarle molta attenzione ha continuato a sorbire il proprio caffè da piccoli bicchierini marrone: "Hanno scritto mantenere con la d, vi rendete conto?". La coppia accenna un sorriso di circostanza, si scambia un'occhiata di stupore e la segue con la sguardo mentre ritorna alla sua sedia nella saletta.

Torna a guardare l'uomo accanto a lei.

"Per che ora doveva cominciare?"

L'uomo stavolta nemmeno apre gli occhi e sottovoce risponde: "Alle 11.00".

"Anch'io... ma sono già le 11 e 20 passate..."

"Fra poco ci chiameranno. Stia tranquilla, non si dimenticano."

"Beh non è per quello... è che ho da fare..."

L'uomo si sistema sulla sedia, riaggiusta il cappotto sulle gambe e girandosi, verso il caschetto rosso, chiede:

"Ha da fare?"

"Si... ho da fare. Si stupisce?"

"No. Mi chiedo solo come può pensare ad altro da fare, oltre che a questo..."

"Ho un permesso dall'ufficio. Devo tornare per il pomeriggio. Lei non lavora?"

"No. Ho preso l'aspettativa".

"No, io no. E non penso di prenderla."

"Da quanto tempo ha cominciato?"

"Oggi è la prima volta... lei?"

"Io due mesi, questa è l'ultima settimana."

"E come va?"

L'uomo non risponde, non accenna nemmeno una smorfia, torna ad appoggiarsi alla parete assumendo la posizione precedente.

La donna prende un'altra mentina e girandosi verso l'uomo, resta in attesa di un seguito, non vedendolo arrivare continua lei:

"Bene? Male? Meglio? Peggio?" chiede.

L'uomo non risponde

Si arrende all'evidenza, si gira nuovamente verso il tavolino in formica. Prende un'altra rivista. Stavolta una donna, in uno abito da sera dal generoso decolté, dai folti capelli biondi, seduta su un divano in broccato rosso dice, affidandosi alla didascalia: 'Non ho raggiunto il successo solo grazie a mio marito'.

Osserva per bene la foto, da una parte su un tavolinetto accanto a quel divano, una cornice in argento dentro la quale si intravede la stessa donna abbracciata ad un uomo.

Sfoglia anche questa rivista indolentemente. Nell'ultima di copertina la stessa pubblicità sui libri di prima.

Prende ancora un'altra rivista, questa più vecchia delle precedenti, l'appoggia sul tavolinetto davanti a se e comincia a sfogliarla velocemente. Passa le dita sulle labbra umide sfiorandole appena e, con dei colpi secchi, decisi, gira le pagine violentemente. Ogni pagina si adagia sulla precedente con un suono simile a uno schiaffo.

L'uomo apre gli occhi, disturbato da quello schiocco ripetuto, osserva la donna immersa in quel lavorio, la fissa per un po', poi torna a riappoggiare la testa alla parete, su una macchia lasciata da teste precedenti e rimane ad osservare il neon sul soffitto.

La donna, accortasi del fastidio dell'uomo, senza distogliere lo sguardo dallo svolazzare veloce delle pagine girate, gli chiede:

"Cosa si può fare durante il trattamento? Si può leggere? C'è una tv? Lei che fa?"

"Io? Niente..." risponde "...mi concentro sul ronzio del neon."

"Il ronzio del neon?" Dice la donna, come parlando tra sé.

Si gira verso l'uomo e sta per chiedere spiegazioni, ma proprio in quel momento, un'infermiera apre la porta e chiama l'uomo: "Venga la poltrona è pronta... Signora fra cinque minuti chiamo anche lei, il tempo di sistemare l'altra poltrona." Richiude la porta dietro di lei.

La donna si risistema i suoi capelli rossi e fissa la porta concentrandosi sulla scritta 'Reparto oncologico. Day Hospital'. Stavolta nessun errore. È sola, si sporge ancora verso il corridoio ormai deserto. Rimette la rivista sul tavolinetto, si alza, si stira nuovamente la gonna con le mani, si gira su stessa osservando le spoglie pareti della sala.

Alle sue spalle, una voce:

"Signora... venga."

L'infermiera di prima la invita con un gesto a seguirla. La segue per uno stretto corridoio fino ad una stanzetta spoglia come la sala dove si trovava prima. Un gancio alla parrte, una poltrona rivestita in panno carta verdino ed accanto un trespolo.

"Metta pure la borsa sul pavimento: è pulito. Si tolga la giacca, la metta sul quel gancio e si accomodi, torno subito". L'infermiera esce chiudendo la porta dietro di se.

La donna appoggia la borsa sulle mattonelle grigie del pavimento e ripensa alla frase di prima "è sporco lo stesso", decide di tenere la borsa sul grembo una volta seduta, si sfila la giacca e, dopo averla appesa al gancio stacca un paio di pilucchi dal tessuto, finalmente si siede, risistema la sua gonna, liscia i suoi capelli, reclina il capo e fissa il soffitto. C'è silenzio. Si sente solo un ronzio provenire dal soffitto, concentra lo sguardo sul neon e tutto le è chiaro.





Salvo Tavella, 37 anni siciliano, vive tra Roma, Buenos Aires e la Patagonia. Ama viaggiare e per lui scrivere è un viaggio. Si occupa di traduzioni, ed ha curato le traduzioni di O.H. Villordo Il Figlioccio ( Fabio Croce Editore ) e di prossima uscita La brace in mano sempre di Villordo (Coniglio Editore), e Il ragazzino di Guillermo Saccomanno, (Coniglio Editore). Un suo racconto in La Manutenzione della Carne (Coniglio Editore) e un altro in Men on Men III (Mondadori).

Segni particolari: non gli piace parlare di se e, se messo alle strette, può anche dire bugie. Non è questo il caso.







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