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INTERVISTE

Il silenzio della ragione: gli omosessuali al confino. Intervista con Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio

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ML: Per completare e approfondire il discorso sul saggio di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio, cominciato con la recensione al loro La città e l'isola (Donzelli) li ho incontrati nell'appartamento romano che condividono. Vorrei pregarli innanzitutto di presentarsi, e di ricordare al Lettore di cosa tratta il lavoro in questione.



(Goretti) Insegno nelle scuole superiori, e mi sono laureato in storia contemporanea col professor Procacci. La mia tesi verteva sul confino delle persone omosessuali durante il fascismo, ed è divenuta La città e l'isola, elaborandone gli aspetti di ricostruzione d'ambiente e antropologici, e incentrando il racconto - che in origine comprendeva anche Firenze - sulla sola Catania. Il libro è uno studio sull'arresto, in quella città, di quarantacinque persone nel '39 perché omosessuali - "arrusi" in dialetto e nel testo -, e la loro assegnazione e permanenza al confino.

(Giartosio) A Catania vi fu la principale retata di omosessuali poi confinati, ed è inoltre importante perché già nell'indagine il questore ha voluto ricostruire anche gli ambienti, dàndoci involontariamente moltissime notizie su come vivevano gli omosessuali catanesi negli anni Trenta.



ML: Tu hai curato la parte formale del testo, mi pare.



(Giartosio) La ricerca, l'idea, le tesi di fondo, sono di Franco (Goretti). Io le ho curate sia in termini di scrittura che di narrazione, perché ci sono molte storie di singole persone che diventano personaggi... anche se tutto è assolutamente autentico... poi ho fatto qualche approfondimento, ma abbiamo lavorato molto insieme, discutendo ogni capitolo, affrontando i singoli punti...

(Goretti) Io ero all'ottava stesura del libro, poi avendo uno scrittore in casa ho pensato "perché no?", e la cosa è venuta bene.

(Giartosio) Meno male che non ero un idraulico...



ML: E si vede. Difatti il libro l'ho letto e si legge con piacere.E profitto, dato che non sono storie proprio diffusissime.



(Goretti) Guarda, le cose di base si sanno da vent'anni, perché l'Arci-Gay con Grillini diede a Giovanni Dall'Orto il mandato di studiare questi fascicoli personali che l' Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti aveva trovato studiando il confino di polizia. Giovanni lo fece, e pubblicò un articolo su Panorama, e un paio di articoli su Babilonia. Dopo c'è stato un convegno nel '99 a Verona, dal quale s'è tratto un libro intitolato Le ragioni di un silenzio (edito da Ombre Corte). L'anno scorso è uscito un saggio di Lorenzo Benadusi, Il nemico dell'uomo nuovo (Feltrinelli) - sua tesi di dottorato - che tratta del confino, dell'uso politico del manicomio, dell'uso politico dell'omosessualità all'interno del partito fascista. Noi però volevamo raccontare una storia di persone, più che una persecuzione e un apparato repressivo, dunque il punto di vista di chi è stato colpito, non di chi ha colpito. Perciò la scelta di Catania. In appendice, tuttavia, diamo notizie sulla repressione delle persone omosessuali nel suo complesso.



ML: Repressione quasi illegale: nel codice Rocco l'omosessualità non era reato.



(Giartosio) Ci fu una discussione durante la stesura del codice: all'inizio sembrava si optasse per l'omosessualità crimine. Invece si decise di no, in linea con quella che una felice espressione - Giovanni Dall'Orto l'adottò da Marcuse - chiama "tolleranza repressiva". Al regime conveniva che non si parlasse di omosessualità: era chiara la situazione tedesca, in cui l'esistenza di una legge specifica contro l'omosessualità aveva portato da una parte alla repressione acuta, ma dall'altra alla creazione di organizzazioni di omosessuali che lottavano apertamente. Non parlarne era un modo per evitare che l'omosessualità venisse alla superficie e rivendicasse i suoi diritti. Quindi si usò il confino di polizia, che non colpisce l'autore di un reato ma chiunque appaia "pericoloso", non passa per le aule dei tribunali, e perciò è una misura molto più discreta e molto più efficace ai fini del regime.



ML: Mi pare che la linea del "si fa ma non si dice" fosse appannaggio anche dei froci.



(Goretti) Il regime fascista, e probabilmente la storia degli italiani nel complesso, mostrano che se stai zitto, se non sei visibile, fai quello che vuoi. Dal '26, cioè dall'approvazione del testo unico di polizia, le questure colpiscono con il confino solo persone che venivano all'attenzione, appunto, che "spiccavano" per il comportamento. Il questore decideva per loro delle misure restrittive della libertà - confino, ammonizione o diffida. Ma nel '38, con le leggi razziali, i "confinati" aumentano in maniera vertiginosa, il che mostra come nell'ambito della campagna dovuta alle leggi razziali si crei un atteggiamento completamente diverso. E' vero che Molina, il questore di Catania, fa scuola. Lui arresta nel gennaio '39, e a seguire le altre questure cominciano a confinare persone... sì, c'erano stati i casi di Firenze nel '36 e nel '38, ma il questore di Firenze, che inizia a tappeto una campagna repressiva, preferisce utilizzare l'ammonizione. L'uso del confino - con più di centonovanta persone ancora confinate nel '42 - è una cosa che probabilmente parte da Catania e su spinta delle leggi razziali.

(Giartosio) Fino grossomodo al '38 si "veniva all'attenzione" delle questure se c'era un ricatto nei riguardi di un omosessuale, o un pubblico scandalo, nei casi ad esempio dei sacerdoti. Questi erano il tipo di casi che portavano alla punizione dell'omosessuale in quanto criminale. Invece più o meno dopo il '38 si tende a colpire l'omosessuale in quanto tale, e in particolare, a Catania, a colpire l'intera comunità "arrusa" cittadina...

(Goretti) Ma c'è anche il caso di due italiani arrestati nel '35 in Germania per omosessualità, che dicono "Perché ci arrestate? Da noi non esiste un reato di questo genere, tutti fanno quello che vogliono". Tornati in patria, vengono arrestati per aver fatto affermazioni menzognere e diffamanti sull'Italia all'estero... e questo prima del '38...



ML:Oltre a quello prettamente storico, c'è un aspetto psicologico importante nel vostro libro.



(Goretti) All'inizio non doveva essere oggetto di ricerca. Però è arrivato subito come curiosità nel momento in cui ho conosciuto Salvatore e Filippo: loro sono quel che tecnicamente si chiama "fonte orale", e nella realtà e nella nostra considerazione due persone delle quali una ha subito il confino e l'altra l'arresto e l'ammonizione. Nel contatto con loro - io venticinquenne, loro ottantenni - mi rendevo conto che c'era una grande differenza: io stavo con un compagno, che aveva un'identità gay, come la mia. Loro invece non riuscivano nemmeno a dirlo, utilizzavano la parola "ghèe" - le "ghèe" di Catania - e quando parlavano dei loro amori dicevano "maschio" - "questo maschio che è stato fidanzato a me, che poi s'é sposato". Quindi già da subito mi rendevo conto che ci trovavamo davanti a una mutazione antropologica, forse più che sull'omosessualità proprio sul cambiamento dei costumi sessuali, che poi chiaramente riguardava anche l'omosessualità... e questo d'acchìto ci è sembrato interessante in sé, e poi per il libro. Perché dà l'idea che l'omosessualità sia una categoria storica, che evolve e cambia all'interno del contesto culturale. Sarà banale dirlo, ma l'omosessualità vissuta nel '500 è diversa da quella fine '800, da quella catanese anni Trenta, da quella d'oggi.



ML:A proposito di questo si potrebbe dire che ogni epoca ha il suo stile di omosessualità...



(Giartosio) Prima di rispondere, volevo chiarire che il questore arresta quasi solo gli "arrusi", cioè gli omosessuali passivi, o perlomeno quelli che si pensano come tali (poi nei letti possono accadere diverse cose), addirittura come "donne". Evidentemente non esistevano nemmeno gli "eterosessuali", perché i "mascùli" di Catania che andavano con gli "arrusi" si pensavano come "mascùli", a prescindere dal fatto che avessero rapporti solo con donne, anche con uomini, o magari addirittura solo con uomini: è la stranezza di quest'altro modo di pensare l'omosessualità... Uno stile, dicevi? Mi sembra strana come parola, perché credo che il loro modo di vita fosse qualche cosa che è molto più imposto dalla cultura in cui vivevano che scelto: uno stile immagino sia qualcosa che una singola persona sceglie. Infatti oggi ci sono più stili di omosessualità. Penso che nelle società del passato ce ne fosse uno solo, e sostanzialmente o ti adattavi a quello o avevi pochissime altre scelte a disposizione. E' stato sorprendente anche scoprire che non solo c'era uno stile di omosessualità o un modo di viverla completamente diverso dal nostro, nella Catania degli anni Trenta, ma che aveva delle forme sociali e istituzionali molto forti. Noi immaginavamo che solo a Berlino potessero esserci allora delle sale da ballo per gay, invece ce n'erano anche a Catania: c'erano dei luoghi d'incontro anche all'aperto, c'erano dei gruppi di amici che si frequentavano e hanno continuato a frequentarsi anche nei decenni successivi. C'era tutta quella che credo si chiami ancora, in sociologia, una sottocultura.



ML:Una sottocultura alla quale si apparteneva precocemente, intorno agli otto o nove anni.



(Giartosio) In effetti è molto difficile, forse impossibile, ricostruire dei modelli di ingresso nel mondo omosessuale e di accesso all'identità omosessuale definiti, perché ce ne sono diversi. Alcuni dei personaggi hanno raccontato di aver scoperto l'omosessualità quand'erano molto piccoli, in modo lieto - almeno l'hanno raccontato in modo positivo oggi, forse fornendo una versione rimodellata dai decenni di distanza. Altri invece parlano di uno stupro, ed è vero che ci furono due grossi processi per stupro omosessuale nei primi decenni del Novecento a Catania. La nostra ipotesi è che ci sia stato il libero esercizio della propria fantasia sessuale da parte di bambini e ragazzini; poi ad un certo punto l'accesso all'identità omosessuale; infine il sentire che a causa delle proprie inclinazioni, della propria scelta di vita, si era diventati "degli omosessuali", "degli arrusi". Allora, come raccontarlo? Attraverso uno stupro, che in alcuni casi è uno stupro reale, in altri casi è una forte pressione ambientale. Nel momento in cui il giovane omosessuale - sono soprattutto i giovani a raccontare questi stupri – deve spiegare il fatto che ha perso una serie di privilegi (perché è un emarginato, ha un ruolo sociale marginale), eccolo a dirsi: "Come è accaduto questo? Non l'ho scelto io, ho subìto in qualche misura una violenza"... Poi stabilire di volta in volta se questa violenza sia stata compiuta da degli energumeni, o se invece sia stata una tentazione alla quale non si poteva resistere - questo è veramente difficile.

(Goretti) Nel '29 e subito dopo vi furono due grandi processi per violenza sui minori a Catania. Uno di questi è documentato nei fascicoli, perché uno degli arrestati del '39 ne era stato vittima. Così, tentò di discolparsi davanti al questore dicendo: "Non l'ho scelto io, da giovane mi hanno stuprato"...

(Giartosio) Anche perché il questore è molto disposto ad ascoltare una spiegazione di questo genere. Pensava che si diventasse omosessuali per motivi di questo tipo.

(Goretti) D'altra parte però è anche vero che le testimonianze orali parlavano di diverse possibilità aperte dalla sessualità infantile. Filippo racconta che, novenne, passeggiava per la via Etnea e aveva le sue storie, così come Salvatore che ne aveva dodici. Esistono diversi esiti: si può vivere con gioia la propria sessualità a nove o dodici anni, ma si può anche (purtroppo) subire uno stupro o essere esposti a chi approfitta della disponibilità dei bambini.



ML: Visto che ne parliamo, e se ne parla in giro: questo quadro potrebbe valere oggi per capire i rapporti erotici con i ragazzini del Terzo Mondo?



(Giartosio) Trovo molto difficile gestire la categoria Terzo Mondo, ci sono tante realtà completamente diverse...

(Goretti) Per quello che ne so, qualcuno potrà prendere questo materiale e dire: "Ecco un'altra prova di quello che è il modello di omosessualità mediterranea". Noi non abbiamo mai utilizzato questa categoria. Ci interessava solo delineare questo mondo catanese che man mano approfondivamo. Poi è probabile che ci siano somiglianze con quel che ci raccontano avviene nel Nordafrica: il ragazzo arabo avrebbe un'identità maschile simile a quella del "masculo" catanese, e gli incontri sessuali col turista nordeuropeo non gli darebbero alcun tipo di difficoltà rispetto alla propria identità sessuale...

(Giartosio)Veramente, riguardo a questioni più ampie di storia dell'omosessualità abbiamo solamente voluto fornire una tessera. Per esempio c'è un capitolo che abbiamo molto dibattuto, sugli sviluppi dell'omosessualità catanese nei decenni successivi. Qui era molto difficile capire cosa in effetti fosse accaduto, per certi versi sembra che si sia passati da una situazione in cui l'"arrusu" veniva pagato, almeno occasionalmente, a una in cui una nuova figura, l'omosessuale, pagava per avere rapporti. Sembra che ci siano stati una serie di cambiamenti di questo tipo, dovuti anche all'arrivo di nordeuropei o norditaliani.

(Goretti) I testimoni li raccontavano ma non li datavano. La nascita di un modello sociosessuale in cui gli omosessuali venuti in Sicilia dal nord pagavano la marchetta aveva in qualche modo cambiato la coscienza del ragazzo che andava con l'"arrusu" per suo piacere, o a volte anche pagando. I nostri testimoni si rendevano conto che negli anni '50-'60 probabilmente le cose in Sicilia erano cominciate a cambiare, per poi evolversi con la nascita dei "gay", per loro le "ghèe".

(Giartosio) Sì, dal punto di vista dei vecchi "arrusi" era assolutamente impensabile che due "arrusi" stessero insieme: sarebbe stata una "lesbicata", dicevano... Ma tornando alla tua domanda, quando mi capita di leggere qualcosa sui diversi inquadramenti dell'omosessualità nei paesi non occidentali, leggo le cose più diverse. Spesso c'entra il ruolo della donna, e il ruolo della donna può esser di totale sottomissione o essere invece molto forte. Ancora: ci sono delle situazioni in cui c'entra il travestimento, e altre in cui viene assunto un ruolo di genere fortemente virile...

(Goretti) Probabilmente bisognerebbe cominciare non a studiare separatamente i moduli di comportamento omosessuali, ma a fare uno studio globale della sessualità. Interrogarsi cioè non sul "quando nasce a Catania l'omosessuale", ma quando ci nasce l'eterosessuale. Perché questa è la cosa più interessante. Ad esempio, le fidanzate di questi "masculi" che vanno con gli "arrusi", che pensano, che dicono, come stanno, come vivono il loro rapporto con il loro marito, amante, fidanzato?

(Giartosio) Questo sarebbe anche utile rispetto a un'offensiva conservatrice che è in corso adesso, secondo cui ci sono cose che si chiamano "ruoli sessuali", "famiglia", sempre identiche a loro stesse. Sai, diventa difficile parlare di un recupero della "famiglia tradizionale" se questa famiglia era costituita dai "masculi" di Catania che la sera andavano con l'"arrusu".

(Goretti) Difatti quella che noi pensiamo "famiglia mononucleare borghese" in realtà ha cento anni: la nostra tradizione è la famiglia patriarcale. In Italia il legame più diffuso era quello tra l'anziano e l'anziana capifamiglia, i loro figli, le mogli di questi: una serie di rapporti complessi che credo nessuno interpreterebbe i termini borghesi.



ML: Dal nord non arrivano solo i froci, ma prima di loro Hitler. Che succede?



(Goretti) Dalle leggi razziali in poi in Italia cresce l'attenzione per categorie come gli ebrei, gli "studiosi della Bibbia" (Testimoni di Geova, n.d.r.), gli zingari, gli omosessuali. E si può decidere che per la sanità e l'integrità della razza è necessario che queste categorie scompaiano.

(Giartosio) Io credo poi, riprendendo una teoria abbozzata in Non possiamo non dirci (il precedente libro di Giartosio (Feltrinelli). N.d.r.), che nel modo di raccontare - e di raccontarsi - l'omosessualità da parte di una cultura ci siano un discorso sulle identità e uno sui comportamenti. Questi discorsi tendenzialmente coesistono, solo che in alcuni contesti è più forte il primo e in altri il secondo. Il discorso nazista è fortemente identitario, non solo con gli omosessuali ovviamente, però ogni tanto deve cedere alla logica del comportamento: anche con l'inquadramento e la definizione degli omosessuali i nazisti hanno esitato, per esempio oltre a mandarli nei lager hanno a volte cercato di "curarli". Invece in Italia credo sia vero il contrario, cioè che prevalga il discorso dei comportamenti e quindi quello della "tolleranza repressiva" di cui parlavamo: però, sotto la spinta del "prestigio" nazista, e non solo per questo naturalmente, si diffonde anche una logica identitaria distruttiva.



ML: Mi sembra che sull'identità ora vi siano due tendenze simmetriche e opposte: quella di taluni, cioè "il frocio è anormale comunque". E quella gaya: "il frocio è perfettamente normale".



(Goretti) Credo che avere un'identità forte e accettata non significhi essere "normali". Quando abbiamo iniziato questo lavoro con Carola Susani all'università, una cosa che ci piaceva (e ci piace) dire e pensare è: non vogliamo che ci sia un'entrata nel mondo della "normalità" delle persone omosessuali - anche in futuro -, ma vogliamo che il concetto di normalità si allarghi. L'idea è che improvvisamente divenga "norma" una serie di differenze che convivono... Credo che questa sia una battaglia anche politica, non solo per le persone omosessuali ma per qualsiasi persona differente. Quindi non la rivendicazione emarginante della propria diversità, ma dire che il concetto di normalità va allargato perché io ci sto, con tutta la mia differenza.



ML: "Io c'entro", direbbe qualcuno. Comunque, far parlare i "differenti", come avete fatto voi dev'essere stata una bella fatica. Soprattutto perché la "differenza" non è finita col fascismo.



(Goretti) Ti dico solo questo: la Shoah Foundation (quella di Spielberg, n.d.r.), per cui ho lavorato, ha raccolto circa cinquantamila interviste, ma tra di esse ce ne sono solo cinque di omosessuali che raccontano la loro esperienza nei lager. Tra l'altro questi cinque non erano italiani, ed erano comunque già noti. Io ero l'unico non ebreo nel mio gruppo di intervistatori, e la mia domanda è stata selezionata perché avevano visto che facevo una ricerca sull'omosessualità. Speravano che portassi dei testimoni vittime del nazifascismo dall'Italia. Ce n'era un gran bisogno.

(Giartosio) E' difficilissimo riuscire a far parlare queste persone. Alcuni parlano, altri no. E però nel semplice silenzio, nella resistenza passiva, c'è una forma di coraggio. Bisogna imparare a valutare il coraggio anche in modo contestuale, altrimenti si pensa alle categorie dell'impegno, della lotta, in modo un po' meccanico. Il silenzio degli omosessuali confinati sotto il fascismo, e poi vissuti in un mondo in cui l'idea di omosessualità cambiava vertiginosamente, in modo per loro assurdo, è stato un silenzio coraggioso.



ML:Grazie comunque per aver parlato di questo silenzio, e per la vostra collaborazione.





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