INTERVISTE
Intervista a Teresa De Sio

Quando i miei collaboratori hanno saputo che intervistavo Teresa De Sio mi hanno detto: lei che c'entra, è una cantante. Dal momento che scrivi tutti i testi delle tue canzoni vuoi spiegare ai lettori quanto c'entri tu con la scrittura?
La scrittura è un potente mezzo di ri-cognizione del mondo. Scrivendo si costruisce e si demolisce, si conosce e ci si perde. Chi scrive entra in relazione con milioni di altre anime, sconosciute, probabilmente disomogenee tra loro ed allo scrittore stesso. Eppure si getta sempre un ponte. E chi vuole passare passa.Così nella letteratura e nella poesia, così anche nelle canzoni.Però con la musica l'affare si complica perché l'autore di canzoni si trova a dover gestire contemporaneamente due linguaggi, la musica e le parole, già di per se autonomi e non necessariamente destinati a fondersi l'uno nell'altro. Quando la fusione va a buon fine nasce questo terzo oggetto, equidistante dalla scrittura poetica e dalla partitura musicale, che è la canzone. Io che sono autrice dei testi ma anche delle musiche conosco le insidie di questa cucina, so che se gli elementi non vengono miscelati con cura, succede come per la maionese :la materia impazzisce e bisogna buttare via tutto.
Nel tuo ultimo disco, "A sud a sud", hai recuperato la tradizione, non soltanto nella musica, penso alla ri-esplorazione del "fenomeno" della tarantella o alla riproposizione di classici come Lu bene mio di Matteo Salvatore, ma anche nell'uso di strumenti, tra tutti le tammorre. Un'urgenza dettata dai tempi o cosa?
Io nasco come musicista di musica popolare, con Musicanova, alla fine degli anni settanta. Questa è la mia matrice.Ma anche la mia illuminazione. Poi sono andata per strade diverse, ho scritto "altre" canzoni, mi sono mischiata con con la sperimentazione insieme a Brian Eno, con la canzone d'autore insieme a Fabrizio De Andrè, e con altro ancora. Ma io mi sento sempre come elemento attivo nel flusso della tradizione. In fin dei conti ciò che noi oggi percepiamo come tradizione, non è altro che il frutto sedimentato di una serie di innesti e sperimentazioni che, nel tempo, hanno avuto successo e dunque sono rimasti.
La tammorra è uno strumento cardine della musica contadina, per tradizione suonato da mani femminili. E' la sua forza dirompente a dirci continuamente che la musica popolare è il rock del popolo.
L'omaggio a Matteo era doveroso. Un vero maestro. A lui si deve l'invenzione, lontana nel tempo, di quel pregiatissimo sposalizio tra canzone d'autore e musica delle radici, di cui io mi sento diretta discendente.
Non c'è il rischio però che cantando di "Mamma Napoli" o della "luna marinara" che "asciutta tutte 'e lacrime" a Postano si riproponga un'immagine del paese da cartolina?
C'è una bellezza struggente nelle città di mare che ben conosce chi vi è nato e cresciuto.
Una bellezza che però, speculazione edilizia, eco-mostri, criminalità organizzata ed altre brutture mettono a serio rischio. Un mondo che va cantato perché il canto valorizza, tutela e tramanda.
"Stammo Buono" è una canzone di contraltare a "Mamma Napoli", più cattiva, che parla di pizzo e camorra e che certo non si addice ad una cartolina.
Parlavamo prima di tradizione: nel brano "Addio" emerge una donna forte e orgogliosa, lontana dagli stereotipi classici che la vuole invece in eterna attesa dell'amato. Una donna che dice: "mo' so io che nun voglio a te... se tu non cambi allora cambio io". Fa forse coppia con la sposa di "Rondine" che "si tolse il velo e se ne andò"?
Certo! c'è vicinanza tra queste due figure. Mi interessava anche molto mischiare passato e presente. Due storie di donne libere, indipendenti, molto "moderne". Sul piano musicale invece, "Addio" l'ho composta ispirandomi alla grande tradizione classica napoletana di fine ottocento, mentre "Rondine" è la rielaborazione di un vecchio fado portoghese.
"Stelle", riadattato da te da un brano del compositore brasiliano Lenine affronta il problema del senso di appartenenza al mondo e della solitudine: le persone "stanno sule, comm'a stelle appicciate int'o scuro.
La Canzone brasiliana ha molto in comune con quella napoletana. La stessa capacità di mettere insieme il sacro e il profano, ciò che è spirituale e ciò che è carnale, ciò che è terreno e ciò che è divino, la tristezza e l'allegria, il ritmo e la melodia. La solitudine, quando è il frutto di una scelta, diventa il luogo privilegiato da cui sorvegliare il mondo e il nostro senso di appartenenza ad esso.
A proposito di solitudine e paura. Dopo la prima vittoria elettorale di Berlusconi nel 94 in un'intervista dichiarasti d'aver vissuto il momento come una sorta di incubo. Ora col nuovo governo di centro-sinistra come ti poni?
Mbè, la speranza è l'ultima a morire... Mi auguro di veder rifiorire in questo paese il senso dello Stato, il rispetto per la cultura, ma più ancora l'idea che la cultura sia un bene di prima necessità come la casa, il pane, il lavoro. Spero anche in una riaffermazione del senso "etico" delle cose. Mi piacerebbe molto poter contare, in futuro, in una concezione non solo mercantile della vita. In questo senso forse, la visione del mondo che ci arriva dal nostro sud, può ancora illuminarci. Io ho cercato di raccontarla, questa visione, nello spettacolo (e nel film) CRAJ attraverso le storie dei grandi "vecchi" della musica popolare pugliese come I Cantori di Carpino, Matteo Salvatore, Uccio Aloisi.
La scrittura è un potente mezzo di ri-cognizione del mondo. Scrivendo si costruisce e si demolisce, si conosce e ci si perde. Chi scrive entra in relazione con milioni di altre anime, sconosciute, probabilmente disomogenee tra loro ed allo scrittore stesso. Eppure si getta sempre un ponte. E chi vuole passare passa.Così nella letteratura e nella poesia, così anche nelle canzoni.Però con la musica l'affare si complica perché l'autore di canzoni si trova a dover gestire contemporaneamente due linguaggi, la musica e le parole, già di per se autonomi e non necessariamente destinati a fondersi l'uno nell'altro. Quando la fusione va a buon fine nasce questo terzo oggetto, equidistante dalla scrittura poetica e dalla partitura musicale, che è la canzone. Io che sono autrice dei testi ma anche delle musiche conosco le insidie di questa cucina, so che se gli elementi non vengono miscelati con cura, succede come per la maionese :la materia impazzisce e bisogna buttare via tutto.
Nel tuo ultimo disco, "A sud a sud", hai recuperato la tradizione, non soltanto nella musica, penso alla ri-esplorazione del "fenomeno" della tarantella o alla riproposizione di classici come Lu bene mio di Matteo Salvatore, ma anche nell'uso di strumenti, tra tutti le tammorre. Un'urgenza dettata dai tempi o cosa?
Io nasco come musicista di musica popolare, con Musicanova, alla fine degli anni settanta. Questa è la mia matrice.Ma anche la mia illuminazione. Poi sono andata per strade diverse, ho scritto "altre" canzoni, mi sono mischiata con con la sperimentazione insieme a Brian Eno, con la canzone d'autore insieme a Fabrizio De Andrè, e con altro ancora. Ma io mi sento sempre come elemento attivo nel flusso della tradizione. In fin dei conti ciò che noi oggi percepiamo come tradizione, non è altro che il frutto sedimentato di una serie di innesti e sperimentazioni che, nel tempo, hanno avuto successo e dunque sono rimasti.
La tammorra è uno strumento cardine della musica contadina, per tradizione suonato da mani femminili. E' la sua forza dirompente a dirci continuamente che la musica popolare è il rock del popolo.
L'omaggio a Matteo era doveroso. Un vero maestro. A lui si deve l'invenzione, lontana nel tempo, di quel pregiatissimo sposalizio tra canzone d'autore e musica delle radici, di cui io mi sento diretta discendente.
Non c'è il rischio però che cantando di "Mamma Napoli" o della "luna marinara" che "asciutta tutte 'e lacrime" a Postano si riproponga un'immagine del paese da cartolina?
C'è una bellezza struggente nelle città di mare che ben conosce chi vi è nato e cresciuto.
Una bellezza che però, speculazione edilizia, eco-mostri, criminalità organizzata ed altre brutture mettono a serio rischio. Un mondo che va cantato perché il canto valorizza, tutela e tramanda.
"Stammo Buono" è una canzone di contraltare a "Mamma Napoli", più cattiva, che parla di pizzo e camorra e che certo non si addice ad una cartolina.
Parlavamo prima di tradizione: nel brano "Addio" emerge una donna forte e orgogliosa, lontana dagli stereotipi classici che la vuole invece in eterna attesa dell'amato. Una donna che dice: "mo' so io che nun voglio a te... se tu non cambi allora cambio io". Fa forse coppia con la sposa di "Rondine" che "si tolse il velo e se ne andò"?
Certo! c'è vicinanza tra queste due figure. Mi interessava anche molto mischiare passato e presente. Due storie di donne libere, indipendenti, molto "moderne". Sul piano musicale invece, "Addio" l'ho composta ispirandomi alla grande tradizione classica napoletana di fine ottocento, mentre "Rondine" è la rielaborazione di un vecchio fado portoghese.
"Stelle", riadattato da te da un brano del compositore brasiliano Lenine affronta il problema del senso di appartenenza al mondo e della solitudine: le persone "stanno sule, comm'a stelle appicciate int'o scuro.
La Canzone brasiliana ha molto in comune con quella napoletana. La stessa capacità di mettere insieme il sacro e il profano, ciò che è spirituale e ciò che è carnale, ciò che è terreno e ciò che è divino, la tristezza e l'allegria, il ritmo e la melodia. La solitudine, quando è il frutto di una scelta, diventa il luogo privilegiato da cui sorvegliare il mondo e il nostro senso di appartenenza ad esso.
A proposito di solitudine e paura. Dopo la prima vittoria elettorale di Berlusconi nel 94 in un'intervista dichiarasti d'aver vissuto il momento come una sorta di incubo. Ora col nuovo governo di centro-sinistra come ti poni?
Mbè, la speranza è l'ultima a morire... Mi auguro di veder rifiorire in questo paese il senso dello Stato, il rispetto per la cultura, ma più ancora l'idea che la cultura sia un bene di prima necessità come la casa, il pane, il lavoro. Spero anche in una riaffermazione del senso "etico" delle cose. Mi piacerebbe molto poter contare, in futuro, in una concezione non solo mercantile della vita. In questo senso forse, la visione del mondo che ci arriva dal nostro sud, può ancora illuminarci. Io ho cercato di raccontarla, questa visione, nello spettacolo (e nel film) CRAJ attraverso le storie dei grandi "vecchi" della musica popolare pugliese come I Cantori di Carpino, Matteo Salvatore, Uccio Aloisi.
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