ATTUALITA'
Alfredo Ronci
L'arte di turarsi il naso e l'autunno tedesco
Chi non ricorda l'invito che, anni fa, durante una campagna elettorale ibrida e moscia, il Montanelli anti-berlusconiano dell'ultimo periodo lanciò al popolo di quest'Italia che profuma di oleandri e di perché(1)? A chi lo ignora suggeriamo che fu una sorta di preghiera ad andare a votare, ma a turarsi il naso per l'eccessiva puzza di... sterco.
Operazione quella che, dal pulpito dal quale veniva, sembrava inappropriata e birichina: mi chiedo quale fetore emanasse il "buon" giornalista quando andava a braccetto col regime e si entusiasmava per i gasamenti delle popolazioni indigeni nelle terre dell'impero (polemiche da vecchio sessantottino, lo so, ora il Montanelli è anche sugli altari dell'intellettualismo neodemocratico).
Ma, tralasciando l'ex direttore de Il giornale che non è più fra noi, siamo sicuri che il suo invito non fosse invece una vecchia prassi e pure consolidata, qui da noi come all'estero?
La domanda mi sorge leggendo un libro straordinario: Autunno tedesco di Stig Dagerman.
Furono molti i giornalisti che nel 1946, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, attraversarono la Germania per vedere e scrivere degli orrori che erano scaturiti dal conflitto e della miseria a cui era sottoposta la popolazione.
Attivo antinazista fin dall'adolescenza e simpatizzante del giovane movimento anarchico "Storm", Dagerman ebbe l'occasione, durante un viaggio in Germania che iniziò il 15 ottobre e terminò il 10 dicembre, di toccare con mano la tragedia di un intero popolo ridotto alla fame prima da un regime sanguinario e brutale, poi da una politica alleata irresponsabile e per nulla "di rottura".
Questo stesso popolo che, di fronte alle esigenze di una ricostruzione del sistema, si trovò "costretto" a votare per scegliere i propri rappresentanti.
Racconta nel libro: In realtà Fräulein S., come moltissimi altri compatrioti che condividono la sua opinione, ha votato secondo il metodo dell'esclusione: la CDU, il partito cristiano-democratico, è escluso perché non si è religiosi; i comunisti non vanno bene perché i russi fanno paura; il partito liberale è troppo piccolo per poter contare qualcosa; quello conservatore è troppo sconosciuto; quindi rimangono i socialdemocratici, se proprio si deve votare. E la gente vota, nonostante affermi che è indifferente chi vinca le elezioni in un Paese che rimane comunque occupato. (pag.33).
Montanelli avrebbe sicuramente detto che il popolo tedesco aveva votato tappandosi il naso. A ragione, ma il lezzo tutt'attorno era dovuto non solo all'improponibilità di una classe politica già inquinata, ma alle condizioni impossibili di vita di quel momento.
La considerazione di Dagerman non piacque ai contemporanei (il libro uscì nel 1947), infastidì i socialdemocratici (ti credo!), fece incazzare i comunisti (idem) e procurò prurigine ai mollacchioni liberali.
Ma non aveva torto: qualcosa di simile si avverte, senza che lo dica mai, nella ricostruzione lucida e schematica che Crainz fa nel suo ultimo libro di un anno determinante per le sorti del nostro paese: il 1945.(2) Ma il giornalista svedese nella sua analisi impietosa va oltre: parla delle grosse responsabilità della gestione alleata e del perché la Germania post-nazista, post-nazista non lo fu mai: (...)Perché le nazioni capitaliste vincitrici all'Ovest non desideravano una rivoluzione antinazista. I gruppi rivoluzionari tedeschi sono stati isolati dagli eserciti vincitori, mentre questi ultimi avrebbero potuto disporre un anello protettivo di cannoni attorno ai confini della Germania per lasciare che i tedeschi stessi liquidassero l'odiato regime. Le masse rivoluzionarie dei campi di concentramento non sono state mandate a casa tutte assieme ma a piccoli gruppi innocui, i soldati sono stati liberati a minuscoli contingenti e i gruppi di opposizione nelle città, che già prima della fine della guerra avevano organizzato una denazificazione spesso severa, sono stati disarmati dagli alleati e sostituiti con le «Spruchkammern», che permettono a un Pubblico Ministero nazista ricomperare una fattoria mentre fanno morire di fame i lavoratori antinazisti.(pag.101).
Non faccio fatica a pensare che in Italia sia successa una cosa del genere e che il fascismo strisciante (e nemmeno tanto, vista l'evoluzione sanguinaria che ha avuto nella realizzazione della stagione delle stragi di stato) sia stato uno degli elementi dominanti della storia dell'Italia post-bellica. Altro che turarsi il naso... povera popolazione!
Il libro di Dagerman è, proprio perché dicevamo all'inizio straordinario, anche altro: l'ecumenicità del suo messaggio investe il dramma della popolazione ridotta alla fame e agli stenti. Leggendo l'appassionata cronaca non ho potuto non confrontarla con l'altro grande capolavoro dedicato ai tedeschi: Storia naturale della distruzione di W.G.Sebald (3). Il professore, durante memorabili lezioni tenute a Zurigo nel 1997 parlò della distruzione, senza precedenti, causate da oltre un milione di tonnellate di bombe, di centotrentuno città tedesche, provocando la morte di seicentomila civili e sette milioni di senzatetto e della rimozione totale, durata moltissimi anni, di tali sciagure da parte delle popolazioni del posto. Rimozione che, per una sorta di extrema ratio della sopravvivenza, fu quasi immediata: Nossak racconta che, tornando ad Amburgo pochi giorni dopo l'attacco, ha visto una donna lavare accuratamente i vetri di una casa «rimasta isolata ed intatta in mezzo al deserto di macerie... Credevamo fosse impazzita» scrive. Quindi soggiunge: «Lo stesso accade quando scorgemmo dei bambini intenti a strappare le erbacce e a rastrellare un giardino. Era così inconcepibile che ne parlammo in giro, quasi fosse un prodigio. (4)
Dagerman vide coi propri occhi una realtà dissociata, dove era possibile un desiderio di continuità col precedente regime non per folle ideologia, ma per necessità impellente. La fame, la miseria, gli stenti, avevano prodotto nella popolazione una deficienza, una condizione fisica, ma anche psichica, che non lascia molto spazio a lunghe riflessioni (Pag.11).
Votare socialdemocratico, turandosi il naso, era il male minore: il maggiore era sopravvivere alla giornata. Fu l'inizio di un autunno tedesco: lo sviluppo che ebbe poi la Germania Occidentale non può far dimenticare la divisione in due parti che il paese subì.
Dagerman da quel viaggio ne uscì provato. Una spiegazione in più per il suicidio avvenuto nel 1953?
(1)da Italia di Mino Reitano
(2)Guido Crainz – L'ombra della guerra. Il 1945, l'Italia – Donzelli – 2007
(3)W.G.Sebald - Storia naturale della distruzione – Adelphi – 2004.
(4)Pag. 50 . Ibidem
Stig Dagerman
Autunno tedesco
Lindau
Pag.137 Euro 12.00
Operazione quella che, dal pulpito dal quale veniva, sembrava inappropriata e birichina: mi chiedo quale fetore emanasse il "buon" giornalista quando andava a braccetto col regime e si entusiasmava per i gasamenti delle popolazioni indigeni nelle terre dell'impero (polemiche da vecchio sessantottino, lo so, ora il Montanelli è anche sugli altari dell'intellettualismo neodemocratico).
Ma, tralasciando l'ex direttore de Il giornale che non è più fra noi, siamo sicuri che il suo invito non fosse invece una vecchia prassi e pure consolidata, qui da noi come all'estero?
La domanda mi sorge leggendo un libro straordinario: Autunno tedesco di Stig Dagerman.
Furono molti i giornalisti che nel 1946, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, attraversarono la Germania per vedere e scrivere degli orrori che erano scaturiti dal conflitto e della miseria a cui era sottoposta la popolazione.
Attivo antinazista fin dall'adolescenza e simpatizzante del giovane movimento anarchico "Storm", Dagerman ebbe l'occasione, durante un viaggio in Germania che iniziò il 15 ottobre e terminò il 10 dicembre, di toccare con mano la tragedia di un intero popolo ridotto alla fame prima da un regime sanguinario e brutale, poi da una politica alleata irresponsabile e per nulla "di rottura".
Questo stesso popolo che, di fronte alle esigenze di una ricostruzione del sistema, si trovò "costretto" a votare per scegliere i propri rappresentanti.
Racconta nel libro: In realtà Fräulein S., come moltissimi altri compatrioti che condividono la sua opinione, ha votato secondo il metodo dell'esclusione: la CDU, il partito cristiano-democratico, è escluso perché non si è religiosi; i comunisti non vanno bene perché i russi fanno paura; il partito liberale è troppo piccolo per poter contare qualcosa; quello conservatore è troppo sconosciuto; quindi rimangono i socialdemocratici, se proprio si deve votare. E la gente vota, nonostante affermi che è indifferente chi vinca le elezioni in un Paese che rimane comunque occupato. (pag.33).
Montanelli avrebbe sicuramente detto che il popolo tedesco aveva votato tappandosi il naso. A ragione, ma il lezzo tutt'attorno era dovuto non solo all'improponibilità di una classe politica già inquinata, ma alle condizioni impossibili di vita di quel momento.
La considerazione di Dagerman non piacque ai contemporanei (il libro uscì nel 1947), infastidì i socialdemocratici (ti credo!), fece incazzare i comunisti (idem) e procurò prurigine ai mollacchioni liberali.
Ma non aveva torto: qualcosa di simile si avverte, senza che lo dica mai, nella ricostruzione lucida e schematica che Crainz fa nel suo ultimo libro di un anno determinante per le sorti del nostro paese: il 1945.(2) Ma il giornalista svedese nella sua analisi impietosa va oltre: parla delle grosse responsabilità della gestione alleata e del perché la Germania post-nazista, post-nazista non lo fu mai: (...)Perché le nazioni capitaliste vincitrici all'Ovest non desideravano una rivoluzione antinazista. I gruppi rivoluzionari tedeschi sono stati isolati dagli eserciti vincitori, mentre questi ultimi avrebbero potuto disporre un anello protettivo di cannoni attorno ai confini della Germania per lasciare che i tedeschi stessi liquidassero l'odiato regime. Le masse rivoluzionarie dei campi di concentramento non sono state mandate a casa tutte assieme ma a piccoli gruppi innocui, i soldati sono stati liberati a minuscoli contingenti e i gruppi di opposizione nelle città, che già prima della fine della guerra avevano organizzato una denazificazione spesso severa, sono stati disarmati dagli alleati e sostituiti con le «Spruchkammern», che permettono a un Pubblico Ministero nazista ricomperare una fattoria mentre fanno morire di fame i lavoratori antinazisti.(pag.101).
Non faccio fatica a pensare che in Italia sia successa una cosa del genere e che il fascismo strisciante (e nemmeno tanto, vista l'evoluzione sanguinaria che ha avuto nella realizzazione della stagione delle stragi di stato) sia stato uno degli elementi dominanti della storia dell'Italia post-bellica. Altro che turarsi il naso... povera popolazione!
Il libro di Dagerman è, proprio perché dicevamo all'inizio straordinario, anche altro: l'ecumenicità del suo messaggio investe il dramma della popolazione ridotta alla fame e agli stenti. Leggendo l'appassionata cronaca non ho potuto non confrontarla con l'altro grande capolavoro dedicato ai tedeschi: Storia naturale della distruzione di W.G.Sebald (3). Il professore, durante memorabili lezioni tenute a Zurigo nel 1997 parlò della distruzione, senza precedenti, causate da oltre un milione di tonnellate di bombe, di centotrentuno città tedesche, provocando la morte di seicentomila civili e sette milioni di senzatetto e della rimozione totale, durata moltissimi anni, di tali sciagure da parte delle popolazioni del posto. Rimozione che, per una sorta di extrema ratio della sopravvivenza, fu quasi immediata: Nossak racconta che, tornando ad Amburgo pochi giorni dopo l'attacco, ha visto una donna lavare accuratamente i vetri di una casa «rimasta isolata ed intatta in mezzo al deserto di macerie... Credevamo fosse impazzita» scrive. Quindi soggiunge: «Lo stesso accade quando scorgemmo dei bambini intenti a strappare le erbacce e a rastrellare un giardino. Era così inconcepibile che ne parlammo in giro, quasi fosse un prodigio. (4)
Dagerman vide coi propri occhi una realtà dissociata, dove era possibile un desiderio di continuità col precedente regime non per folle ideologia, ma per necessità impellente. La fame, la miseria, gli stenti, avevano prodotto nella popolazione una deficienza, una condizione fisica, ma anche psichica, che non lascia molto spazio a lunghe riflessioni (Pag.11).
Votare socialdemocratico, turandosi il naso, era il male minore: il maggiore era sopravvivere alla giornata. Fu l'inizio di un autunno tedesco: lo sviluppo che ebbe poi la Germania Occidentale non può far dimenticare la divisione in due parti che il paese subì.
Dagerman da quel viaggio ne uscì provato. Una spiegazione in più per il suicidio avvenuto nel 1953?
(1)da Italia di Mino Reitano
(2)Guido Crainz – L'ombra della guerra. Il 1945, l'Italia – Donzelli – 2007
(3)W.G.Sebald - Storia naturale della distruzione – Adelphi – 2004.
(4)Pag. 50 . Ibidem
Stig Dagerman
Autunno tedesco
Lindau
Pag.137 Euro 12.00
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