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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

L'insonnia della rondine: Daniele Boccardi.

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Tutti gli inetti scrivono poesie, pochissimi, romanzi. Raccontare è difficile. (Daniele Boccardi).



Aveva ragione lui: raccontare è difficile. Ma proverò a farlo parlando di una storia che ha il sapore di quelle di una volta.

Anni fa (almeno dieci, se non di più) nella redazione del Paradiso (allora) cartaceo, arrivò una busta che conteneva dei fogli dattiloscritti, accompagnati da una lettera di un signore, si qualificava come il padre dell'autore, che ci invitava a leggere quei raccontini perché erano tra le ultime cose che il figlio aveva scritto prima di suicidarsi.

In realtà non erano raccontini, ma veri e propri singulti, frammenti di un progetto più ampio: me ne interessai di persona, ma colpevolmente non li pubblicai perché non riuscii a dar loro una 'forma' letteraria compiuta.

Tempo qualche mese e mi arrivò un volume di poesie di Daniele Boccardi: Confidenza con la notte (Protagon Editori Toscani). Ecco cosa scrissi nel n.23 del Paradiso degli orchi.

'Stordisce, e per certi versi soggioga, il laico orrore con cui Daniele Boccardi affronta la vita. Il titolo della raccolta, con una breve appendice di prosa e di dialoghi, è in realtà una reductio del suo sentire: non confidenza con la notte, ma confidenza con la morte. Scrive: Non voglio nemmeno morire/ vorrei essere morto/ ma no, non è uguale a morire.

Una condizione dell'esistenza dunque che sconcerta e consiglia un trapasso quasi più dolce, certo diverso e più rapido, ma non nega tracce di effimera serenità: Basta, no? Basta/ di questa storia seriale/ che sgoccioli via via/ mentre ogni tanto è una gioia.

Una condizione a togliere, che per essere vissuta deve sottrarre, non aggiungere: Oggi un giorno è passato dormendo/ stamattina e stasera:/ un pensiero levato.

All'inizio parlavamo di laico orrore, di sentimento scevro di puntelli parareligiosi e che invece ottunde i sensi. Laico orrore di un autore che preferisce più che il nichilismo estremo, una trasformazione ad immagine e somiglianza del proprio universo: Mi piace poco il mondo/ mi piace di più il mio.

Ma questa capacità demiurgica non gli risparmia una visione dei sentimenti quasi dimezzata. Due forti testimonianze lo dimostrano. La prima: La parte migliore era con Carla/ compreso fare finta di/ aver voglia di/ baciarla/ sì, ma solo di/ baciarla.

La seconda, per intensità struggente e matura (e meriterebbe l'applauso) ricorda i versi più sentiti di un grande del novecento: Sandro Penna. L'amore mio/ si stempera/ ogni volta/ che lo scrivo.

Daniele Boccarsi è morto suicida nel 1993. Dobbiamo questa raccolta di versi all'impegno e alla cura degli amici più cari. Come recensore non posso non esser loro grato'.

Ma il recensore di allora (che avvertì il padre della pubblicazione del pezzo e per il quale ricevette in regalo due pipe, che conserva gelosamente), pur affascinato dalla compattezza e compostezza delle liriche, non conosceva il grosso della produzione del Boccardi che, per vie traverse e per interessamento di alcune persone, arrivarono all'attenzione del patron di Stampa Alternativa: Marcello Baraghini.

Nel corso di questi ultimi anni si è tentato di dare un ordine all'intera produzione letteraria del giovane grossetano (qualcuno dice che il giorno dopo il suicidio, in casa Boccardi, arrivò la telefonata della Mondadori... ma onestamente mi sembra un episodio per alimentare il 'mito'). Baraghini pubblicò prima un 'mille lire' (2001) dove si raccoglievano alcune storie scritte ai temnpi del liceo: Racconti di paglia (Scritti a 16-17 anni, quando ancora frequentava il liceo, questi racconti anticipano e svelano temi e stile di Daniele Boccardi, morto suicida a 32 anni. Leggerli significa entrare nel tempo – troppo breve – in cui Daniele ha segnato i confini della sua ricerca: da epistemologo, interrogandosi sui limiti della scienza e da poeta sul senso dadare alla sua vita).

Nel 2002 sempre Stampa Alternativa pubblica quella che può considerasi una vera e propria sintesi delle capacità letterarie del giovane scrittore: Vite minime. Scritti diseducativi. Che non hanno nulla di diseducativo (ma richiamano un aforisma dello stesso Boccardi), anzi, restituiscono al lettore l'edificante disegno di un progetto narrativo a tratti di dolorosissima ispirazione e quindi di un'altezza che sempre di più oggi si stenta persino ad avvicinare.

Un volume che racchiude racconti, poesie, fiabe ed alcuni aforismi di micidiale proprietà. Sui racconti si sono addirittura indicati, come numi tutelari, Bianciardi e Carver: L'erede di Luciano Bianciardi? Era nella stessa città, Grosseto. Ma hanno fatto finta di non accorgersene. Carver italiano? Era a Grosseto. Non lo hanno riconosciuto e si sono accontentati di quello americano.

Personalmente vorrei evitare giudizi e confronti, ma basta leggere Una mela bacata per rendersi conto come Boccardi, con sapiente precisione, sapeva descrivere un ambiente provinciale, una dimensione sociologica dell'essere, i luoghi comuni e una raffinata prospettiva psicanalitica.

Le poesie brillano di una disperata consapevolezza: Vorrei che il muro mi sbattese in testa/ Pretendo un suolo che mi schianti in volo/ che la lametta e l'acqua calda insieme/ d'accordo mi estinguessero le vene./ M'aspetto che la sorte mi fornisca/ sua sponte la mortifera pasticca.

Oppure la straordinaria cognizione del proprio essere 'geografico' nel mondo in '50 kili': Tanto poco/ mi desidera/ il centro della terra.

Gli aforismi poi, come si diceva poco fa, sono di micidiale proprietà. Tre fra tutti. Il primo: Un bambino non è mai tutto suo padre. Anche questo è un passo avanti (Genetica). Il secondo: Non è vero che ti abbia dimenticata, ogni tanto ti dedico una masturbazione. L'ultimo non è certo una risposta a quanti si chiedono un perché del suo insano gesto, ma piuttosto una folgorante adesione ad una vita 'altra': Non conosco bene Dio, ma non mi piacciono quelli che si fanno pregare.

A sedici anni dalla sua morte, Daniele Boccardi andava ricordato. E credo andasse ricordato così.

Recentemente ho telefonato al padre per chiedergli una foto del figlio. Non me l'ha mandata (quella che vedete nel riquadro è l'unica che si possa trovare in rete) e in più mi ha detto di soprassedere alla stesura del pezzo perché le sorelle (?) non avrebbero voluto. Voluto cosa? Che i lettori facciano finalmente i conti, in questi tempi di discinta superficialità, col vero peso della letteratura?







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