RACCONTI
Mauro Savino
La prima del mimo
Gli ebrei dicono che "Tre cose arrivano all'improvviso: il Messia, un oggetto trovato, e uno scorpione."
Io dovetti accontentarmi di una telefonata.
"Ciao Billy..."
"Mimo..."
"Sto cercando di mettere su un laboratorio in un cortile."
"E ?"
"Beh, perché non vieni a darmi una mano? Male che vada ho una bottiglia di Jack Daniels."
"Male che vada..."
Il Mimo lo chiamavano così perché aveva il pallino del teatro. Solo che il teatro non la pensava allo stesso modo. E lui cercava di metter su delle baracche che inevitabilmente la nettezza comunale gli faceva buttare giù.
Del resto non aveva mai avuto il trip di andarsene a cercar fortuna nella metropoli o di aver a che fare con le platee - il suo motto era "non date alle platee quel ch'è del plateale" – montava tavolacci, faceva mantovane di tende da roulotte, dai cantieri recuperava il palco e organizzava serate con degli amici e beveva né più né meno di un qualsiasi inquilino del mondo ubriaco di fine millennio. Ovviamente sapeva che deliravo nei parchi e per questo mi chiamò.
La provincia non chiude mai col suo passato e quindi capitava di trovare nei cortili dei palazzi che un tempo erano stati portici arabi, souvenir in buono stato dei pollai del bel tempo andato.
Idea del Mimo: ci prendiamo un angolo e montiamo la struttura...tu sei andato...andiamo! se non mi prendo troppo spazio me la faranno tener su per un po'...Mimo, la vecchia del terzo piano si ricorderà che sua nonna buttava l'acqua sporca dalla finestra e organizzerà delle gare con le ragazze del saturday night rosario per celebrare il bicentenario di sua nonna...hai da accendere?...Mimo hai sentito che ho detto?...ah! e mi passeresti la boccia e il bicchiere quadrato a fondo largo sul davanzale?...fanculo...James Dean non fumava mai senza un bicchiere di rum nella sinistra...
Il Mimo aveva trovato i pezzi per il palco tra le betoniere delle cooperative a cui non servivano perché secondo lui, i lavori quelli li avrebbero finiti il giorno prima che N.S. si fosse deciso a giudicare i vivi e i morti. Erano avanzi di lamiera e tavolacci usati per le passerelle più alcuni tubi di ferro che sarebbero serviti per i rinforzi. C'era pure qualche pialla.
"La scena è scena. Facciamo il palco."
La pedana che costruimmo era alta appena mezzo metro. Ma l'importante era che fosse sopraelevata. Il palco era appena due metri per due ma tanto il mimo aveva deciso che ci sarebbe stato un solo attore e una donna nuda tra le pesanti tende di broccato che il Mimo aveva riciclato da un tappezziere, un tempo uno dei massimi esponenti del pensiero debole dell'isolato.
Un tizio ci mollò un tavolino incastrato tra gli scaffali della sua cantina ma il Mimo non cercò sedie. Piazzammo i tavolacci dei muratori di taglio ai lati della pedana in modo da formare due elle una di fronte all'altra. Sul tavolo avevamo montato una finestrella – "le finestre sono fondamentali" aveva detto il Mimo – ma s'era fatto buio e ce ne andammo.
Squillò il cellulare. Era ***. Volevamo andare a bere qualcosa da lui? Che venisse lui. Noi eravamo mezzi ciucchi.
*** era un huysmaniano convinto.
Ma tutto l' estetismo di cui era stato capace era quello che aveva riservato alla cabina del suo tir quando i suoi erano morti in un incidente lasciandogli una casa che non poteva mantenere e lui aveva deciso che a quel punto tanto valeva vivere per strada. Visto che veniva perché non facevamo una scaletta? "Ok. Portati un paio di cassidy a riposo. Noi ci mettiamo il vino." Era d'accordo. A volte doveva pur uscire dalla sua sala comandi.
D'estate, quando il palazzo andava in dacia, si faceva anche nel palazzo. Rigorosamente al primo piano è chiaro. Altrimenti sul retro del palazzo – che dava sulla strada e soprattutto sulle luci. Non era molto alta ma potevano starci comodi in venti più o meno. I posti erano a caso. Non si cominciava da niente. Si proseguivano solo i discorsi a casaccio cominciati prima. L'unica regola era che quando ti faceva male il culo ti alzavi e te ne andavi salutando oppure no.
*** fece il suo e noi pure. E facemmo la scaletta. *** prese a lamentarsi che ormai si faceva solo puttane. Noi gli dicemmo che noi stavamo mettendo su uno dei teatrini del Mimo per cui andavamo a puttane come e più di lui. Che la piantasse di lamentarsi. Mezzokerouac – un albanese sbarcato con Nietzsche e giornaletti porno nella sacca perché prevedeva tempi duri – saltò fuori con una storia di pugili cubani talmente sfigati che erano pronti ad affrontare praticamente chiunque e che quindi non affrontavano nessuno.
"Sfigati due volte" fece uno. Risate da zapatisti ubriachi erano il segno che l'avevi detta giusta. Ovviamente Labouche concedeva sempre e solo la ruga post-trenta del mezzo sorriso stretto.
"Ma come cazzo fai?, gridò il Mimo da sopra, Cristo, non ridi mai!"
Tenore gonfiò il petto e levata in alto la bottiglia che una grossa etichetta salvava dal sospetto che si trattasse di un pessimo tombeur da supermercato fece il suo pezzo: "Syd Vicious era un operaio turnista della Ford che si era rotto i coglioniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!"
Risate. Viva Zapata.
"Io non mi sono fatto prete solo perché i preti hanno orari e pacchetti all-inclusive di cui non gli è permesso di liberarsi."
"La religione è per i santi si sa. I preti non se lo ficcano in zucca e continuano a ricattare i ragazzini col calcetto."
"Io all'oratorio ci sono andato una sola volta. Una sola in tutta la vita."
"Se ci fossi andato la seconda volta ora lavoreresti in banca."
"Oppure non avrei fatto dell'infanzia un'eventiade."
"Pure questo è vero."
"L'altra sera mi sono fatto una grassona per vedere se dopo lievitava nella stanza."
Zapata...
"Billy, dammi una di quelle merde senza filtro che ti spari. Voglio capire che cazzo ci trovi."
"Sarà colpa di qualche troiata in biancoenero."
Mezzokerouac si alzò dicendo che sarebbe venuto a vedere la struttura. Mi alzai dal gradino e lo seguii per farmi dare un passaggio.
Il giorno dopo io e il Mimo continuammo i lavori.
"Abbiamo quasi finito."
"Già."
"Hai pensato a chi invitare alla prima?"
"A suo tempo. A suo tempo."
La scena era quasi pronta. A mezzogiorno me ne andai a casa.
Davanti casa trovai lo spazzino circondato da un fogliame ribelle.
"Dovrebbero fare degli aspiramonnezza. Si guadagnerebbe un sacco di tempo."
"Speriamo di no. Spazzare è meditazione."
"Allora le casalinghe sono privilegiate."
"No. Loro lo fanno per la famiglia o per sé. Noi non lo facciamo per nessuno. Voglio dire, ci pagano. Il resto è silenzio e concetto."
"Capisco."
"No non è vero. Ma va bene così. Addio."
"Addio."
Andai dal Mimo verso sera.
Lo trovai alle prese con il whisky.
"Salute!"
"Sai, il whisky è un rimedio universale. E' buono sia per la fame che per la sete."
"Hai montato da solo quelle travi?"
"Si."
"Beh, la scena è pronta."
"Tu lo sai che faceva Cicerone?"
"Che faceva?"
"Lui aveva per amico un mimo...così ogni tanto andava da lui e facevano a gara. Cicerone usava le parole. Il Mimo i gesti. Si trattava di giocare a chi faceva prima e meglio."
"Potevano chiamare Lutero almeno!"
"Già..."
"E' venuto qualcuno?"
"Nessuno."
"Allora? E' stasera no?"
"E' stasera."
"Bene."
Alle 21.00 eravamo tutti lì. Il Mimo non aveva detto a nessuno cosa avrebbe messo in scena. Aveva preparato una piccola platea, non più di venti posti e offriva whisky a tutti.
Cominciammo a parlare del più e del meno. Si rideva. Scroccai sigarette e aspettai con gli altri che lo spettacolo avesse inizio. Tra l'altro il Mimo – che in genere era sul palco a preparare la scena – quella volta se ne stette a fumare con noi. Il che accresceva l'aspettativa.
Prese a far girare pezzi di Sibelius dicendoci che lo faceva perché fintanto che non succedeva niente si poteva ascoltare la musica, mentre durante lo spettacolo era possibile solo alterare la musica.
Intanto s'erano fatte le 22.00 e ancora niente.
Si restava in attesa si, ma tutti sembravano curiosamente a proprio agio anche se non succedeva niente. Ogni tanto qualcuno gettava uno sguardo alla struttura ma niente di più.
Alle 23.00 il Mimo ci invitò tutti a casa sua per trasferire le chiacchiere altrove, dopo aver annunciato solennemente e suscitando reazioni le più disparate:
"Signori lo spettacolo è finito."
Io dovetti accontentarmi di una telefonata.
"Ciao Billy..."
"Mimo..."
"Sto cercando di mettere su un laboratorio in un cortile."
"E ?"
"Beh, perché non vieni a darmi una mano? Male che vada ho una bottiglia di Jack Daniels."
"Male che vada..."
Il Mimo lo chiamavano così perché aveva il pallino del teatro. Solo che il teatro non la pensava allo stesso modo. E lui cercava di metter su delle baracche che inevitabilmente la nettezza comunale gli faceva buttare giù.
Del resto non aveva mai avuto il trip di andarsene a cercar fortuna nella metropoli o di aver a che fare con le platee - il suo motto era "non date alle platee quel ch'è del plateale" – montava tavolacci, faceva mantovane di tende da roulotte, dai cantieri recuperava il palco e organizzava serate con degli amici e beveva né più né meno di un qualsiasi inquilino del mondo ubriaco di fine millennio. Ovviamente sapeva che deliravo nei parchi e per questo mi chiamò.
La provincia non chiude mai col suo passato e quindi capitava di trovare nei cortili dei palazzi che un tempo erano stati portici arabi, souvenir in buono stato dei pollai del bel tempo andato.
Idea del Mimo: ci prendiamo un angolo e montiamo la struttura...tu sei andato...andiamo! se non mi prendo troppo spazio me la faranno tener su per un po'...Mimo, la vecchia del terzo piano si ricorderà che sua nonna buttava l'acqua sporca dalla finestra e organizzerà delle gare con le ragazze del saturday night rosario per celebrare il bicentenario di sua nonna...hai da accendere?...Mimo hai sentito che ho detto?...ah! e mi passeresti la boccia e il bicchiere quadrato a fondo largo sul davanzale?...fanculo...James Dean non fumava mai senza un bicchiere di rum nella sinistra...
Il Mimo aveva trovato i pezzi per il palco tra le betoniere delle cooperative a cui non servivano perché secondo lui, i lavori quelli li avrebbero finiti il giorno prima che N.S. si fosse deciso a giudicare i vivi e i morti. Erano avanzi di lamiera e tavolacci usati per le passerelle più alcuni tubi di ferro che sarebbero serviti per i rinforzi. C'era pure qualche pialla.
"La scena è scena. Facciamo il palco."
La pedana che costruimmo era alta appena mezzo metro. Ma l'importante era che fosse sopraelevata. Il palco era appena due metri per due ma tanto il mimo aveva deciso che ci sarebbe stato un solo attore e una donna nuda tra le pesanti tende di broccato che il Mimo aveva riciclato da un tappezziere, un tempo uno dei massimi esponenti del pensiero debole dell'isolato.
Un tizio ci mollò un tavolino incastrato tra gli scaffali della sua cantina ma il Mimo non cercò sedie. Piazzammo i tavolacci dei muratori di taglio ai lati della pedana in modo da formare due elle una di fronte all'altra. Sul tavolo avevamo montato una finestrella – "le finestre sono fondamentali" aveva detto il Mimo – ma s'era fatto buio e ce ne andammo.
Squillò il cellulare. Era ***. Volevamo andare a bere qualcosa da lui? Che venisse lui. Noi eravamo mezzi ciucchi.
*** era un huysmaniano convinto.
Ma tutto l' estetismo di cui era stato capace era quello che aveva riservato alla cabina del suo tir quando i suoi erano morti in un incidente lasciandogli una casa che non poteva mantenere e lui aveva deciso che a quel punto tanto valeva vivere per strada. Visto che veniva perché non facevamo una scaletta? "Ok. Portati un paio di cassidy a riposo. Noi ci mettiamo il vino." Era d'accordo. A volte doveva pur uscire dalla sua sala comandi.
D'estate, quando il palazzo andava in dacia, si faceva anche nel palazzo. Rigorosamente al primo piano è chiaro. Altrimenti sul retro del palazzo – che dava sulla strada e soprattutto sulle luci. Non era molto alta ma potevano starci comodi in venti più o meno. I posti erano a caso. Non si cominciava da niente. Si proseguivano solo i discorsi a casaccio cominciati prima. L'unica regola era che quando ti faceva male il culo ti alzavi e te ne andavi salutando oppure no.
*** fece il suo e noi pure. E facemmo la scaletta. *** prese a lamentarsi che ormai si faceva solo puttane. Noi gli dicemmo che noi stavamo mettendo su uno dei teatrini del Mimo per cui andavamo a puttane come e più di lui. Che la piantasse di lamentarsi. Mezzokerouac – un albanese sbarcato con Nietzsche e giornaletti porno nella sacca perché prevedeva tempi duri – saltò fuori con una storia di pugili cubani talmente sfigati che erano pronti ad affrontare praticamente chiunque e che quindi non affrontavano nessuno.
"Sfigati due volte" fece uno. Risate da zapatisti ubriachi erano il segno che l'avevi detta giusta. Ovviamente Labouche concedeva sempre e solo la ruga post-trenta del mezzo sorriso stretto.
"Ma come cazzo fai?, gridò il Mimo da sopra, Cristo, non ridi mai!"
Tenore gonfiò il petto e levata in alto la bottiglia che una grossa etichetta salvava dal sospetto che si trattasse di un pessimo tombeur da supermercato fece il suo pezzo: "Syd Vicious era un operaio turnista della Ford che si era rotto i coglioniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!"
Risate. Viva Zapata.
"Io non mi sono fatto prete solo perché i preti hanno orari e pacchetti all-inclusive di cui non gli è permesso di liberarsi."
"La religione è per i santi si sa. I preti non se lo ficcano in zucca e continuano a ricattare i ragazzini col calcetto."
"Io all'oratorio ci sono andato una sola volta. Una sola in tutta la vita."
"Se ci fossi andato la seconda volta ora lavoreresti in banca."
"Oppure non avrei fatto dell'infanzia un'eventiade."
"Pure questo è vero."
"L'altra sera mi sono fatto una grassona per vedere se dopo lievitava nella stanza."
Zapata...
"Billy, dammi una di quelle merde senza filtro che ti spari. Voglio capire che cazzo ci trovi."
"Sarà colpa di qualche troiata in biancoenero."
Mezzokerouac si alzò dicendo che sarebbe venuto a vedere la struttura. Mi alzai dal gradino e lo seguii per farmi dare un passaggio.
Il giorno dopo io e il Mimo continuammo i lavori.
"Abbiamo quasi finito."
"Già."
"Hai pensato a chi invitare alla prima?"
"A suo tempo. A suo tempo."
La scena era quasi pronta. A mezzogiorno me ne andai a casa.
Davanti casa trovai lo spazzino circondato da un fogliame ribelle.
"Dovrebbero fare degli aspiramonnezza. Si guadagnerebbe un sacco di tempo."
"Speriamo di no. Spazzare è meditazione."
"Allora le casalinghe sono privilegiate."
"No. Loro lo fanno per la famiglia o per sé. Noi non lo facciamo per nessuno. Voglio dire, ci pagano. Il resto è silenzio e concetto."
"Capisco."
"No non è vero. Ma va bene così. Addio."
"Addio."
Andai dal Mimo verso sera.
Lo trovai alle prese con il whisky.
"Salute!"
"Sai, il whisky è un rimedio universale. E' buono sia per la fame che per la sete."
"Hai montato da solo quelle travi?"
"Si."
"Beh, la scena è pronta."
"Tu lo sai che faceva Cicerone?"
"Che faceva?"
"Lui aveva per amico un mimo...così ogni tanto andava da lui e facevano a gara. Cicerone usava le parole. Il Mimo i gesti. Si trattava di giocare a chi faceva prima e meglio."
"Potevano chiamare Lutero almeno!"
"Già..."
"E' venuto qualcuno?"
"Nessuno."
"Allora? E' stasera no?"
"E' stasera."
"Bene."
Alle 21.00 eravamo tutti lì. Il Mimo non aveva detto a nessuno cosa avrebbe messo in scena. Aveva preparato una piccola platea, non più di venti posti e offriva whisky a tutti.
Cominciammo a parlare del più e del meno. Si rideva. Scroccai sigarette e aspettai con gli altri che lo spettacolo avesse inizio. Tra l'altro il Mimo – che in genere era sul palco a preparare la scena – quella volta se ne stette a fumare con noi. Il che accresceva l'aspettativa.
Prese a far girare pezzi di Sibelius dicendoci che lo faceva perché fintanto che non succedeva niente si poteva ascoltare la musica, mentre durante lo spettacolo era possibile solo alterare la musica.
Intanto s'erano fatte le 22.00 e ancora niente.
Si restava in attesa si, ma tutti sembravano curiosamente a proprio agio anche se non succedeva niente. Ogni tanto qualcuno gettava uno sguardo alla struttura ma niente di più.
Alle 23.00 il Mimo ci invitò tutti a casa sua per trasferire le chiacchiere altrove, dopo aver annunciato solennemente e suscitando reazioni le più disparate:
"Signori lo spettacolo è finito."
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