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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Phil Potter

La storia di Elge

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Elge non aveva la tendenza a cacciarsi nei guai; le piaceva curiosare e a New York, nel cuore della grande mela, trovò un posticino che non aveva a che fare nè col business, nè con lo show. Non era il luogo di ritrovo di artisti geniali e squattrinati e in giro non c'erano alcolisti, prostitute e pankabbestia. Non si vedevano lì, personaggi che parlano di soldi, di lavoro, di cose che non vanno e di quelle che funzionerebbero, se fossero loro a governare. Il posticino era un buco; non immaginatevi però, una topaia, o un postribolo. Si trattava di un'ex cantinetta al di sotto del livello della strada, priva di ogni insegna all'esterno. Elge entrò senza bussare, invitata solo dall'odore di cibo cotto da poco, buono e fresco, fragrante. Era attratta dall'aroma che sapeva di acquolina, di zie che sanno cucinare, di ricordi che lei, senza famiglia, non poteva avere e che tuttavia in modo oscuro, conservava. Un enorme serbatoio di infanzie conteneva le tracce di vita trascorsa a ingoiare, a superare, a trattenere e a cacciare vaste porzoni del suo esistere, nel dimenticatoio.

All'improvviso ecco che si fa strada nella mente un solco; una specie di materia incolore e pesante che la trascina nell' incubo fatto di gridi.

- Elge! Elge! Non frignare! Chiudi quella bocca! -

In fondo ai pensieri e alle reminiscenze, in fondo al baratro, scattava un boato, si chiudeva una botola, s'illuminava un volto; poi tornavano col rumore della sua stramba, davvero bizzarra esistenza, i silenzi e il segreto. Elge longilinea, morbida, celava la spigolosità con movenze da danzatrice e aveva imparato a sorridere e non aveva nulla delle barbies di plastica e nuotava come un tonno! Sì, come un tonno-farfalla! Altro che delfini!

Il tonno-farfalla s'intrufolò in quell'angolo incastonato nella little Italy del 2298. Oggi potrà sembrarci normale, ma all'epoca non poteva darsi per scontato; fu così che la meraviglia di Elge esplose quando ad accoglierla si presentò un vikingo, il gestore del Buco. Capite? Non un Italian, ma un Irish simpatico, tutto trapiantato, incelofanato. Oggi non girano più tipi ricuciti e assai aitanti! Per via del nailoscoccie utilizzato nelle operazioni chirurgiche di ricostruzione in auge negli anni della Grande Sopravvivenza, i ragazzi risultavano trasparenti. Alvin Potter, tale era il nome dell'irlandese, rispondeva alla perfezione al modello di fusione incarnata tra anima e gelatina; la giovane Elge ne restò impressionata e perse la verginità. In quale mondo era dunque finita lei, specie di piccola fiammiferaia, che non aveva mai incontrato fino ad allora un Modò? Si guardò intorno, certo, ne aveva sentito parlare; si trattava degli uomini di una volta, resi immortali dal Gel che costituiva gli organi e l'epidermide, la delicata trasparenza d' insetto. Sembravano luccioloni fluorescenti dai tenui colori compresi tra l'alabastro e uno schizzo di blu, o proprio di elettricità. I ragazzoni mettevano in mostra i condotti, i visceri, i tubicini interni: vecchio e nuovo sposati per l'eternità, sapientemente incollati alle pareti pneumatiche, sottili e resistenti. Come ben potete intendere, Elge s'innamorò di Alvin Potter. Lui l'amò; la introdusse nell'incantevole Buco: la presentò agli abitanti e la fece affacciare alla terrazza da cui si respirava l'aria del Fuji-san.

I minuscoli personaggi ronzavano attorno ad Elge per tenerle compagnia quando l'uomo era fuori. Che graziosa biancaneve, quanti ospiti graditi, che amici stupendi ai quali sorridere sapendo tacere per sempre, sull'inferno.

Tutti adoravano Elge perchè cantava benchè non fosse capace di dire. Tutti la desideravano e tutti un bel giorno perirono, immortali compresi. Non era stato facile da piccola, vivere come lei aveva fatto, pensando che non tutto fosse lurido e proibito e finalmente, con la scomparsa dell'intera tribù del Buco, scandalizzò tanta gente perbene, rifatta e aggiustata; dette degna sepoltura - barbaro e antico costume di ere sorpassate - ai corpi sgonfi , ormai cadaveri e al passato.

Elge si occupò personalmente del tenero epitaffio che fece apporre sulla lapide e che pressappoco recita così:



A voi che vi imbottiste

di gel per sopravvivere

e mi donaste affetto,

dico: non ubriacatemi

di livide rimembranze,

evocazioni sparse;

se feci lo strip-tease

x Alvin,

se accettai la vs presenza,

sappiate che quanto rimane

è nebbia;

la mia non sarà

la forma del vs spettro.

Amen.






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