RACCONTI
Giovanni Mauro
Letting go
Poi c'era la faccenda del sesso, certo.
Elena prese i pomodori dal frigo. Era ancora pungente il ricordo quando, fresca di matrimonio (ma anche prima, molto prima), si lasciava invadere dalla gioiosa irruenza di un Emanuele più incosciente e meno controllato di quello attuale. Le succedeva poi di continuare a tremare tutto il giorno, persa in quella speciale risonanza che nessun altro uomo aveva saputo evocare prima e lei neppure si sognava di possedere. Per questo lo aveva voluto tutto per sé. Tutto per sé, Cristo, che parola grossa. Comunque se l'era sposato, Emanuele. Con l'idea di tenersi vicino quel suono per tutta la vita. Di danzare per sempre, lei ballerina di corpo e di testa, su quella loro privata vibrazione.
Ma la melodia incantevole, come spesso fanno le melodie incantevoli, era terminata troppo presto.
Magari, fosse stata lei l'imprenditrice sempre indaffarata fra telefonate di clienti, discussioni con i fornitori e riunioni mentre Emanuele rimaneva a casa giorno dopo giorno, preparando un pasto dopo l'altro...E invece: 'Il dottore è in riunione' era diventato il mantra beffardo che si sentiva propinare al telefono ogni volta che miss Solitudine le mordeva la gola. E visioni di ventenni stagiste inginocchiate passavano fugaci davanti ai suoi occhi. Non era gelosa, non più di una mamma che guarda il bambino davanti ad una gelateria.
Meglio una bistecca a casa che un hamburger fuori? Povero Paul Newman, come era sembrato vecchio quando aveva fatto la sua patetica sparata a favore dell'amor coniugale...
Stava appunto preparando la cena, Elena. Alle undici di mattina. Tutti usciti, chi a scuola, chi al lavoro, un qualsiasi giorno d'estate nella sua vita.
Oppure se lei ed Emanuele fossero stati due operai in cassa integrazione: questo mese lavoro io, il prossimo tu, vedrai che ce la faremo. Alle prese con il lunario da sbarcare non ci sarebbe stato tempo per queste paturnie da signora borghese. O forse sì? Le crisi affettive hanno una vocazione interclassista.
No question, il sesso con Emanuele andava sempre -come si suol dire- alla grande. Le sue amiche ridacchiavano e la canzonavano: avessimo noi in letto un tipo generoso tutti i giorni come tuo marito, va là che sei fortunata.
Era fortunata? Allora perché non si sentiva (più) baciata dalla sorte? Cosa le mancava?
Nulla. Tutto. Qualcosa.
La passione forse?
No, grazie. Qualsiasi cosa chiamiamo passione è inconoscibile, impermanente come un fiocco di neve che si scioglie nell'istante stesso in cui lo si cerca di stringere nel palmo. Meglio non parlarne troppo dunque o si rischiano solo chiacchiere à la Alberoni (anzi Alberonì) su innamorammento e ammore, buone solo per signore in premenopausa.
Appunto.
Forse un turbamento, un'increspatura. Una nuvola, un temporale.
Ci si stufa anche del sole tutti i giorni.
(come le erano sembrati fuori posto gli alberi di Natale a St. Bart... Così tristi nel caldo afoso, clowns che hanno sbagliato festa, sembravano lì ad elemosinare un po' di neve, uno sfondo dignitoso, non quel Baywatch da telenovela)
No, non aveva diritto a questi pensieri.
Com'era quel cliché, quando faceva le manifestazioni con le compagne del collettivo negli anni 70? La rivoluzione non si fa con la pancia vuota. Ma neppure piena, col senno di poi.
E ora, con singolare appropriatezza, Michael dalla radio le cantava di cominciare a cambiare la persona che vedi nello specchio, che la vera rivoluzione parte da dentro.
I am starting with the man in the mirror...
Non sei diventato mai grande, povero Michael Jackson. Allora si vede che eri proprio tu Peter Pan.
Tutti i bambini tranne uno crescono... Il libro che non poteva più toccare.
Ma la tragedia li aveva solo sfiorati, il trapianto di midollo era andato bene; ora loro figlio faceva canottaggio e studiava negli States.
Elena andò a prendere una zuppiera in soggiorno e istintivamente gettò un'occhiata al suo riflesso nella vetrina.
Nuda e col grembiule bianco, la cascata di capelli biondo cenere che ricadeva con scalatura perfetta sulle atletiche spalle color ambra, Elena sapeva di essere ancora molto più bella della media delle amiche. Che se ne rendevano perfettamente conto e masticavano amaro.
Per quello che contava.
I pomodori a cubetti andavano via via a riempire la ciotola, ora era il turno delle cipolle.
Aveva percorso docile uno dopo l'altro tutti i passi che una società previdente mette a disposizione in questi casi. Non era la prima, non sarebbe stata l'ultima, le aveva detto la psicologa nell'unica seduta che aveva fatto. Dopo quella frase era scappata.
Corsi di découpage, pilates, lavorare la creta. Non lasciare nulla di intentato. Non abbandonarsi al senso di vuoto che monta dentro.
Uno dopo l'altro i vasi, inesorabilmente vuoti, erano finiti a impolverarsi nel ripostiglio, sino al giorno in cui, non sopportandone più la vista, li aveva gettati in blocco nel bidone dell'immondizia, giù in strada.
Si era sentita un po' meglio dopo, ma non era durata.
Le lacrime ora scorrevano copiose, ma non era colpa delle cipolle.
Elena piangeva di gioia perché aveva deciso.
Guardò il coltello affilato.
No, questa non è una storia che finisce così. Potrebbe, ma non è, non questa volta.
Un campanello.
Sì, un campanello, invece.
Prima di rispondere al citofono col naso arrossato Elena si asciuga il viso e scosta una ciocca di capelli color cenere dagli occhi.
Prende il ricevitore, intanto sbircia dalla finestra. Fuori, un cielo di giugno senza nuvole, limpido come il suo sguardo.
Sorride, è sorpresa. Parola mormorate inudibili, coperte dal ronzio elettrico dell'apriporta.
Elena sale con passo flessuoso i gradini che portano al piano di sopra.
A metà scala sente il rumore della porta d'ingresso che si richiude.
Sul divano, il grembiule bianco.
Elena prese i pomodori dal frigo. Era ancora pungente il ricordo quando, fresca di matrimonio (ma anche prima, molto prima), si lasciava invadere dalla gioiosa irruenza di un Emanuele più incosciente e meno controllato di quello attuale. Le succedeva poi di continuare a tremare tutto il giorno, persa in quella speciale risonanza che nessun altro uomo aveva saputo evocare prima e lei neppure si sognava di possedere. Per questo lo aveva voluto tutto per sé. Tutto per sé, Cristo, che parola grossa. Comunque se l'era sposato, Emanuele. Con l'idea di tenersi vicino quel suono per tutta la vita. Di danzare per sempre, lei ballerina di corpo e di testa, su quella loro privata vibrazione.
Ma la melodia incantevole, come spesso fanno le melodie incantevoli, era terminata troppo presto.
Magari, fosse stata lei l'imprenditrice sempre indaffarata fra telefonate di clienti, discussioni con i fornitori e riunioni mentre Emanuele rimaneva a casa giorno dopo giorno, preparando un pasto dopo l'altro...E invece: 'Il dottore è in riunione' era diventato il mantra beffardo che si sentiva propinare al telefono ogni volta che miss Solitudine le mordeva la gola. E visioni di ventenni stagiste inginocchiate passavano fugaci davanti ai suoi occhi. Non era gelosa, non più di una mamma che guarda il bambino davanti ad una gelateria.
Meglio una bistecca a casa che un hamburger fuori? Povero Paul Newman, come era sembrato vecchio quando aveva fatto la sua patetica sparata a favore dell'amor coniugale...
Stava appunto preparando la cena, Elena. Alle undici di mattina. Tutti usciti, chi a scuola, chi al lavoro, un qualsiasi giorno d'estate nella sua vita.
Oppure se lei ed Emanuele fossero stati due operai in cassa integrazione: questo mese lavoro io, il prossimo tu, vedrai che ce la faremo. Alle prese con il lunario da sbarcare non ci sarebbe stato tempo per queste paturnie da signora borghese. O forse sì? Le crisi affettive hanno una vocazione interclassista.
No question, il sesso con Emanuele andava sempre -come si suol dire- alla grande. Le sue amiche ridacchiavano e la canzonavano: avessimo noi in letto un tipo generoso tutti i giorni come tuo marito, va là che sei fortunata.
Era fortunata? Allora perché non si sentiva (più) baciata dalla sorte? Cosa le mancava?
Nulla. Tutto. Qualcosa.
La passione forse?
No, grazie. Qualsiasi cosa chiamiamo passione è inconoscibile, impermanente come un fiocco di neve che si scioglie nell'istante stesso in cui lo si cerca di stringere nel palmo. Meglio non parlarne troppo dunque o si rischiano solo chiacchiere à la Alberoni (anzi Alberonì) su innamorammento e ammore, buone solo per signore in premenopausa.
Appunto.
Forse un turbamento, un'increspatura. Una nuvola, un temporale.
Ci si stufa anche del sole tutti i giorni.
(come le erano sembrati fuori posto gli alberi di Natale a St. Bart... Così tristi nel caldo afoso, clowns che hanno sbagliato festa, sembravano lì ad elemosinare un po' di neve, uno sfondo dignitoso, non quel Baywatch da telenovela)
No, non aveva diritto a questi pensieri.
Com'era quel cliché, quando faceva le manifestazioni con le compagne del collettivo negli anni 70? La rivoluzione non si fa con la pancia vuota. Ma neppure piena, col senno di poi.
E ora, con singolare appropriatezza, Michael dalla radio le cantava di cominciare a cambiare la persona che vedi nello specchio, che la vera rivoluzione parte da dentro.
I am starting with the man in the mirror...
Non sei diventato mai grande, povero Michael Jackson. Allora si vede che eri proprio tu Peter Pan.
Tutti i bambini tranne uno crescono... Il libro che non poteva più toccare.
Ma la tragedia li aveva solo sfiorati, il trapianto di midollo era andato bene; ora loro figlio faceva canottaggio e studiava negli States.
Elena andò a prendere una zuppiera in soggiorno e istintivamente gettò un'occhiata al suo riflesso nella vetrina.
Nuda e col grembiule bianco, la cascata di capelli biondo cenere che ricadeva con scalatura perfetta sulle atletiche spalle color ambra, Elena sapeva di essere ancora molto più bella della media delle amiche. Che se ne rendevano perfettamente conto e masticavano amaro.
Per quello che contava.
I pomodori a cubetti andavano via via a riempire la ciotola, ora era il turno delle cipolle.
Aveva percorso docile uno dopo l'altro tutti i passi che una società previdente mette a disposizione in questi casi. Non era la prima, non sarebbe stata l'ultima, le aveva detto la psicologa nell'unica seduta che aveva fatto. Dopo quella frase era scappata.
Corsi di découpage, pilates, lavorare la creta. Non lasciare nulla di intentato. Non abbandonarsi al senso di vuoto che monta dentro.
Uno dopo l'altro i vasi, inesorabilmente vuoti, erano finiti a impolverarsi nel ripostiglio, sino al giorno in cui, non sopportandone più la vista, li aveva gettati in blocco nel bidone dell'immondizia, giù in strada.
Si era sentita un po' meglio dopo, ma non era durata.
Le lacrime ora scorrevano copiose, ma non era colpa delle cipolle.
Elena piangeva di gioia perché aveva deciso.
Guardò il coltello affilato.
No, questa non è una storia che finisce così. Potrebbe, ma non è, non questa volta.
Un campanello.
Sì, un campanello, invece.
Prima di rispondere al citofono col naso arrossato Elena si asciuga il viso e scosta una ciocca di capelli color cenere dagli occhi.
Prende il ricevitore, intanto sbircia dalla finestra. Fuori, un cielo di giugno senza nuvole, limpido come il suo sguardo.
Sorride, è sorpresa. Parola mormorate inudibili, coperte dal ronzio elettrico dell'apriporta.
Elena sale con passo flessuoso i gradini che portano al piano di sopra.
A metà scala sente il rumore della porta d'ingresso che si richiude.
Sul divano, il grembiule bianco.
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