RACCONTI
Tony Duvert
Lo scortichino (traduz. Marco Lanzòl)
Quando una donna partoriva il suo tredicesimo figlio, era usanza che una gran sagra onorasse questa gioia, durante la quale veniva offerto in sacrifizio uno degli altri bambini, che sarebbe stato arrostito pel festino.
Bisognava comunque che il prescelto per l'arrosto avesse meno di sette anni; essendovi diversi papabili in casa, si favoriva il più carnoso. In mancanza, se ne domandava uno ai vicini.
Poscia, s'ingaggiava lo Scortichino (carica solitamente ricoperta dal pastore di lupi del bosco comunale). Egli immergeva il fanciullino in una conca riempita d'acqua molto calda, così da intenerire la pelle; quindi, la strofinava con della ghiaia, allo scopo di purificarne la superficie e di far affiorare il sangue, che discioglie il grasso cattivo. Un bagno d'acqua fredda infine, ridonava alla pelle il suo candore originale.
Il bambolo veniva dunque appeso ad un ramo ben forte, ed entravano inscena i quattro serventi dello Scortichino. Il primo si piazzava di faccia al piccolo, facendogli smorfie assai, così da distrarlo dallo sventramento che stava per subire. Questo Lazzista doveva essere abile nel comprendere il temperamento del mino: fossero stati banali i suoi versacci, non avrebbero sortito effetti; marcandoli troppo, viceversa, si sarebbero provocate scosse e tremori nel corpicino, ed il lavoro di coltello avrebbe subito deviazioni, uscendone sghembo.
Gli altri serventi, in numero di tre, erano due cani e un ragazzino ben piantato. La mansione di questo giovinetto era imbrigliare i cani e frustarli senza pietà, dimodoché i loro guati velassero le urla del bambino che veniva spellato, quando, sul finire dello sgobbo, i versi del Lazzista divenivano inefficaci. Il berciare dei cani e i gemiti del bambino scuoiato vivo son stati viva fonte d'ispirazione per tutta una polifonia locale, molto rusticana, che si era e si è soliti intonare ai matrimoni.
Terminato lo scorticamento, il bimbo veniva strangolato con un lacciolo, così da provocare una rapida morte e da avere una carne migliore. Per quel che riguarda la pelle, dopo alcuni trattamenti chimici, veniva lavata e seccata: per tale artifizio, s'impiegava un fanciullo della taglia del primo. La pelle gli veniva cucita indosso, e dunque ci si alternava a colpirlo con delle cinghie larghe. La pelle conservava così la forma del corpo, prendendo insieme una trasparenza deliziosa.
Scucita, ricucita, con i capelli ben pettinati, ella teneva così bene che si sarebbe creduto vedere un ragazzetto vuoto; e a caro prezzo si vendeva agli amatori: preti, donne, maestri, marinai di lungo corso.
Bisognava comunque che il prescelto per l'arrosto avesse meno di sette anni; essendovi diversi papabili in casa, si favoriva il più carnoso. In mancanza, se ne domandava uno ai vicini.
Poscia, s'ingaggiava lo Scortichino (carica solitamente ricoperta dal pastore di lupi del bosco comunale). Egli immergeva il fanciullino in una conca riempita d'acqua molto calda, così da intenerire la pelle; quindi, la strofinava con della ghiaia, allo scopo di purificarne la superficie e di far affiorare il sangue, che discioglie il grasso cattivo. Un bagno d'acqua fredda infine, ridonava alla pelle il suo candore originale.
Il bambolo veniva dunque appeso ad un ramo ben forte, ed entravano inscena i quattro serventi dello Scortichino. Il primo si piazzava di faccia al piccolo, facendogli smorfie assai, così da distrarlo dallo sventramento che stava per subire. Questo Lazzista doveva essere abile nel comprendere il temperamento del mino: fossero stati banali i suoi versacci, non avrebbero sortito effetti; marcandoli troppo, viceversa, si sarebbero provocate scosse e tremori nel corpicino, ed il lavoro di coltello avrebbe subito deviazioni, uscendone sghembo.
Gli altri serventi, in numero di tre, erano due cani e un ragazzino ben piantato. La mansione di questo giovinetto era imbrigliare i cani e frustarli senza pietà, dimodoché i loro guati velassero le urla del bambino che veniva spellato, quando, sul finire dello sgobbo, i versi del Lazzista divenivano inefficaci. Il berciare dei cani e i gemiti del bambino scuoiato vivo son stati viva fonte d'ispirazione per tutta una polifonia locale, molto rusticana, che si era e si è soliti intonare ai matrimoni.
Terminato lo scorticamento, il bimbo veniva strangolato con un lacciolo, così da provocare una rapida morte e da avere una carne migliore. Per quel che riguarda la pelle, dopo alcuni trattamenti chimici, veniva lavata e seccata: per tale artifizio, s'impiegava un fanciullo della taglia del primo. La pelle gli veniva cucita indosso, e dunque ci si alternava a colpirlo con delle cinghie larghe. La pelle conservava così la forma del corpo, prendendo insieme una trasparenza deliziosa.
Scucita, ricucita, con i capelli ben pettinati, ella teneva così bene che si sarebbe creduto vedere un ragazzetto vuoto; e a caro prezzo si vendeva agli amatori: preti, donne, maestri, marinai di lungo corso.
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