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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Fabio Granella

Los Angeles skyline

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Il giovane messicano stava piazzando dosi già da un'ora prima del tramonto quando Tommy Marcano lo beccò. Era un ragazzo sui ventidue anni magrissimo, con una peluria grigia al posto dei veri baffi e le braccia ricoperte da tatuaggi religiosi. Prima di uscire in strada quella sera, aveva promesso a Mary Jane che sarebbe stata l'ultima volta. Ora aveva un lavoro onesto, e mai e poi mai avrebbe permesso che il piccolo Juan crescesse come suo padre. L'ultima volta. Lo aveva giurato. Solo per liberarsi di tutta la roba che c'era in casa, e poter chiudere per sempre con tutto quanto. Ora se ne stava appoggiato alla palizzata di legno felice della nuova vita che Dio gli aveva messo di fronte, mentre aspettava gli ultimi clienti della serata, pensando a Mary Jane e al piccolo Juan.

Tommy nel frattempo lo stava osservando seduto nel suo fuoristrada rosso, parcheggiato sull'altro lato della strada ad aspettare che l'andirivieni dei tossici terminasse. Quello scricciolo di messicano all'inizio non gli era sembrato per niente pericoloso come aveva detto Sam; ma ora guardarlo sorridere in penombra sotto quei lampioni gialli gli dava l'impressione che dagli occhi sprigionasse come un barlume di follia. Pensò che fosse sicuramente armato, e che era meglio chiudere tutta la faccenda in breve tempo.

Mentre continuava ad osservare i passaggi di mano e le auto che si allontanavano silenziosamente, riflettè sulle cause che quella sera lo avevano portato fin li, tentando disperatamente di auto motivarsi per riuscire a compiere di nuovo quel folle gesto.

Restò in silenzio a rievocare immagini nella sua memoria fino a quando, borbottando un 'fanculo', tirò fuori la pistola semiautomatica e se la infilò tra le gambe. Sfilò il caricatore e controllò che i proiettili ci fossero tutti quanti, poi lo reinserì e tornò a guardare il messicano. Ora aveva appena salutato una giovane coppia in una Ford nera, e si accendeva uno spinello mentre guardava l'auto sparire nella notte. Pochi istanti e restò completamente solo, guardandosi attorno in attesa del prossimo cliente. Si poggiò ancora con la schiena alla palizzata in legno ricoperta di murales e continuò a fumare erba. Lungo tutta la strada non passeggiava neanche un cane.

Tommy pensò che fosse il momento giusto. Si fece il segno della croce, poi spalancò la portiera dell'automobile, la richiuse, e attraversò la strada saltellando su piccoli passi veloci, tenendo la pistola nella mano destra nascosta dietro la gamba. Si stupì di quanto potesse essere ancora silenzioso. Il messicano, infatti, si accorse di lui solo quando gli piombò alle spalle, chiamandolo.

<>

Allora si voltò di scatto, e nel vedere quell'uomo robusto dall'aria cavernicola sobbalzò all'indietro spaventato.

<<'Cazzo sei, amigo?>> domandò confuso, gettando frettolosamente lo spinello. Tommy si fermò a pochi metri da lui e gli mostrò la pistola, puntandogliela contro.

<> esclamò il messicano mostrandogli il palmo della mano, come se avesse potuto fermare i proiettili solo con quello.

Tommy digrignò i denti.

<>

Le esplosioni squarciarono il silenzio riecheggiando nella notte.

Fece fuoco tre volte, centrandolo due. Un proiettile gli trapassò lo sterno e l'altro andò a conficcarsi all'altezza del fegato. Il terzo Dio solo sa dov'era andato a finire. Il messicano cadde a terra di schiena con la bocca aperta per lo stupore. Pensava a Mary Jane. Pensava a Juan.

Quando Tommy gli piombò addosso si accorse che il ragazzo respirava ancora, ansimando a fatica. Sembrava voler dire qualcosa senza riuscirci.

<> gli domandò scrollandolo per la camicia, dopo avergli frugato nei jeans. Quello non rispose. Continuava a vomitare sangue dalla bocca. Tommy gli agguantò le Nike sfilandogliele via, poi fece lo stesso con i calzini. Da uno di questi caddero a terra due bustine con la polverina magica. Il messicano era rimasto quasi a secco, a quanto sembrava.

Gli frugò bene sotto la camicia mentre quello continuava ad agitare la testa a destra e a sinistra e a gorgogliare, finchè non tirò fuori un vecchio revolver. A giudicare dall'aspetto Tommy pensò che al primo colpo quell'arnese gli sarebbe esploso in faccia.

Si infilò il revolver dietro la schiena, poi girò il messicano di peso a faccia in giù. Da una delle tasche posteriori vide sbucare il lembo di una busta bianca. La tirò via a fatica e se la infilò nel giubbino senza neanche guardarla, poi si alzò in piedi e rimase qualche secondo ad osservare gli ultimi disperati tentativi di sopravvivere dell'altro.

Lo sentì rantolare. Ormai era quasi una barbarie lasciarlo in quel modo. Alzò la mano che ancora stringeva la semiautomatica e gliela spinse contro la nuca. L'esplosione fece schizzare qua e là frammenti ossei e capelli, trasformando la chioma nera in una poltiglia di sangue e materiale cerebrale.

Tommy sbuffò. Buttò fuori tutto il fiato che gli era sembrato aver trattenuto fino a quel momento come se si fosse appena tolto un enorme mattone dallo stomaco. Guardò la 60esima. Era deserta. La 60esima collegava Vermont Avenue con Hoover Street, e nelle strade periferiche di South Los Angeles, meglio conosciuta come South Central, a quell'ora tutti se ne stavano ubriachi nelle loro casette a schiera da due soldi fregandosene della strada. Meglio così, ma ora era arrivato il momento di sgombrare. Perciò si sistemò lo zuccotto nero che aveva in testa, e trotterellando attraversò la strada fino alla sua auto. Saltò dentro e gettò la pistola sul tappetino del passeggero, poi mise in moto con le mani un po' tremanti. Diede un'occhiata allo specchietto retrovisore solo un istante prima di partire. Subito dopo aver svoltato a destra aprì il vano portaoggetti. Tirò fuori il distintivo che sembrava brillare alle luci soffuse della notte e se lo appuntò sulla camicia a quadri. Elizabeth e Michael gli sorridevano felici dalla foto sul cruscotto.

Raggiunse Hoover Street guidando sotto il limite, poi proseguì verso Nord Est, diretto a Downtown, fumando una sigaretta e pensando a quanti soldi avrebbe trovato nella busta.





Fabio Granella



Nato a Tivoli ma residente a Roma disdegna gli scrittori contemporanei, ma ama la letteratura 'classica': J. D. Salinger, John Fante, Hamsun Knut, Louis Ferdinand Cèline, Cesare Pavese, Ernest Hemingway, Charles Dickens, Truman Capote, James Joyce, e naturalmente Dostoevskij. Per il momento continua a cercare lavoro e ad inseguire il suo sogno: leggere, e scrivere.



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