RACCONTI
Giovanna Repetto
Lycopersicum
- Graziella, cosa vuoi per cena?
Sua madre la tediava con domande insulse. A volte sembrava che non trovasse altro pretesto per comunicare con lei.
Rispose di mala grazia.
- Voi cosa mangiate?
- Oh, noi... - nell'alludere a se stessa e al marito, un lampo di complicità le balenò nello sguardo - fa caldo... noi ci facciamo un bel piatto di pomodori.
L'espressione godereccia esibì senza pudore le curve del doppio mento.
Graziella ebbe un fremito di disgusto. Non bastava che fossero pomodori. Doveva anche essere un bel piatto. Lo sguardo indugiò con disapprovazione sulle tracce di rossetto stinto che increspavano le labbra della madre. Non si capacitava del fatto che un uomo come suo padre, un uomo fine e asciutto, se ne stesse con una donna così flaccida e trasandata.
Fece una smorfia.
- Prepara quello che vuoi, non ha importanza.
Sapeva che comunque per lei avrebbe cucinato una cosa diversa. La sua avversione per i pomodori era risaputa, benché non compresa.
Quel frutto turgido, che si lasciava scambiare per un ortaggio, era per lei un concentrato di subdola oscenità. Era tronfio e prorompente perfino quand'era acerbo, e maturando esibiva il suo colore sfacciato, sanguigno, gonfio di umori. Era disgustoso.
Era la cosa di cui suo padre e sua madre condividevano il godimento.
Senza aggiungere altro uscì di casa. Era in vacanza e poteva bighellonare. Si avviò sul selciato del vicolo stiracchiando al sole le membra ossute. Stava crescendo, ma non si sarebbe mai consentita di ingrassare. Mai come sua madre.
In quella periferia che era quasi campagna, le strade si snodavano deserte nella pigrizia del sole pomeridiano, fra giardini trascurati e piccoli orti.
Maria Teresa l'aspettava più in là, seduta sui gradini di casa. Aveva quattordici anni, uno più di lei. Portava le trecce, e come lei indossava una gonna di cotone ruvido e scarpe di tela. Ma il suo abbigliamento era completato da una cintura troppo stretta, e la camicetta leggera aderiva con malizia alle curve del seno.
Biascicava una gomma, e quando Graziella le fu vicina ne porse una anche a lei, senza parlare. Era forse la sua unica amica.
- Camminiamo? - propose Graziella.
Maria Teresa si alzò indolente, spazzolandosi la gonna con le mani. Si avviarono fianco a fianco.
Procedendo, le case si facevano più rade, alle inferriate dei giardini si sostituivano muriccioli di pietre sconnesse, da cui sgorgavano a ciuffi pianticelle stente. Ogni tanto si apriva uno scorcio su prati e campi giallognoli, alternati a chiazze di terra incolta o a scheletri di cantieri abbandonati.
Distrattamente, Maria Teresa si sfilò i fermagli delle trecce, e passandosi le mani fra i capelli li sciolse in ciocche morbide e ondulate. Pettinandoli con le dita, finì per portarne un ciuffo a coprire metà del viso.
Quando si fermò, appoggiando la schiena ad un muretto, Graziella si voltò a guardarla e notò l'effetto curioso del suo occhieggiare sotto la cortina dei capelli.
- Mi stanno bene così?
Scoppiarono a ridere.
Non si conoscevano da molto tempo. Maria Teresa era sempre vissuta nel sobborgo. Graziella, con la sua famiglia, vi si era trasferita da meno di un anno. Così Maria Teresa riscuoteva un doppio primato: come più vecchia in età e come più vecchia del luogo.
Si era già consolidato, fra loro, quel corpo di regole non dette che costituisce il fondamento di ogni relazione. Era implicito, dunque, che Maria Teresa fosse in ogni cosa la più esperta. Era implicito che nascondesse le sue capacità sotto una maschera di perenne indolenza. Era implicito che fosse lei, dopo lunghi silenzi distratti, a lanciare proposte eccitanti e rischiose; e che fosse Graziella, ogni volta, a mostrare meraviglia e paura. Era implicito il segreto.
- Hai mai rubato?
A quell'uscita, Graziella sgranò gli occhi senza rispondere. L'amica la guardava con un sorriso beffardo.
- Avresti paura?
Gli occhi le sfavillavano di incontenibile malizia. Graziella invece avvertiva una stretta dolorosa allo stomaco.
- E tu?
Maria Teresa rise gettando i capelli all'indietro.
- E' facile.
Senz'altro indugio, svelò le sue intenzioni appoggiando un piede al muretto e aggrappandosi con le mani alle pietre, pronta ad arrampicarsi.
La gonna era scivolata scoprendo la gamba piegata contro il muro: il ginocchio era magro e ruvido, come le ginocchia di Graziella, ma la coscia sbocciava in rotondità più mature.
Graziella non capiva se facesse sul serio. Avrebbe voluto dire tante cose insieme: là dietro potevano esserci cani feroci, sistemi d'allarme, guardiani armati. Ma non voleva sembrare ingenua o pavida.
- Allora? - incalzò Maria Teresa.
Visto che doveva stare al gioco, pensò Graziella, (e niente al mondo avrebbe potuto sottrarla a quel gioco) tanto valeva far bella figura.
- Che cosa aspetti? - domandò con finta spavalderia.
Maria Teresa sghignazzò e si diede un colpo di reni verso l'alto.
Graziella era più magra e più agile, ma nella foga di salire in fretta, per non essere da meno, si graffiò leggermente sulle asperità delle pietre.
Poi furono tutt'e due a cavalcioni del muro. Al di là non c'era una casa, come aveva creduto Graziella, ma solo un frutteto.
Dalla parte interna il muro risultava più basso. Saltarono facilmente sul terreno morbido, e presero a correre fra gli alberi. La sensazione di trovarsi in un luogo deserto e segreto dava loro un senso di esaltazione. Graziella cominciò a ridere senza motivo apparente. Si sentiva eccitata, ma anche sollevata dall'improvviso dileguarsi della paura.
La prima idea era quella di fare una scorpacciata di frutta. Ma la situazione risultò deludente. Leciliegie erano state raccolte da tempo, e quelle che rimanevano s'erano ridotte a bucce rinsecchite e noccioli spolpati dagli uccelli. Delle nespole non v'era più traccia. Le pere erano acerbe. Graziella addentò una mela dall'aspetto invitante, ma era agra e le allappò la lingua.
Spezzarono qualche ramo come segno della loro presenza: per essere certe di esser passate di lì, e che non fosse soltanto un sogno o un desiderio.
Poi videro l'orto, confinato in un angolo del recinto. Grosse lattughe ed enormi cavoli scuri si alternavano al verde tenero dell'insalatina.
Zampettando sulla terra ben dissodata, Maria Teresa raggiunse i filari di pianticelle più alte.
- Queste sono patate, - spiegò.
Più avanti altre piante, simili alle patate, erano tenute ritte da canne sottili. Graziella le riconobbe, per i frutti tondi e rossi. Pomodori.
Maria Teresa ridacchiò.
- Qui c'è qualcosa, finalmente.
Si chinò a raccogliere un frutto. Lo scelse con cura, fra i più rossi, lo staccò dal peduncolo. Lo strofinò leggermente, per pulirlo, sulla manica della camicia. Infine socchiuse gli occhi e lo addentò voluttuosamente. Un po' di succo le spruzzò, con i semi, sulla camicetta.
- Ti sei sporcata.
Maria Teresa fece spallucce, pulendosi con un rapido gesto della mano.
- Ti piacciono i pomodori! - constatò Graziella.
- Oh, no... cioè, a casa no. Mi piace rubare.
- Però lo mangi.
- Qui ha un altro gusto.
Graziella la guardava interdetta. C'era qualcosa, in quel gesto di cogliere e affondare i denti, che l'affascinava. Una vitalità insolente e libera, fuori dalle regole. Ciò che provava era invidia: per una volta la riconobbe.
Si avvicinò incerta, le scarpe di corda affondavano nella terra scura. Si chinò sulle piante: portavano frutti a diversi stadi di maturazione, da quelli più piccoli e acerbi, striati di delicate sfumature verdi, a quelli che esibivano il colore sfacciato della polpa matura.
Per curiosità, per pura curiosità, si disse, sfiorò la pelle tesa e lucida di uno dei più rossi. Poi con rabbia, come ad impadronirsi di un trofeo nemico, lo staccò dalla pianta insieme al peduncolo vellutato.
A gambe larghe, con i piedi ben piantati fra i solchi, si raddrizzò portandolo alle narici. Socchiuse gli occhi istintivamente, sopraffatta da quel profumo ignoto. Tagliati e conditi, nel piatto, i pomodori avevano un altro odore. Questo sembrava diverso. Sapeva di aspro, di verde, quasi di mare.
Per un momento se ne inebriò, riempiendosi le narici. Non poteva farne a meno.
Sentì gli occhi lacrimare, sferzati dalla sensazione troppo intensa. Poi rapida affondò i denti.
Aprendo gli occhi, vide che Maria Teresa la guardava sogghignando, come se volesse prenderla in giro.
Ma non le importava. Respirò profondamente. Col frutto in mano, mezzo spolpato, e la bocca piena di quel succo dolciastro, si sentiva nuova, forte.
Ora si sentiva simile agli dei.
Sua madre la tediava con domande insulse. A volte sembrava che non trovasse altro pretesto per comunicare con lei.
Rispose di mala grazia.
- Voi cosa mangiate?
- Oh, noi... - nell'alludere a se stessa e al marito, un lampo di complicità le balenò nello sguardo - fa caldo... noi ci facciamo un bel piatto di pomodori.
L'espressione godereccia esibì senza pudore le curve del doppio mento.
Graziella ebbe un fremito di disgusto. Non bastava che fossero pomodori. Doveva anche essere un bel piatto. Lo sguardo indugiò con disapprovazione sulle tracce di rossetto stinto che increspavano le labbra della madre. Non si capacitava del fatto che un uomo come suo padre, un uomo fine e asciutto, se ne stesse con una donna così flaccida e trasandata.
Fece una smorfia.
- Prepara quello che vuoi, non ha importanza.
Sapeva che comunque per lei avrebbe cucinato una cosa diversa. La sua avversione per i pomodori era risaputa, benché non compresa.
Quel frutto turgido, che si lasciava scambiare per un ortaggio, era per lei un concentrato di subdola oscenità. Era tronfio e prorompente perfino quand'era acerbo, e maturando esibiva il suo colore sfacciato, sanguigno, gonfio di umori. Era disgustoso.
Era la cosa di cui suo padre e sua madre condividevano il godimento.
Senza aggiungere altro uscì di casa. Era in vacanza e poteva bighellonare. Si avviò sul selciato del vicolo stiracchiando al sole le membra ossute. Stava crescendo, ma non si sarebbe mai consentita di ingrassare. Mai come sua madre.
In quella periferia che era quasi campagna, le strade si snodavano deserte nella pigrizia del sole pomeridiano, fra giardini trascurati e piccoli orti.
Maria Teresa l'aspettava più in là, seduta sui gradini di casa. Aveva quattordici anni, uno più di lei. Portava le trecce, e come lei indossava una gonna di cotone ruvido e scarpe di tela. Ma il suo abbigliamento era completato da una cintura troppo stretta, e la camicetta leggera aderiva con malizia alle curve del seno.
Biascicava una gomma, e quando Graziella le fu vicina ne porse una anche a lei, senza parlare. Era forse la sua unica amica.
- Camminiamo? - propose Graziella.
Maria Teresa si alzò indolente, spazzolandosi la gonna con le mani. Si avviarono fianco a fianco.
Procedendo, le case si facevano più rade, alle inferriate dei giardini si sostituivano muriccioli di pietre sconnesse, da cui sgorgavano a ciuffi pianticelle stente. Ogni tanto si apriva uno scorcio su prati e campi giallognoli, alternati a chiazze di terra incolta o a scheletri di cantieri abbandonati.
Distrattamente, Maria Teresa si sfilò i fermagli delle trecce, e passandosi le mani fra i capelli li sciolse in ciocche morbide e ondulate. Pettinandoli con le dita, finì per portarne un ciuffo a coprire metà del viso.
Quando si fermò, appoggiando la schiena ad un muretto, Graziella si voltò a guardarla e notò l'effetto curioso del suo occhieggiare sotto la cortina dei capelli.
- Mi stanno bene così?
Scoppiarono a ridere.
Non si conoscevano da molto tempo. Maria Teresa era sempre vissuta nel sobborgo. Graziella, con la sua famiglia, vi si era trasferita da meno di un anno. Così Maria Teresa riscuoteva un doppio primato: come più vecchia in età e come più vecchia del luogo.
Si era già consolidato, fra loro, quel corpo di regole non dette che costituisce il fondamento di ogni relazione. Era implicito, dunque, che Maria Teresa fosse in ogni cosa la più esperta. Era implicito che nascondesse le sue capacità sotto una maschera di perenne indolenza. Era implicito che fosse lei, dopo lunghi silenzi distratti, a lanciare proposte eccitanti e rischiose; e che fosse Graziella, ogni volta, a mostrare meraviglia e paura. Era implicito il segreto.
- Hai mai rubato?
A quell'uscita, Graziella sgranò gli occhi senza rispondere. L'amica la guardava con un sorriso beffardo.
- Avresti paura?
Gli occhi le sfavillavano di incontenibile malizia. Graziella invece avvertiva una stretta dolorosa allo stomaco.
- E tu?
Maria Teresa rise gettando i capelli all'indietro.
- E' facile.
Senz'altro indugio, svelò le sue intenzioni appoggiando un piede al muretto e aggrappandosi con le mani alle pietre, pronta ad arrampicarsi.
La gonna era scivolata scoprendo la gamba piegata contro il muro: il ginocchio era magro e ruvido, come le ginocchia di Graziella, ma la coscia sbocciava in rotondità più mature.
Graziella non capiva se facesse sul serio. Avrebbe voluto dire tante cose insieme: là dietro potevano esserci cani feroci, sistemi d'allarme, guardiani armati. Ma non voleva sembrare ingenua o pavida.
- Allora? - incalzò Maria Teresa.
Visto che doveva stare al gioco, pensò Graziella, (e niente al mondo avrebbe potuto sottrarla a quel gioco) tanto valeva far bella figura.
- Che cosa aspetti? - domandò con finta spavalderia.
Maria Teresa sghignazzò e si diede un colpo di reni verso l'alto.
Graziella era più magra e più agile, ma nella foga di salire in fretta, per non essere da meno, si graffiò leggermente sulle asperità delle pietre.
Poi furono tutt'e due a cavalcioni del muro. Al di là non c'era una casa, come aveva creduto Graziella, ma solo un frutteto.
Dalla parte interna il muro risultava più basso. Saltarono facilmente sul terreno morbido, e presero a correre fra gli alberi. La sensazione di trovarsi in un luogo deserto e segreto dava loro un senso di esaltazione. Graziella cominciò a ridere senza motivo apparente. Si sentiva eccitata, ma anche sollevata dall'improvviso dileguarsi della paura.
La prima idea era quella di fare una scorpacciata di frutta. Ma la situazione risultò deludente. Leciliegie erano state raccolte da tempo, e quelle che rimanevano s'erano ridotte a bucce rinsecchite e noccioli spolpati dagli uccelli. Delle nespole non v'era più traccia. Le pere erano acerbe. Graziella addentò una mela dall'aspetto invitante, ma era agra e le allappò la lingua.
Spezzarono qualche ramo come segno della loro presenza: per essere certe di esser passate di lì, e che non fosse soltanto un sogno o un desiderio.
Poi videro l'orto, confinato in un angolo del recinto. Grosse lattughe ed enormi cavoli scuri si alternavano al verde tenero dell'insalatina.
Zampettando sulla terra ben dissodata, Maria Teresa raggiunse i filari di pianticelle più alte.
- Queste sono patate, - spiegò.
Più avanti altre piante, simili alle patate, erano tenute ritte da canne sottili. Graziella le riconobbe, per i frutti tondi e rossi. Pomodori.
Maria Teresa ridacchiò.
- Qui c'è qualcosa, finalmente.
Si chinò a raccogliere un frutto. Lo scelse con cura, fra i più rossi, lo staccò dal peduncolo. Lo strofinò leggermente, per pulirlo, sulla manica della camicia. Infine socchiuse gli occhi e lo addentò voluttuosamente. Un po' di succo le spruzzò, con i semi, sulla camicetta.
- Ti sei sporcata.
Maria Teresa fece spallucce, pulendosi con un rapido gesto della mano.
- Ti piacciono i pomodori! - constatò Graziella.
- Oh, no... cioè, a casa no. Mi piace rubare.
- Però lo mangi.
- Qui ha un altro gusto.
Graziella la guardava interdetta. C'era qualcosa, in quel gesto di cogliere e affondare i denti, che l'affascinava. Una vitalità insolente e libera, fuori dalle regole. Ciò che provava era invidia: per una volta la riconobbe.
Si avvicinò incerta, le scarpe di corda affondavano nella terra scura. Si chinò sulle piante: portavano frutti a diversi stadi di maturazione, da quelli più piccoli e acerbi, striati di delicate sfumature verdi, a quelli che esibivano il colore sfacciato della polpa matura.
Per curiosità, per pura curiosità, si disse, sfiorò la pelle tesa e lucida di uno dei più rossi. Poi con rabbia, come ad impadronirsi di un trofeo nemico, lo staccò dalla pianta insieme al peduncolo vellutato.
A gambe larghe, con i piedi ben piantati fra i solchi, si raddrizzò portandolo alle narici. Socchiuse gli occhi istintivamente, sopraffatta da quel profumo ignoto. Tagliati e conditi, nel piatto, i pomodori avevano un altro odore. Questo sembrava diverso. Sapeva di aspro, di verde, quasi di mare.
Per un momento se ne inebriò, riempiendosi le narici. Non poteva farne a meno.
Sentì gli occhi lacrimare, sferzati dalla sensazione troppo intensa. Poi rapida affondò i denti.
Aprendo gli occhi, vide che Maria Teresa la guardava sogghignando, come se volesse prenderla in giro.
Ma non le importava. Respirò profondamente. Col frutto in mano, mezzo spolpato, e la bocca piena di quel succo dolciastro, si sentiva nuova, forte.
Ora si sentiva simile agli dei.
CERCA
NEWS
-
6.12.2024
Giovanni Mariotti
La Biblioteca della Sfinge. -
12.11.2024
La nave di Teseo.
Settembre nero. -
12.11.2024
Tommaso Pincio
Panorama.
RECENSIONI
-
Giovanni Mariotti
I manoscritti dei morti viventi
-
Roberto Saporito
Figlio, fratello, marito, amico
-
Ivo Scanner
Monga - L'isola del dottor Viskorski
ATTUALITA'
-
La Redazione
Buon Natale e buon Anno.
-
Ettore Maggi
La grammatica della Geopolitica.
-
marco minicangeli
CAOS COSMICO
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La gita scolastica
-
Marco Minicangeli
Juniper - Un bicchiere di gin
-
Lorenzo Lombardi
IL NERD, IL CINEFILO E IL MEGADIRETTORE GENERALE
RACCONTI
-
Luigi Rocca
La passeggiata del professor Eugenio
-
Fiorella Malchiodi Albedi
Ad essere infelici sono buoni tutti.
-
Roberto Saporito
30 Ottobre