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INTERVISTE

Marco Cortesi

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Ad un certo punto del libro parli del volontariato improvvisato e di quello più organizzato. Ma al di là di certe differenziazioni, tu che volontario sei stato come ti sei sentito di fronte ad una massa di persone sconfitta e derelitta? E cosa consiglieresti ad un giovane che vuole farlo?



La parola "volontario" porta obbligatoriamente con sé la sua origine etimologica che prende dal termine "volontà" il suo significato di base. Un volontario è qualcuno che agisce per sua volontà e desiderio. Quando mi trovai per la prima volta a contatto con le vittime della guerra potevo definirmi qualsiasi cosa tranne che un volontario. Mi trovavo in Ex-Jugoslavia quasi per caso, trascinato da un gruppo di ragazzi in cerca di una vacanza più economica delle altre in un posto differente dai soliti... nessuno sapeva cosa avremmo incontrato. Quella lontana estate ha significato per me il capovolgimento di ogni tabella di valori e priorità... un vero e proprio capovolgimento, questo è il termine giusto. Improvvisamente tutto ciò che era importante per un ragazzo di 18 anni si trovava a svanire, ad annientarsi di fronte al dolore di chi ti raccontava ciò che aveva visto e subito. Rifarei mille volte quell'esperienza (che ha fatto poi di me un vero "volontario") e la consiglio a tutti... è qualcosa che letteralmente rivoluziona la tua intera esistenza relativizzando qualsiasi problema, preoccupazione o valore della nostra società o del nostro stile di vita. Capire ciò che è importante: questo è il regalo più grande e prezioso di ogni esperienza di volontariato.



Cito sempre dal tuo libro: "Gente che recita le stesse preghiere e incrocia le mani mentre pronuncia le parole "Padre nostro che sei nei cieli...", e il volto sorridente di Giovanni Paolo II li benedice dal quadro appeso sopra il letto. Con le mani lorde di sangue i Croati violentavano le donne e uccidevano i bambini per poi sfogliare le pagine del Vangelo e godere del Verbo di Dio." Fatte le debite ed opportune differenze, non ti sembra che certi atteggiamenti anche "politici" delle gerarchie ecclesiastiche alimentino certe scelte?



Una risposta a questa domanda richiederebbe un intero libro solo per intaccarne la superficie, ma credo che in linea di massima la religione possa entrare nei conflitti e nelle guerre solo come pretesto e scusa per giustificare cause ben più semplici e pressanti come quelle dettate dalla logica del denaro. La questione balcanica lo mostra in maniera estremamente chiara: Sarajevo possedeva quasi il 40% di famiglie miste e la concomitanza e pacifica convivenza (anche sotto lo stesso tetto) di religioni differenti era assolutamente nella norma. La guerra improvvisamente porta con sé l'odio verso l'altro, o meglio verso il Dio dell'altro e l'Etnia dell'altro. La Storia insegna come certi comportamenti ed affermazioni (considerando gli atteggiamenti "politici" delle alte sfere ecclesiastiche) possano essere potenzialmente pericolosi. Credo che nessuna religione possa dirsi totalmente estranea a qualsivoglia "integralismo", finanche la religione cattolica.



Le donne insieme ai bambini, quasi sempre, sono le vittime più, passami il termine, "inevitabili" delle guerre. L'8 marzo ormai è una data per banchettare nei ristoranti con un ramoscello di mimosa tra i capelli. Per ridare senso alla "festa" credi sia necessario trasformarla, come è stato fatto per lo sterminio degli ebrei, in una sorta di giornata della memoria?



Ho come l'impressione che spesso una Giornata della Memoria possa diventare un pretesto e occasione per celebrare sì una memoria, ma allo stesso tempo allontanarla e in un qualche modo esorcizzarla. "Per ricordarsi degli Ebrei basta la Giornata della Memoria... per il resto dell'anno lasciateci in pace", ho sentito esclamare da una persona di fronte alla scoperta che una rete televisiva aveva messo in palinsesto un film sull'olocausto invece del solito reality... l'8 marzo dovrebbe essere un'occasione per ricordare - e "continuare a farlo" anche durante tutto il resto dell'anno - il ruolo delle principali vittime di ogni conflitto: le donne. Questo però non toglie l'importanza di una giornata che rimane preziosa anche se a volte "commercializzata" tra un mazzetto di mimose e l'altro sotto forma di semplice "serata per sole donne".



Dalle stelle alle stalle. Come riesci a coniugare l'impegno sociale con la tua attività di attore in mezzo ai lustrini?



Inizialmente i "lustrini" avevano per me una grande importanza... non credo ci sia mestiere più strano di quello dell'attore. Si tratta forse della professione più auto-referenziale che esista. Tu stesso sei il fine ed il mezzo del tuo agire quotidiano. Questa cosa è distruttiva, perchè può portarti a inseguire una chimera sempre in fuga che è quella della fama, della notorietà, del successo. Questo è uno degli elementi che l'Ex-Jugoslavia ha spazzato via come un'ondata distrugge un castello di sabbia. Improvvisamente non mi trovavo più a fare tutto questo per me stesso, per riuscire, per sfondare, ma per qualcun altro che mi aveva chiesto di portare la sua voce ad altri, perchè "cose del genere non succedano mai più". La gioia ed il senso di libertà (libertà finanche da te stesso) che questo porta con sè non hanno prezzo e credo che chi come me si è trovato a mettere la propria professionalità di attore al servizio di altri possa concordare in pieno.



Cosa ti ha spinto a passare dal ruolo di attore a quello di autore? Oltre a "Le donne di Pola", hai scritto qualche altra cosa?



Il passaggio dal semplice ruolo di interprete a quello di scrittore è stata un scelta obbligata. Il diario buttato giù di getto ogni giorno passato nel campo profughi doveva giungere ad altri e per farlo necessitava una forma, una linea drammaturgica e un arco narrativo. Mi sono improvvisato autore senza nessuna pretesa, ma con il solo fine e compito pressante di raccontare. Le donne di Pola è il mio primo lavoro come autore, ma nel cassetto nuovi copioni aspettano di essere messi in scena. Lo trovo un vero privilegio poter scrivere per me stesso... o meglio trovare il coraggio e la fiducia per farlo... in lavorazione c'è un nuovo testo e spero che possa avere la stessa fortuna de Le donne di Pola.



Hai mai pensato a rappresentare in teatro un testo di un giovane scrittore italiano?



Sarebbe davvero bellissimo. L'arte - diceva qualcuno - è un giardino sempre fertile. Il mio entusiasmo nel poter portare in scena una storia, fosse mia o di altri, rimane lo stesso.





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