RACCONTI
Patrice Salsa
Marienbad
Ci aveva pensato tutta la settimana, e si recitava in interiore dei brani del dialogo, tanto la voce off, ossessiva, di Giorgio Albertazzi, quanto le intonazioni assolutamente distaccate di Delphine Seyrig. Le immagini, allora, sorgevano, per evocazione. Lei e lui ai piedi di quella statua; la folla elegante, radunatasi nei saloni rococò nei quali gli ori scintillavano, malgrado il bianco-e-nero; il giardino alla francese, deserto. A queste memorie si mescolavano delle sequenze d'altri film: il Diavolo che batteva gli amanti rigidi e fissi per l'eternità; la Bella in fuga nel viale bordato di cani di pietra; oppure degli invitati sbronzi e fancazzisti, che esprimevano in italiano il proprio entusiasmo per una piastrella che scivolava su un pavimento a scacchiera; ricordi della frequenza al cineclub, in gaia e intelligente compagnia, durante i suoi studi.
Carlsbad era stata come un preludio. Siccome non ne aveva idea, nessuna apprensione – quella di essere deluso, ad esempio – s'era elicitata a precedere la meraviglia, che era riuscita a dissipare, per qualche ora, l'anormale ansietà, durata per tutto il percorso sino alla prima delle città termali che avevano previsto di visitare, e montata con un flusso lento, irreprimibile.
Beninteso, tutto ciò era stupido. Sapeva perfettamente, e da parecchio tempo, più o meno fin dall'inizio, che il film non era stato girato lì. Non sarebbe stato possibile, per ragioni economiche e politiche – e nemmeno desiderabile, benché il regista non avesse proprio l'approccio della Duras, che aveva rievocato i fasti dell'ambasciata di Francia in India utilizzando un padiglione a Neauphle-le-Château, e facendovi apparire, eteree, delle figure femminili vestite Paco Rabanne.
No: Resnais s'era assicurato che, d'intorno ai personaggi di Robbe-Grillet, vi fosse uno scenario più che plausibile. Tanto credibile che, per migliaia e migliaia di spettatori, Marienbad era, assolutamente, quell'hotel del XVIII sec., la cui facciata si apriva su un parco di severa composizione.
La notte era stata lunga, l'angoscia le impose la sua morsa: avesse potuto, avrebbe rinunciato. Ciò non sarebbe stato gentile nei confronti del suo compagno di viaggio. E che dirgli? Per settimane, avevano fantasticato – con le bambinesche gioia e cupidigia che mettevano in tante delle loro voglie – questa fuga: e ora, a pochi chilometri dalla meta, dovevano tornare sui propri passi? E poi, non poteva restare deluso: lo sapeva dal film, e da quel che aveva potuto leggere su questa città d'acque – descritta come un incanto.
Non ne fu deluso. Il tempo, uggioso fino ad allora, schiarì d'un tratto, non appena entrarono in paese, e il tragitto nel parco dal suolo diseguale, a vallicole, diretti alle terme, ispirò ai due frasi d'estatica ammirazione. Il suo compagno provò a canticchiare un pezzo di Barbara, però i versi gli sfuggivano, e si contentava di chiudere i suoi vocalizzi con un "...a Marienbad". Questo giochetto, con le sue pause, occupò un lungo istante del loro cammino. Dei frammenti di testo in effetti ricomparivano – un castello, la giada – ma non riusciva loro di comporre né un ritornello né una strofa.
Il pranzo, sul tardi, fu allegro, e, intanto che il suo amico era alla toilette, chiuse gli occhi per concentrarsi sulla pienezza che – malgrado il tempo e la distanza – la complicità che li univa faceva sorgere in lui.
Il ritorno fu spesso silenzioso, però mai cupo – come talvolta accadeva, quando una loro escursione s'esauriva nel rimpianto che bisognasse, per delle contingenze, allontanarsi da una situazione della quale non s'era sfruttata ogni attrattiva.
E' nel suo letto che s'intiepidiva – e in cui una volta ancora il sonno fuggiva da lui – che il dolore giunse.
In un lampo, gli tornarono alla mente i versi della canzone, l'aria della quale il suo compagno di viaggio aveva canticchiato per l'intera domenica:
"Mais, où donc êtes-vous?
Vous chantez vos aubades
Si loin de Marienbad"
(E dunque, dove siete?
Voi cantate le vostre serenate
Sì lontano da Marienbad)
Ebbene sì, era finita, ne era certo.
Mai più faranno le ore piccole con Franck, Naja, e quel giro che allora venerava, nel fumo delle sigarette, nell'ebbrezza dei vini mediocri che potevano permettersi coi loro quattro soldi di studenti, a discutere delle scene tratte dai film. Tutto finito, era tutto finito da tanto tempo. Sì, da tanto.
S'accorse, una volta di più, con quali amarezze si pagano certi piaceri.
Ne soffrì, potendo infine piangere, conscio del perché.
Carlsbad era stata come un preludio. Siccome non ne aveva idea, nessuna apprensione – quella di essere deluso, ad esempio – s'era elicitata a precedere la meraviglia, che era riuscita a dissipare, per qualche ora, l'anormale ansietà, durata per tutto il percorso sino alla prima delle città termali che avevano previsto di visitare, e montata con un flusso lento, irreprimibile.
Beninteso, tutto ciò era stupido. Sapeva perfettamente, e da parecchio tempo, più o meno fin dall'inizio, che il film non era stato girato lì. Non sarebbe stato possibile, per ragioni economiche e politiche – e nemmeno desiderabile, benché il regista non avesse proprio l'approccio della Duras, che aveva rievocato i fasti dell'ambasciata di Francia in India utilizzando un padiglione a Neauphle-le-Château, e facendovi apparire, eteree, delle figure femminili vestite Paco Rabanne.
No: Resnais s'era assicurato che, d'intorno ai personaggi di Robbe-Grillet, vi fosse uno scenario più che plausibile. Tanto credibile che, per migliaia e migliaia di spettatori, Marienbad era, assolutamente, quell'hotel del XVIII sec., la cui facciata si apriva su un parco di severa composizione.
La notte era stata lunga, l'angoscia le impose la sua morsa: avesse potuto, avrebbe rinunciato. Ciò non sarebbe stato gentile nei confronti del suo compagno di viaggio. E che dirgli? Per settimane, avevano fantasticato – con le bambinesche gioia e cupidigia che mettevano in tante delle loro voglie – questa fuga: e ora, a pochi chilometri dalla meta, dovevano tornare sui propri passi? E poi, non poteva restare deluso: lo sapeva dal film, e da quel che aveva potuto leggere su questa città d'acque – descritta come un incanto.
Non ne fu deluso. Il tempo, uggioso fino ad allora, schiarì d'un tratto, non appena entrarono in paese, e il tragitto nel parco dal suolo diseguale, a vallicole, diretti alle terme, ispirò ai due frasi d'estatica ammirazione. Il suo compagno provò a canticchiare un pezzo di Barbara, però i versi gli sfuggivano, e si contentava di chiudere i suoi vocalizzi con un "...a Marienbad". Questo giochetto, con le sue pause, occupò un lungo istante del loro cammino. Dei frammenti di testo in effetti ricomparivano – un castello, la giada – ma non riusciva loro di comporre né un ritornello né una strofa.
Il pranzo, sul tardi, fu allegro, e, intanto che il suo amico era alla toilette, chiuse gli occhi per concentrarsi sulla pienezza che – malgrado il tempo e la distanza – la complicità che li univa faceva sorgere in lui.
Il ritorno fu spesso silenzioso, però mai cupo – come talvolta accadeva, quando una loro escursione s'esauriva nel rimpianto che bisognasse, per delle contingenze, allontanarsi da una situazione della quale non s'era sfruttata ogni attrattiva.
E' nel suo letto che s'intiepidiva – e in cui una volta ancora il sonno fuggiva da lui – che il dolore giunse.
In un lampo, gli tornarono alla mente i versi della canzone, l'aria della quale il suo compagno di viaggio aveva canticchiato per l'intera domenica:
"Mais, où donc êtes-vous?
Vous chantez vos aubades
Si loin de Marienbad"
(E dunque, dove siete?
Voi cantate le vostre serenate
Sì lontano da Marienbad)
Ebbene sì, era finita, ne era certo.
Mai più faranno le ore piccole con Franck, Naja, e quel giro che allora venerava, nel fumo delle sigarette, nell'ebbrezza dei vini mediocri che potevano permettersi coi loro quattro soldi di studenti, a discutere delle scene tratte dai film. Tutto finito, era tutto finito da tanto tempo. Sì, da tanto.
S'accorse, una volta di più, con quali amarezze si pagano certi piaceri.
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