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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Saul Ferrara

Mattino

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Quando la luce accecante cessò di colpo, Ivan poté finalmente aprire gli occhi. Si guardò intorno con diffidenza, scoprendo di non trovarsi, come avrebbe dovuto essere, nella sua camera. Il letto sul quale giaceva era così piccolo che le gambe, dalle ginocchia in giù, sporgevano, dondolando come gli arti di un burattino. I mobili avevano delle forme che non aveva mai visto prima: un armadio con dei curiosi oblò nelle ante e con la parte superiore spiovente come il tetto di una baita, un comodino cilindrico come un tronco d'albero, con una botola sul ripiano a sostituire il cassetto ed infine, al posto del tavolo e delle sedie, tre grandi imbuti di vetro capovolti. Le sedie, ovviamente di dimensioni più piccole del tavolo, straripavano di fiocchi di raso rosso come quelli che indossano i clown, mentre all'interno del tavolo c'era una quantità incalcolabile di monetine di cioccolata e di gomme da masticare. Il soffitto e le pareti erano decorate da centinaia di gechi dai colori e dalle forme più strane, sembravano i magneti che si attaccano sullo sportello del frigorifero, ma non appena Ivan pensò a questa somiglianza questi si misero subito a camminare, come se lo avessero sentito e volessero dimostrargli di non essere dei semplici giocattoli inanimati. Ivan iniziò a sfregarsi gli occhi coi pugni: stava ancora dormendo, di questo era sicuro, non poteva essere diversamente, ma perché questo sogno gli appariva cosi vivido da sembrare reale? Non gli era mai accaduto prima e passata la prima fase dello stupore ora sentiva la paura crescere velocemente in lui. Balzò dal letto non sapendo quanto questo fosse più alto di quelli comuni. L'atterraggio fu duro e si storse una caviglia, finendo disteso a terra. Il letto in realtà era un gigantesco cubo di Rubik con sopra un sottile materasso di gommapiuma. Ivan pensò subito a quante notti insonni aveva trascorso da bambino nel vano tentativo di giungere alla soluzione di quel difficilissimo rompicapo. Stava massaggiandosi la caviglia, riflettendo sul fatto che nei sogni non ci si dovrebbe far male e che il dolore fisico nel mondo onirico non dovrebbe esistere, quando una vocina lo chiamò per nome.

<< Ivan, Ivan. Sono qui, mi vedi?>>.

Ivan, appoggiate le spalle al cubo di Rubik, si alzò lentamente su un piede.

<< Sono dentro l'armadio, vieni a liberarmi. Puoi camminare tranquillamente se vuoi, basta solo che smetti di pensare alla caviglia e questa non ti farà più male.>> disse la vocina accompagnando alle parole un sommesso bussare contro lo sportello dell'armadio. Ivan attraverso l'oblò dell'anta vide un ciuffo di capelli biondo cenere che si muoveva incessantemente come se il suo possessore stesse ballando una danza frenetica. Poi poggiò entrambi i piedi, ignorando il dolore che gli faceva pulsare la caviglia, e dopo due passi, proprio come gli aveva suggerito la voce, non sentì più alcun male. Raggiunto l'armadio l'aprì ed il misterioso prigioniero saltò subito fuori mostrando la sua identità. Ivan rimase senza parole e si piegò sulle ginocchia per guardarlo più da vicino. "Tutto questo è pazzesco!" pensò, mentre osservava quello strano ometto che non raggiungeva il metro d'altezza.

<< Ti ricordi di me?>> chiese il nanetto dal ciuffo biondo, stendendo con i pollici le variopinte bretelle che gli tenevano i pantaloni pieni di toppe e di almeno due misure più grandi.

<< Si, mi ricordo...sei Truciolino, il mio pupazzo preferito di quando ero bambino.>> rispose Ivan più confuso che stupito.

<< Sono diventato solo un pupazzo pieno di segatura quando tu hai deciso che non potevo essere nient'altro di diverso, ma per anni sono stato il tuo migliore amico, anzi l'unico amico che tu abbia avuto. Mi raccontavi tutto, le tue paure, i sogni e quello che saresti voluto diventare da grande. Di notte non ti addormentavi se non ero accanto a te, ma un bel giorno mi hai chiuso dentro uno scatolone assieme a quattro vecchie cianfrusaglie di latta ammaccate e sono finito in soffitta. Come hai potuto farmi questo? >>.

<< Ero diventato grande, non potevo certo continuare a giocare con te, anche se mi sarebbe piaciuto...>> disse Ivan con tono sommesso come per rimediare alla mancanza di sensibilità che aveva dimostrato nei confronti del suo vecchio amico Truciolino.

<< Mi hai spedito in soffitta perché eri diventato grande?! Tu non sei diventato quello che volevi essere da grande. Ti ricordi quali erano i tuoi tre sogni da realizzare? No, vero. Lo sapevo che te li saresti scordati e per impedirmi di ricordarteli mi hai mandato via. Non è forse così?>>.

<< Tutto questo è assurdo, sto solo sognando. Ora basta voglio svegliarmi, voglio finirla con questa pagliacciata.>> disse Ivan sconfortato.

<< Pensi che sia così facile? Mi dispiace ragazzo mio, ma non puoi sbarazzarti un'altra volta di me senza rispondere alle mie domande. >>

<< Tu non esisti!Ti sto solo sognando e quando mi sveglierò tornerai nel nulla da dove sei venuto.>> urlò Ivan

<< Non è come pensi, il sogno non è meno reale del sognatore. Ti ricordi quella bella frase che avevi scritto nella prima pagina del tuo diario. "L'uomo è il sogno di un'ombra" ?. L'avevi letta su un libro di uno scrittore greco. Volevi fare anche tu lo scrittore ed invece...su forza, dimmi cosa fai per vivere? Io lo so già, ma voglio sentirtelo dire. >> chiese Truciolino con tono autoritario con le mani sui fianchi, atteggiandosi come fosse un dittatore che dal suo balcone urla alla guerra, spingendo la folla, raccolta ad ascoltarlo, ad arruolarsi. Ivan non rispose e strinse i pugni con tutta la sua forza sperando che questo potesse bastare per svegliarlo. Truciolino si accorse di quel vano tentativo di fuga e sorridendo disse:

<< Puoi stringere i pugni fino a far sanguinare le nocche ma non te ne andrai da qui finchè non avrai risposto alle mie domande. Ascolta, quando uno smette di sognare da sognatore diventa sogno. Tu, caro Ivan, sei proprio come me, uno dei tanti sogni di un'ombra. Allora, vuoi rispondere alle mie domande? Cosa fai per vivere? Non provare a mentirmi, io so tutto di te. >> .

<< L'infermiere.>> rispose dopo un po' Ivan con la voce che gli tremava dalla rabbia e dalla vergogna.

<< Lo fai per umanità, perché ti piace aiutare il prossimo o c'è qualche altro motivo che non vorresti confessare a nessuno?>> chiese Truciolino con lo stesso piglio da istigatore di piazza.

<< Per soldi, lo faccio solo per vivere! Degli altri non mi importa niente.>> rispose Ivan, sentendo dentro di se qualcosa che si rompeva, come un remoto argine che per tanto tempo aveva impedito alle sue vere emozioni di fluire normalmente dentro di lui.

<< Bene, bene. Iniziamo a capirci...>> disse compiaciuto il pupazzo. Poi, infilati i mignoli nella bocca emise un lungo fischio. Un canarino giallo comparve all'improvviso e ubbidiente al richiamo, dopo un breve volo, si posò sulla spalla di Truciolino.

<< Di lui ti ricordi?>> chiese ad Ivan accarezzando con un dito il piccolo volatile sulla testolina.

<< Si, è Lampo.>>

<< Bravo! Vedo che la memoria ti sta tornando. Quindi forse non hai bisogno che ti dica che quando Lampo è morto tu hai pianto per giorni e giorni. Ora, dimmi, da quanto tempo non piangi? Eppure sono morte tante persone a te care ma tu non hai versato una lacrima. Perché non hai pianto, che cosa è cambiato da quando eri bambino? >>. Ma Ivan a questa domanda non avrebbe mai risposto e in preda ad una crisi di nervi iniziò ad urlare.

<< Ma che cosa vuoi da me?! Lasciami in pace!>>.

Poi afferrò il pupazzo parlante e lo strattonò con una tale violenza che la stoffa cedette, spargendo in aria, come tanti coriandoli, batuffoli di cotone e segatura.





Ivan stava urlando a squarciagola tutta la sua disperazione quando si rese conto di trovarsi sul suo letto. Il cuscino che stringeva tra le mani era strappato e sopra di lui un centinaio di piume d'oca volteggiavano placide. Era stato solo un sogno, un brutto sogno e finalmente si era svegliato. Cico, il suo dolce volpino, lo guardava con il musetto piegato di lato, come era solito fare quando non comprendeva un ordine impartitogli dal suo padrone.

<< Tranquillo, va tutto bene, ho solo fatto un brutto sogno. Ora mi vesto e ci facciamo la nostra passeggiata mattutina.>> disse cercando di rassicurare più se stesso che il cane. Quel giorno Ivan doveva fare il turno di notte e quindi decise di portare Cico al parco, in fondo un lunga camminata gli avrebbe fatto bene per smaltire quella sbornia onirica. Al parco, mentre Cico correva muovendo allegramente la coda a ventaglio, Ivan seduto sulla spalliera di una panchina rifletteva su quanto fosse stato strano e coinvolgente quel sogno. "Un brutto scherzo della fantasia" pensò, chiudendo rapidamente l'accaduto in una stanzetta buia del suo cervello, come faceva ogni qual volta non riusciva a spiegarsi qualcosa al di fuori dell'ordinario. Intanto la luce del mattino aumentava la sua luminosità e dietro le spalle di Ivan un'ombra cominciava ad ingigantirsi sempre di più, fino a farlo apparire come una sua inutile appendice.







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