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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Arianna e Selena Mannella

Mi infilo in centinaia di letti

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Mi infilo in centinaia di letti, sotto coperte e lenzuola che non mi appartengono. Lenzuola che avranno scaldato chissà quanti altri corpi stanchi, accolto chissà quante storie d'amore fugaci, passeggere. Ogni giorno un viso nuovo, decine di visi nuovi, di sguardi indifferenti che colmano la mia giornata, tante voci allegre, scontrose, adirate, insinuanti, ma nessuna è mai la sua. Ho inviato un messaggio sul suo cellulare. Non mi risponde, forse è troppo tardi e a quest'ora sta già dormendo. Non mi ero accorto che fosse così tardi.

Mi butto sul letto vestito, non ho neppure la forza di togliermi gli indumenti di dosso, di snodare la cravatta che a volte stringe come un cappio al collo e di sfilarmi le scarpe, pesanti come mattoni che rallentano il mio passo. Trascorro la mia vita così, tra una città e l'altra, tra un cartello stradale che porta il nome di un luogo che non conosco, e di un altro che forse ho già visto ma di cui non ricordo nulla. A bordo di una macchina, su di un taxi, o abbandonato su di un sedile in un vagone di treno, scorgendo con gli occhi dal finestrino paesaggi mutevoli simili solo per la stagione che indossano, trascorro la mia vita così, tra una fila in coda al check-in di un aeroporto, o facendomi cullare dal moto instancabile e perpetuo di un oceano, provo ad inseguire un po' di quotidianità, un po' di quelle abitudini che se vengono a mancare, ci fanno sentire quasi smarriti. Provo a cercare un po' di quel tempo che consapevolmente è trascorso e che non può più ripetersi.

Non ho una casa, il mondo intero è la mia dimora. Quando poi arriva l'ora di ritornare, non possiedo un posto dove adagiare il mio corpo stanco. Lei mi ha lasciato, perché avere una relazione con me, la faceva sentire abbandonata, esiliata nel suo malumore, priva di ogni sostanza. Non ho più un mio letto nel quale riposare, non ho più delle braccia nelle quali essere accolto. Lei un giorno ha bruciato il nostro rapporto con la stessa semplicità con cui ha bruciato le nostre fotografie, ma forse parlo così perché sono solo un uomo ferito.

Mi faccio forza e mi sfilo le scarpe. Poi getto i vestiti uno ad uno sul pavimento come da fardelli di cui mi volevo liberare da tempo e mi butto sotto la doccia. L'acqua fluisce veloce sulla mia pelle e sulla spossatezza di un'intera giornata, ma non riesce a far dileguare la solitudine. Le dita delle mani sono tutte raggrinzite prima che mi persuada ad uscire dalla doccia. Mi passo frettolosamente un asciugamano sulla schiena e mi butto nudo sul letto. Prendo sonno così, senza neanche rendermi conto che la stanza è troppo fredda per non indossare niente. Poco importa, il freddo che sento al mio risveglio non è paragonabile a quello che ho dentro. Mi alzo a fatica. Mi rivesto, indosso una camicia pulita un po' stropicciata e una cravatta in tinta. Esco dalla stanza che mi ha accolto tra le sue braccia come una donna misericordiosa e lascio l'albergo con la ventiquattro ore e una piccola valigia in mano. Poche parole e mi allontano per sempre da questo luogo simile agli altri ma in fondo così diverso. Le ho mandato un altro messaggio mentre il taxi porta via dalla mia vista il campanile, un campo da calcio che sembra dimenticato e vie di negozi brulicanti di persone come nel periodo dei saldi. L'ora, è un'ora precisa, ma potrebbe anche essere una delle tante, perché anche se so che lei in questo momento è davanti alla tv a guardare il telegiornale con il caffè fumante e la sigaretta tra le dita, non mi dà risposta. Non ritiene importante soccorrere la mia integrità vacillante. Ci fermiamo ad un semaforo. Poi ad un altro. La città scorre sotto alle ruote come acqua sotto ai ponti.

Tra poco incontrerò delle persone, non so chi esse siano, né tanto meno quella che è la loro vita, ma entrerò nella stanza con un sorriso giovane, ammaliante. Stringerò con vitalità le mani che si protenderanno al mio passaggio e incomincerò a relazionare, sempre lo stesso argomento con il medesimo entusiasmo. Con una intonazione pacata, cordiale, ritmata al punto giusto. Con accenti d'orgoglio che faranno intendere ai miei interlocutori, l'entusiasmo che ripongo nello svolgere il mio lavoro. Non è facile, ma prima o poi ci fai l'abitudine e quando l'hai fatta, incominci anche a guadagnare. È un lavoro come un altro. Anche se è peggio di un amante perché ti tiene sempre impegnato, succhiandoti ogni minuto di vita e ti stanca il corpo e la mente. A lei sono stato infedele, sì, anche se il frutto del mio peccato non era la pelle bianca e profumata di un'altra donna, non è stata una mestizia della solitudine, non è stata un calvario dell'anima, chissà se quel tipo di tradimento l'avrebbe perdonato più facilmente? Ho pensato per molto tempo di essere onesto con lei, ma in fondo non lo sono stato, perché non mantenere delle promesse ti rende colpevole.

Il giorno è passato così e la sera è arrivata come ogni giorno alla stessa ora. Non è cambiato proprio niente, anche se i visi che avevo davanti erano diversi e le lenzuola troppo inamidate che mi hanno accolto, appartengono ad un altro albergo. Ho chiamato il suo cellulare, ma lei non ha risposto.

Oggi la città mi sembra più silenziosa, o forse è perché sono troppo concentrato sul questo rumore che ho dentro per sentire tutto il resto. Nessuno si chiede in quale paese mi trovi o quali siano i miei impegni. Ho sacrificato tanto per poi accorgermi di non possedere niente. Oggi non ci saranno amici che telefoneranno, anche se è il mio compleanno. Oggi non ci sarà nessuno che mi domanderà come sto solo per il semplice piacere di saperlo. Avrei tanto voluto sentire la sua voce, ricordarmi che esisto attraverso il ricordo di qualcuno.

Mi sono fermato in un bar a bere. Ad un tavolo vicino una famiglia festeggiava il compleanno di una bambina, avrei tanto desiderato avere una figlia. So che anche a lei sarebbe piaciuto. Ne parlavamo quando credevamo entrambi di vivere una vita insieme.

Qualcuno mi ha riaccompagnato nella mia stanza dopo, mi sono lasciato andare sul divano e sono svenuto nel rifugio sicuro dell'incoscienza. Non avrei voluto più ritrovare un nuovo giorno che bussava alle finestre.

Se mi vedesse in questo momento so che proverebbe pena di fronte alla mia fragilità e alla poca stima che ho di me stesso. Dopo una lunga doccia fredda sono uscito senza cravatta. Ho lasciato in stanza la valigetta che contiene i miei successi e ho annullato l'appuntamento nel pomeriggio. Ho chiamato il suo cellulare per raccontarle di questa novità, di questa nuova rinascita di questo nuovo parto che mi ha riportato alla vita. Ho ingannato me stesso nel credere che lei potesse percepire dall'altra parte del continente, che ce la stavo mettendo tutta per cambiare, per riscoprire me stesso e la vita che avevo dimenticato di vivere, ma lei non ha risposto.

Mi sono seduto al tavolino di un bar dopo aver passeggiato lungo il fiume per smaltire i resti alcolici della notte precedente che si mischiavano ancora al mio sangue. Ho acceso una sigaretta, ordinato un caffè amaro e ho rivolto il viso verso il sole che si stava impadronendo di quella nuova giornata.





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