RACCONTI
Maura Cannaviello
Mio fratello Roberto
Roberto parcheggia l'auto sotto casa dei suoi; la domenica la famiglia si riunisce per il pranzo. Il volto è appena sbarbato, leggermente abbronzato; porta un maglione buttato sulle spalle e una
bottiglia di vino del 2001. La tavola è imbandita come se fosse il giorno di Natale: tra i sorrisi delle zie e il piatto di antipasti, la mamma è allegra e si dà un gran da fare.
"Che buon profumo questo arrosto e come sei bella," dice Roberto alla madre "Ti sono mancato? Ogni giorno sembri sempre più giovane!".
Eppure anche oggi che ha trentasei anni è come quando ne aveva sedici, Roberto resterà appena per un paio d'ore. Dopo il caffè, infilerà la porta e questa aria di festa svanirà insieme a lui.
Un tempo odiavo il potere che ha sulle persone e come tutti cercassero di ottenere la sua approvazione raccomandandosi a me, come se avessi avuto un ascendente in più su di lui. Invece, sono cresciuto nella sua ombra, schiacciato dal suo fascino enigmatico che mi precedeva di tre anni ovunque andassi. A lungo sono stato semplicemente: il fratello di Roberto, anche nel cuore di nostra madre. Non ce l'ho mai avuta con lei per questo amarci in modo diverso, semmai per come ha sempre cercato di compensare il suo senso di colpa. Ricordo la prima volta che ebbi questa sensazione: avevo otto anni e ancora giocavo con mio fratello. Ci eravamo accordati per fingere di dormire e saltare in piedi urlando quando sarebbe entrata per controllare se eravamo a letto. Le avremmo lanciato addosso i cuscini, ci saremmo fatti il solletico e buttati esausti sui materassi.
Avrei dato io il segnale perché avevo la visuale migliore della camera. Già pregustavo il momento della sorpresa, del chiasso che avrebbe allertato anche nostro padre e soffocavo a stento le risatine, quando qualcosa mi turbò. La porta si aprì quel tanto che bastava per infilarci il viso e nell'oscurità vidi lo sguardo innamorato di nostra madre che contemplava la sua creatura: Roberto.
Fu un attimo poi lei sparì insieme allo spicchio di luce apertosi nella stanza, e mio fratello si tirò su protestando perché non avevo dato il segnale in tempo. Non capii subito a cosa avevo assistito,ma nel corso degli anni imparai a riconoscere quel trasporto in molti gesti di nostra madre. Dubito, invece, che Roberto si sia mai reso conto delle attenzioni di lei.
A vent'anni faticavo a ritagliarmi un ruolo ed io per primo mi paragonavo a lui chiedendomi: Cosa avrebbe fatto Roberto? Cosa avrebbe detto?
Tutto il mondo sembrava adorarlo e lui pareva incapace di apprezzarlo. Non sapevo niente di mio fratello, mi trattava al pari di un estraneo, anzi credo mi detestasse perché dividevamo la stessa casa, addirittura la stessa camera e più di altre persone avevo accesso alla sua vita privata. Mi sentii morire quando io e i miei amici lo incontrammo a un concerto. Il pubblico si scatenava sotto al palco, ma io restavo immobile accanto a lui per il timore di una sua reazione. Invece Roberto non sembrò infastidito dalla nostra presenza; era calmo, concentrato sulla musica e mi stupii quando lo vidi dirigersi verso le prime file. Si fece largo a spallate e con un balzo salì sul palco. La musica cessò. La cantante, una moretta molto provocante, si girò verso la band con sguardo incredulo e indecisa sul da farsi. Intanto Roberto ci osservava dall'alto, silenzioso e immobile. Per un lungo momento non accadde niente; qualcuno tra il pubblico rimase in silenzio, ma altri iniziarono a fischiare, a lanciargli contro bottiglie di plastica e a offenderlo: "Levati di mezzo imbecille!".
"Buttatelo giù!" qualcuno urlò.
Non sopportavo di vederlo impotente, deriso dal pubblico e avevo voglia di gridare: Smettetela, non sapete chi è? Lui è Roberto, mio fratello! Saltai sul palco, afferrai il microfono delle mani della graziosa moretta e iniziai a scimmiottare il gruppo. Cantavo in modo stupido e stonato, con il preciso intento di coprirmi di ridicolo e di attirare le ingiurie su di me. La security ci fu addosso, ci afferrò per le giacche, ma io riuscii a liberarmi e a tirare via Roberto. Lo spinsi giù dal palco e poi di corsa lungo il muro della sala. Da prima si lasciò trascinare poi fu sempre più consapevole della nostra fuga. Correvamo vicini: stesso passo, stesso respiro, tra le facce attonite degli astanti. A ogni metro che mettevamo tra noi e il palco, cresceva dentro me una leggerezza mai provata prima. Roberto mi cinse le spalle con un braccio.
"Tu sei matto" gli dissi.
"Tu lo sei più di me!" rispose soddisfatto.
Mio fratello controlla l'orologio, è ora di andare e un po' tutti i presenti ci fanno caso. Inutile negarlo, Roberto emana ancora un fascino da cui è impossibile sottrarsi.
Dà un bacio alla nonna, che ormai non riconosce più nessuno e alle altre donne di casa. Stavolta non permetterò che mi saluti da lontano, dico a mia moglie di aspettarmi un attimo e lo raggiungo sulla porta.
"Che fai domani sera?" gli chiedo.
"Ho da fare, perché?"
"Che hai da fare? Una birra con qualche scapolone la puoi rimandare! Passa a trovarci, così finalmente vedi la casa".
"Okay, magari ti chiamo."
"Magari".
Torno dentro a prendere mia moglie; è all'ottavo mese e non voglio che si stanchi troppo. L'aiuto ad alzarsi, prendo i soprabiti e anche noi ci apprestiamo a salutare.
"Peccato che andiate via così presto" dice mia madre.
"Ma si, restate" insistono le zie.
"Lasciateli andare. Isabella è stanca, è giusto che si riposi!" dice mio padre.
Per ultima saluto mia nonna. Ormai non parla quasi più, sta seduta e guarda fuori.
"Ciao nonna, io vado".
Lei neanche mi vede, ma quello che mi dice mi mette addosso allegria "Roberto come sta?".
Maura Cannaviello
E' nata a Napoli l'8 ottobre 1975 e attualmente vive a Firenze. E' tecnico della grafica e della pubblicità e content manager per un'internet company fiorentina.
Oltre a scrivere su alcune free press, è autrice di racconti brevi. Mio fratello Roberto si è classificato 3° al concorso di MICRO-Editoria - Firenze dicembre 2007. Ha scritto anche (sentirsi) Come a un matrimonio in infradito, libro di esordio nel dicembre 2005, e Rosa di Plastica, Pagnini Editore 2007.
bottiglia di vino del 2001. La tavola è imbandita come se fosse il giorno di Natale: tra i sorrisi delle zie e il piatto di antipasti, la mamma è allegra e si dà un gran da fare.
"Che buon profumo questo arrosto e come sei bella," dice Roberto alla madre "Ti sono mancato? Ogni giorno sembri sempre più giovane!".
Eppure anche oggi che ha trentasei anni è come quando ne aveva sedici, Roberto resterà appena per un paio d'ore. Dopo il caffè, infilerà la porta e questa aria di festa svanirà insieme a lui.
Un tempo odiavo il potere che ha sulle persone e come tutti cercassero di ottenere la sua approvazione raccomandandosi a me, come se avessi avuto un ascendente in più su di lui. Invece, sono cresciuto nella sua ombra, schiacciato dal suo fascino enigmatico che mi precedeva di tre anni ovunque andassi. A lungo sono stato semplicemente: il fratello di Roberto, anche nel cuore di nostra madre. Non ce l'ho mai avuta con lei per questo amarci in modo diverso, semmai per come ha sempre cercato di compensare il suo senso di colpa. Ricordo la prima volta che ebbi questa sensazione: avevo otto anni e ancora giocavo con mio fratello. Ci eravamo accordati per fingere di dormire e saltare in piedi urlando quando sarebbe entrata per controllare se eravamo a letto. Le avremmo lanciato addosso i cuscini, ci saremmo fatti il solletico e buttati esausti sui materassi.
Avrei dato io il segnale perché avevo la visuale migliore della camera. Già pregustavo il momento della sorpresa, del chiasso che avrebbe allertato anche nostro padre e soffocavo a stento le risatine, quando qualcosa mi turbò. La porta si aprì quel tanto che bastava per infilarci il viso e nell'oscurità vidi lo sguardo innamorato di nostra madre che contemplava la sua creatura: Roberto.
Fu un attimo poi lei sparì insieme allo spicchio di luce apertosi nella stanza, e mio fratello si tirò su protestando perché non avevo dato il segnale in tempo. Non capii subito a cosa avevo assistito,ma nel corso degli anni imparai a riconoscere quel trasporto in molti gesti di nostra madre. Dubito, invece, che Roberto si sia mai reso conto delle attenzioni di lei.
A vent'anni faticavo a ritagliarmi un ruolo ed io per primo mi paragonavo a lui chiedendomi: Cosa avrebbe fatto Roberto? Cosa avrebbe detto?
Tutto il mondo sembrava adorarlo e lui pareva incapace di apprezzarlo. Non sapevo niente di mio fratello, mi trattava al pari di un estraneo, anzi credo mi detestasse perché dividevamo la stessa casa, addirittura la stessa camera e più di altre persone avevo accesso alla sua vita privata. Mi sentii morire quando io e i miei amici lo incontrammo a un concerto. Il pubblico si scatenava sotto al palco, ma io restavo immobile accanto a lui per il timore di una sua reazione. Invece Roberto non sembrò infastidito dalla nostra presenza; era calmo, concentrato sulla musica e mi stupii quando lo vidi dirigersi verso le prime file. Si fece largo a spallate e con un balzo salì sul palco. La musica cessò. La cantante, una moretta molto provocante, si girò verso la band con sguardo incredulo e indecisa sul da farsi. Intanto Roberto ci osservava dall'alto, silenzioso e immobile. Per un lungo momento non accadde niente; qualcuno tra il pubblico rimase in silenzio, ma altri iniziarono a fischiare, a lanciargli contro bottiglie di plastica e a offenderlo: "Levati di mezzo imbecille!".
"Buttatelo giù!" qualcuno urlò.
Non sopportavo di vederlo impotente, deriso dal pubblico e avevo voglia di gridare: Smettetela, non sapete chi è? Lui è Roberto, mio fratello! Saltai sul palco, afferrai il microfono delle mani della graziosa moretta e iniziai a scimmiottare il gruppo. Cantavo in modo stupido e stonato, con il preciso intento di coprirmi di ridicolo e di attirare le ingiurie su di me. La security ci fu addosso, ci afferrò per le giacche, ma io riuscii a liberarmi e a tirare via Roberto. Lo spinsi giù dal palco e poi di corsa lungo il muro della sala. Da prima si lasciò trascinare poi fu sempre più consapevole della nostra fuga. Correvamo vicini: stesso passo, stesso respiro, tra le facce attonite degli astanti. A ogni metro che mettevamo tra noi e il palco, cresceva dentro me una leggerezza mai provata prima. Roberto mi cinse le spalle con un braccio.
"Tu sei matto" gli dissi.
"Tu lo sei più di me!" rispose soddisfatto.
Mio fratello controlla l'orologio, è ora di andare e un po' tutti i presenti ci fanno caso. Inutile negarlo, Roberto emana ancora un fascino da cui è impossibile sottrarsi.
Dà un bacio alla nonna, che ormai non riconosce più nessuno e alle altre donne di casa. Stavolta non permetterò che mi saluti da lontano, dico a mia moglie di aspettarmi un attimo e lo raggiungo sulla porta.
"Che fai domani sera?" gli chiedo.
"Ho da fare, perché?"
"Che hai da fare? Una birra con qualche scapolone la puoi rimandare! Passa a trovarci, così finalmente vedi la casa".
"Okay, magari ti chiamo."
"Magari".
Torno dentro a prendere mia moglie; è all'ottavo mese e non voglio che si stanchi troppo. L'aiuto ad alzarsi, prendo i soprabiti e anche noi ci apprestiamo a salutare.
"Peccato che andiate via così presto" dice mia madre.
"Ma si, restate" insistono le zie.
"Lasciateli andare. Isabella è stanca, è giusto che si riposi!" dice mio padre.
Per ultima saluto mia nonna. Ormai non parla quasi più, sta seduta e guarda fuori.
"Ciao nonna, io vado".
Lei neanche mi vede, ma quello che mi dice mi mette addosso allegria "Roberto come sta?".
Maura Cannaviello
E' nata a Napoli l'8 ottobre 1975 e attualmente vive a Firenze. E' tecnico della grafica e della pubblicità e content manager per un'internet company fiorentina.
Oltre a scrivere su alcune free press, è autrice di racconti brevi. Mio fratello Roberto si è classificato 3° al concorso di MICRO-Editoria - Firenze dicembre 2007. Ha scritto anche (sentirsi) Come a un matrimonio in infradito, libro di esordio nel dicembre 2005, e Rosa di Plastica, Pagnini Editore 2007.
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