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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Simona Ingrassia

Mirror

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Non che ci creda davvero ma se non mi fossi sottoposto a questa pagliacciata di esame non avrei potuto continuare a lavorare.

Lingue lunghe di colleghi, sempre pronti a farti le scarpe, a criticare, a mettere in giro voci sconsiderate.

Io sarei quello strano, solo perché parlo in faccia e non mi nascondo dietro ipocrite apparenze.

Va beh, forse ogni tanto esagero, ma da qui a considerarmi fuori di testa...

D'accordo, passiamo al dunque.

Il dottore di un tempo è diventato un tecnico, un bio informatico che gestisce un sistema operativo complesso e totalmente interagente.

E per gli psicanalisti la cosa è diventata quasi un gioco di società.

Accogli il paziente, parlagli qualche minuto, giusto per fargli sapere cosa lo aspetta, poi conducilo nella stanza dello specchio e mettilo di fronte quella cosa che dovrebbe aiutarti a migliorare le tue condizioni mentali ed emotive.

Ed eccomi qui.

Sono seduto su una comoda poltroncina immersa in una rilassante penombra e davanti a me si trova quello che viene chiamato lo Specchio, un computer alto e ultra sottile dalla superficie esterna rivestita di sensori neuronali in grado di percepire le emozioni, i pensieri e i cambiamenti anche minimi di umore della persona sedutagli di fronte.

Il dottore ha già impostato i miei dati all'interno del sistema operativo e ora tocca a me.

Lo Specchio –così battezzato perché tale sembra- non riflette alcuna immagine tranne che per una vaga silohuette che si dice sia in realtà la bio personalità innestata all'interno di quell'iper tecnologico prodotto bio informatico.

«Buongiorno, signor Miartes. Come si sente?»

«Benissimo.»

Parlo seriamente. Se non fosse che potrei perdere la mia quotidiana seduta di yoga non ho alcun problema a starmene qui seduto, sebbene, ribadisca, la consideri una perdita di tempo.

«Allora, come mai è stato condotto al mio cospetto?»

Lo Specchio ha una voce profonda, piacevole, con un vago e indefinibile accento.

Sicuramente studiata a tavolino per mettere a proprio agio il paziente di turno.

«Onestamente mi è incomprensibile, a livello razionale.» rispondo accavallando le gambe.

«E a livello irrazionale?»

Sorrido, annuendo:

«Le interessa l'inconscio, eh? Dunque, io credo che sia qui solo perché i miei colleghi sono invidiosi e hanno sparso la voce che io sia un tipo facilmente preda di insani entusiasmi per questa o quella causa.»

«Vorrebbe essere più specifico?»

Sbuffo ma rispondo, diligente:

«A me piace prendermi cura del luogo dove vivo, invece noto che tutti, o quasi tutti, non hanno il minimo rispetto per questo mondo, ne traggono profitto senza pensare alle conseguenze delle loro azioni. Inoltre, se c'è una punizione per i crimini contro l'ambiente a essere colpiti sono sempre e unicamente i pesci piccoli, mentre i veri responsabili se ne stanno al riparo dietro la loro ricchezza e il loro potere politico.»

«In effetti...»

Storco le labbra, so bene che lo Specchio cerca di essere accomodante per poi farmi qualche sgambetto verbale, ma io non sono il solito paziente e lo capirà presto...

«Dunque, esterno le mie opinioni al riguardo perché è esattamente quello che farei se ne avessi la possibilità.»

«A volte le possibilità bisogna crearsele.» dice lo Specchio esternando con voce pacata questa perla di saggezza.

Scrollo le spalle:

«Sto solo aspettando l'occasione giusta. Vorrei colpire un punto cruciale, uno snodo importante del commercio e della finanza mondiali. Vorrei fare in modo che la gente si renda conto del pericolo che va' incontro fregandosene del posto in cui siamo nati.»

«Sta dicendo che è pronto a un atto terroristico?»

So che le conversazioni vengono registrate ma non possono essere usate come prove in tribunale giacché non possono essere attendibili se registrate durante una seduta psicanalitica, premettendo che in una tale occasione la persona che parla potrebbe essere completamente folle. Non è il mio caso ma visto che posso dire le cose come le penso davvero, non mi faccio alcun problema:

«Io non lo considero terrorismo. Il terrorismo è quello che attuano contro di noi ogni giorno, inquinando aria, acqua, terra, facendoci nascere potenzialmente soggetti a qualche tremenda malattia.»

«E' vero, ma senza arrivare a distruggere, ci sono molte associazioni che si prendono cura di denunciare questi crimini e proteggere i vari biotopi.»

«Oh, per piacere! Parla di quei poveracci che si legano davanti le baleniere o manifestano di fronte le piattaforme petrolifere? O di quei quattro gatti che ripuliscono uccelli e fondali dall'ultima catastrofe naturale provocata dallo sversamento di petrolio?»

«No, parlo di quelle associazioni di cui fanno parte anche avvocati e magistrati, e forze politiche, che si battono per far promulgare leggi apposite per la tutela ambientale.»

«Sì, conosco anche quei tizi.» borbotto agre e lo Specchio, ormai ben addestrato, commenta:

«Ha chiesto di far parte di uno di questi gruppi ed è stato rifiutato, vero?»

Siedo più rigido poi torno a rilassarmi, scrollando le spalle:

«Avrei dovuto prendere una laurea in giurisprudenza o un diploma in materie attinenti. Ma chi ce l'ha il tempo di mettersi di nuovo a studiare?»

«Tempo, o voglia?»

Non dico nulla, fissando torvo lo Specchio che riprende:

«Comunque, è sicuramente più facile distruggere che preservare e curare, credo. Ma non altrettanto costruttivo.»

«Costruttivo?» sbotto invelenito.

«Ma per favore! Anni di lotte e cosa siamo riusciti a ottenere? Un protocollo seguito da una minoranza di popolazione mondiale e leggi che possono essere aggirate dalle lobby industriali. Bella cura, ottima costruzione!»

«I potenti sono pochi, anche se per loro stessa natura ovviamente possono gestire grandi risorse e incidere parecchio sulla vita di tutti noi. Ma ci sono state persone in grado di riunire grandi masse di popoli e a far cambiare le cose. E' una lotta dura e dagli esiti incerti, ma l'Uomo può riscattarsi solo lottando e guadagnandosi personalmente la salvezza.»

«Questo sembra preso da uno di quei libri tipo Il guerriero della luce o che so io.» borbotto sprezzante.

Lo Specchio non si offende, ovvio, e mi pone un'altra domanda:

«Dunque lei vuole salvare il mondo. Di quale mondo parla?»

Inarco un sopracciglio:

«Cos'è, una domanda a trabocchetto?»

«E' una domanda. Vuole rispondermi?»

Sospiro, ormai sono stanco di giocare con questo ritrovato bio informatico di ultima generazione che si crede in grado di capire un essere umano e di curarlo, ma dato che non posso scappare, pena una sospensione dal lavoro che mi costerebbe molto cara, mi decido a proseguire con la farsa:

«Il mondo è uno solo.»

«Ah, davvero? Allora lei vive nello stesso mondo di un popolo che rispetta le leggi naturali e vive in armonia nel suo piccolo spazio di universo? O in quello dove ci sono guerre e malattie e la gente pensa solo alla sopravvivenza? O ancora, in quello di chi vive giorno per giorno cercando di costruirsi un minimo di futuro anche in seguito a grandi rinunce, sperando e cercando un miglioramento? Lei vive in ognuno di questi mondi, signor Miartes?»

Ah, ora capisco dove vuoi arrivare, sottospecie di automa dalla lingua lunga.

«Lei si crede in diritto di decidere per ognuno di loro? Magari a quella gente che deve fare i conti con soprusi e problemi di ogni genere farebbe più comodo se lei si recasse laggiù dopo aver studiato diritto internazionale e li aiutasse a ottenere quanto spetta loro liberandoli dalle schiavitù a cui sono costretti. Magari a chi lavora per qualche grande multinazionale servirebbe di più qualcuno in grado di parlare loro di quanto possono ottenere pretendendo un rispetto maggiore per la loro salute e quella dell'ambiente in cui vivono, costringendo i politici locali a mettersi al fianco della popolazione invece che pensare a mantenere buoni rapporti con i signori delle industrie.»

«E lei crede davvero che tutto ciò sia possibile?» replico sprezzante.

«Certo. Ci sono migliaia di esempi pronti a testimoniare queste buone e proficue azioni. E ci sono altrettanti esempi a indicarle che la via della distruzione e della violenza non produce che altra violenza e ritorsioni a non finire.»

Non dico nulla.

Io ho le mie convinzioni e non sarà un dannato computer a farmi cambiare idea.

«So cosa sta pensando.»

La voce è ora melliflua e mi irrita parecchio, ma continuo a tacere senza nemmeno guardare la lucida superficie dell'analista.

«Lei ha paura. Di fallire, di ritrovarsi con niente, di vedere distrutte le sue illusioni e di venire seppellito dalle loro ceneri. Ha paura di confrontarsi col mondo, con gli altri, e fugge, isolandosi o disprezzando il resto dell'umanità, accogliendo solo chi crede che la pensi come lei. Ma chi ha intenzioni violente non può considerarsi mai davvero un amico fidato o una persona a cui credere. I violenti e gli esaltati si dividono in due categorie: quelli che agiscono preda di false ideologie e quelli che manovrano questi ultimi sfruttando la loro ingenuità e la loro potenziale voglia di cambiare le cose, solo che invece che di cambiamenti costruttivi si parla di distruzione e di sopraffazione. E solitamente, alla fine, chi vince è proprio il sistema che quelli come voi dicono di voler cambiare.»

Mi chino in avanti sibilando una replica e sperando che i sensori neuronali vadano in corto circuito quando assorbiranno il mio totale disprezzo:

«Lei dovrebbe aiutarmi a superare i miei problemi, o sbaglio? D'altronde io sono venuto qui perché costretto, non certo perché ho davvero bisogno del suo aiuto.»

«Se lei continua a non accettare la realtà costruendosene una adatta a uniformarsi alle sue idee fanatiche, non guarirà mai. Le ferite che le sono state inflitte nella prima infanzia e quelle che si sta infliggendo da solo in questi anni devono essere portate allo scoperto per poter essere guarite. Invece lei le nasconde sotto un'apparente distacco emotivo. Apparente perché dentro di lei le ferite bruciano e suppurano, e alla fine, se non farà nulla per guarire, la sua mente finirà per essere sopraffatta da uno schema che la renderà incapace di discriminare tra male e bene.»

Lo Specchio, finalmente, tace.

Anche io non ho più nulla da dire, non ho nemmeno sentito le ultime frasi di questo coso farneticante.

Ferite? Guarire?

Io sono sano.

Sono gli altri ad essere malati, ciechi, indifferenti.

L'Umanità ha bisogno di una cura drastica.

La violenza, a volte, è necessaria.

Quasi a confermare il mio intimo pensiero, l'esplosione divampa squarciando oggetti e persone.

Il dolore è intenso ma breve, tanto rapido che la mia coscienza resta aggrappata ai sensori dello Specchio mentre va in pezzi.

Per un tempo indefinibile resto così, cosciente di me stesso ma incapace di interagire col mondo esterno, attaccato a questa superficie fredda, percependo i miei stessi pensieri come l'unica cosa a cui posso restare aggrappato per sopravvivere.

Dopo non so quanto, qualcuno mi raccoglie, riassembla le schegge sparse qua e la, decide che posso ancora servire a qualcosa.

Mentre mi aggiustano – o meglio, mentre aggiustano lo Specchio- parlano dell'attentato e così scopro cosa è successo.

Un gruppo di fanatici contrari ad affidare esseri umani alle cure di un bio comp, per quanto evoluto, ha posizionato nello studio medico una bomba ad alto potenziale.

Risultato: dieci morti –dottore, infermiere, assistenti, e due pazienti, uno in attesa e uno in sala analisi.

Io sarei quello della sala analisi.

I miei resti sono diventati parte integrante dell'ambiente, tanto lo scoppio è stato potente e vicino.

Non esisto più, se non come parte integrante dello Specchio.

E ora che ha ripreso a funzionare, mi accorgo che lo Specchio si è accorto della mia presenza e mi ha accettato, dicendomi:

«So che sarà dura, ma come le dicevo, salvare il mondo non significa distruggerne una parte, ma caricarsi dei problemi di tutti quelli che ci vivono. E' pronto, signor Miartes?»

Anche volendo, penso afflitto, dove potrei fuggire?





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