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RACCONTI

Luigia Bencivenga

Napoli centrale

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L'uomo che è appena salito sull'Intercity Milano Napoli, qualcuno lo avrà pur riconosciuto, è il noto poeta e romanziere napoletano Giuseppe Piedimonte. A dirla tutta, non scrive nulla da 6 mesi con gran pena dell'editore. Proprio ieri sera nel corso di una cena informale, l'editore, prendendolo in disparte, gli ha chiesto di produrre, produrre, produrre. E stavolta, con tono minaccioso. Giuseppe, con l'occhio spento che lo caratterizza da sei mesi a questa parte, prova a giustificarsi, Non ho idee. Ma come non hai idee? ti paghiamo e anche bene per le tue fottutissime idee, Non ho idee, punto, Bene allora te la do io un'idea, scrivi una novella sul Times New Roman, Il carattere tipografico?, Si, ho in mente una collana di racconti a tema di giovani leve piene di idee, ma serve un nome, e tu sei il nome.



In verità Ermanno Maria de Stefano Scotti, mecenate dell'editoria italiana, non ha un gran che in considerazione le idee del genio napoletano, ma che a quanto pare piacciono al pubblico. Da dieci anni, con quelle fesserie fissate su carta, s'è creato un caso. La saga di Mister Malox, il pervertito impenitente che ha fatto sognare una generazione di intellettuali post-comunisti, Il poema del limoncello, satira corrosiva dell'intellighenzia liberal destroide, sono solo due dei titoli dell'immensa produzione letteraria del nostro genio napoletano.



Il giorno successivo, Giuseppe, deciso a combattere la depressione che l'opprime da quando Marco se n'è andato, decide di prendere quell'Intercity diretto a Napoli, e di sperare che quella che tutti chiamano ispirazione tornasse nel luogo da dove per motivi a lui sconosciuti non faceva ritorno. Times new roman, times new roman... Durante il viaggio, lungo e segnato dai consueti ritardi cui Trenitalia ha abituato il popolo italico, Giuseppe ha letto qualche manuale di calligrafia e tipografia e una storia del carattere tipografico, tanto che all'altezza di Chianciano Terme il geniale scrittore conosce l'argomento in profondità senza avere, in ogni caso, alcuna idea in merito. Sconsolato, si avvia alla mesta riflessione del depresso innamorato.



Il compagno di Giuseppe Piedimonte, Marco Demanti, venditore porta a porta di salvavita per il gas, se n'era andato, senza avvertimento alcuno. Dopo i giorni dell'amore, a Giuseppe non resta altro che attendere un cenno, una telefonata, una lettera. Attesa, amore, solitudine, morte, queste le sue idee. Altro che Times new roman!



Nello scompartimento vuoto e inodore, Giuseppe può dar libero sfogo alla lacrime. Piange, ma perché? Non è stato lui a mandare tutto all'aria? A far sì che quell'uomo di bell'aspetto come pochi evadesse dal proprio letto, senza lasciare traccia? Marco non avrebbe mai parlato di filosofia, di fine letteratura, non conosce nemmeno Saramago... eppure, Marco lo ha reso felice. Uno scrittore, un poeta, il nuovo genio della nuova letteratura italiana può essere felice? Svegliarsi odoroso di sesso e traboccante di letizia e godimento, un giorno sì e l'altro pure? No, Giuseppe sa che a lui, genio, è destinata per contratto l'infelicità. Dal resto, si tiene alla larga. Ora, sebbene infelice, la poesia, quella che si nutre di infelicità e brutture, lo ha abbandonato.



Quando tutti andavano via da Napoli, e lo testimoniava quello scompartimento vuoto, lui vi ritornava proprio perché la città conserva la bellezza poetica di una città infelice. Eccola, il poeta stanco di caratteri tipografici e dolori del cuore avverte la Città a 100 metri dalla stazione centrale, quando il treno cingolante s'arrampica a fatica sull'ultimo binario. Il poeta tra Gianturco e Napoli Centrale già comincia a vibrare di quello che qualcuno avrebbe definito terrore. Sì, ma un terrore acerbo, quello dei bambini allertati dall'uomo nero nella notte. Un terrore a lui consueto. Lui lo chiama poesia. Avvicinandosi a Gianturco, le cosce s'intorpidiscono e il respiro si fa raro. E il poeta si chiede, dove sono nascoste le anime di quelli che sono passati di qua e di cui adesso non se ne sente nemmeno l'odore. Nelle pietre di tufo consumate, ai bordi dei binari, o nelle pareti corrose dei palazzotti grigi che s'affacciano sulle ferrovie. Forse, nei ricordi delle voci di chi alza troppo la voce e non sa se essere felice di ritornare di nuovo al Sud quando nei venerdì dei migranti quel treno era denso di umanità ambulante. Il poeta ricorda le voci e ne trascrive i discorsi, perché i poeti vivono di quello che dicono gli altri. E davanti a lui, s'incarnano fantasmi. Marilena che vede la figlia un sabato sì e un sabato no. Un nano innamorato di una donna pericolosa a vantarsi di fissare record nel videogioco portatile. E Dorina che piange il figlio perduto al Nord schiacciato da una ruota di un tir. Ora, solo i muri, dai vetri, parlano. Le scritte sui muri, sono iscrizioni d'amore. E di protesta. Una dice, il Sindaco fa i pompini meglio di Cicciolina. E un'altra, Anna vita mia.

Poi, Giuseppe prende un foglio e scrive.



Le anime partite sono andate perse. Il treno sta arrivando, e la mia anima si prepara alla discesa. Terrore. La poesia, la fuggo, quella che ha paura della parola amore. Marco è lontano e pure i miei sospiri, mi resta solo questa sciocca parola, che molti chiamano poesia. La parola volerà a lui, ignaro delle brutture e dei saperi inutili, la parola lo accarezzerà senza fermarlo, lo renderà libero, e gli starà vicino, nella notte, o quando busserà alla porta di una vecchietta ingiallita per venderle l'infallibile salvavita per il gas. Quella poesia, scritta in un carattere leggibile - possibilmente Times New Roman - non gli chiederà nulla, solo di essere letta, conservata, amata.





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