ATTUALITA'
Stefano Torossi
Più libri più liberi.
Più libri più liberi
Innumerevoli i demeriti del fascismo, ma sull’architettura niente da dire. Questo meraviglioso scatolone è il Palazzo dei Congressi, progettato da Adalberto Libera nel ’38 per essere il perno dell’E42, faraonica, anzi imperiale e megalomaniaca esposizione celebrativa del Ventennio.
Solo che i calcoli erano sbagliati (non quelli architettonici, quelli politici) e l’E42, è diventata l’EUR, un qualunque quartiere cittadino. Malgrado il vecchio trucco di cambiare nomi e sigle, l’edificio, insieme agli altri sopravvissuti dell’epoca, rimane magnifico. Anzi, ci sembra ogni giorno più bello, come tutta la nostra architettura di regime, uffici postali, tribunali, stazioni, scuole.
4 – 8 dicembre: Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, “Più libri più liberi”. Molti editori, diverse sale per convegni, poche toilette, due minuscoli bar, e solo una porta per entrare e uscire, delle circa venti che si aprirebbero sulla facciata del palazzo se non fossero sbarrate; con imbarazzanti botte ai fianchi e inutili code. Scarsità di personale? Mah. Forse solo di organizzazione.
Far frullare i cervelli e provocare domande. Bersaglio centrato, soprattutto per gli incontri con autori, critici, editori. Non ce li siamo fatti tutti, ma qualcuno sì, e ci ha lasciato delle impressioni.
In Sala Rubino, Marcello Fois, scrittore sardo un po’ snob, ne dice una che non ci convince un gran che. Come molti intellettuali (fra cui qualcuno, secondo noi, sclerotico) è contro i media, soprattutto il grande satana, la TV, e per darci un esempio racconta di un certo arcipelago dei mari del sud (di cui non ricorda il nome) dove la televisione era fuorilegge per decreto del locale capotribù, fino a quando anche lui dovette cedere, e i suoi sudditi cominciarono a guardarla.
Non l’avessero mai fatto! Scoprirono che c’era un mondo diverso dal loro, si resero conto di essere tutti grassi, quindi brutti, e di conseguenza aumentarono in modo spropositato i suicidi.
Fin qui la parabola. Stiamo banalizzando, ovvio, ma allora quale dovrebbe essere il rimedio? Il buon suddito selvaggio tenuto nell’ignoranza della realtà, oppure il filtro, se non l’eliminazione di tutti i mezzi di comunicazione - corruzione? Si chiama censura. Un po’ stalinista, ci pare. Forse l’idea potrebbe essere non di escludere, ma di preparare fin dall’inizio a quello che c’è là fuori (che sarebbe la vita, compresa l’odiata tecnologia). La conclusione dello scrittore sul tema ci è sfuggita: c’era un po’ di confusione.
Passiamo alla Sala Smeraldo dove “Sale di Sicilia” di Mariacristina Di Giuseppe è tenuto a battesimo dall’arguto, facondo, spiritoso Umberto Broccoli, un signore al quale invidiamo facilità e felicità di parola. Si manifesta qui una delle situazioni più pericolose di questi eventi: il relatore è talmente brillante che rischia di consumare tutto l’ossigeno a disposizione del futuro lettore, prima che questi riesca ad affrontare il libro. Che noi non abbiamo ancora letto, ma ci dicono che non corra alcun pericolo, essendo più che robusto.
In realtà si tratta di una specie di rodaggio che, se funziona, fa bene al motore e prepara il veicolo a scendere in strada.
Sempre in Sala Smeraldo, il giorno dopo. Lidia Ravera interroga Dacia Maraini: “Esiste ancora una società letteraria?” O, per capirci: “C’è ancora la trattoria con il tavolo degli artisti?”
Cioè, il luogo e il pretesto di riunioni non a tema né programmate, ma casuali, generate solo dal piacere, dall’abitudine, talvolta dal bisogno di stare insieme. Appunto il tavolo alla trattoria.
“Perché sono finiti questi cenacoli, questi appuntamenti? E’ forse colpa dei social, dello schermo del computer dietro il quale non c’è nessuno, e sulla cui rappresentazione non si può intervenire? Cioè della tecnologia che disumanizza i rapporti personali”?
Ravera chiede, Maraini non dà risposte.
Noi un abbozzo di spiegazione l’avremmo. E ci viene dall’avere frequentato a lungo una tavola di questo tipo alla trattoria da Otello alla Concordia, in Via della Croce.
Il tavolone del cinema, quando noi cominciammo a esserci, naturalmente molti anni fa e ai margini, riuniva a cena Gassman, Monicelli, Scola, Gregoretti, Maselli, Pontecorvo, Scarpelli, De Bernardi, Arlorio, Delli Colli. Il condensato del cinema italiano. Tutti più o meno coetanei. Abbiamo continuato a frequentare osservando: parecchi se ne sono andati definitivamente, altri hanno cominciato a non uscire più tanto da casa, finché la barca si è arenata da sé per mancanza di passeggeri e pilota. E in tutti quegli anni, ben pochi dei più giovani si erano fatti vedere.
La nostra ipotesi è che la colla di questi gruppi sia proprio l’appartenenza alla stessa generazione. Certo, conta anche fare lo stesso mestiere o avere le stesse idee politiche. Ma l’elemento principale rimane l’età. Perduta quella coincidenza, finisce anche il gruppo.
Un’esperienza personale e singola. Potrebbe non essere abbastanza; a noi sembra di si.
Innumerevoli i demeriti del fascismo, ma sull’architettura niente da dire. Questo meraviglioso scatolone è il Palazzo dei Congressi, progettato da Adalberto Libera nel ’38 per essere il perno dell’E42, faraonica, anzi imperiale e megalomaniaca esposizione celebrativa del Ventennio.
Solo che i calcoli erano sbagliati (non quelli architettonici, quelli politici) e l’E42, è diventata l’EUR, un qualunque quartiere cittadino. Malgrado il vecchio trucco di cambiare nomi e sigle, l’edificio, insieme agli altri sopravvissuti dell’epoca, rimane magnifico. Anzi, ci sembra ogni giorno più bello, come tutta la nostra architettura di regime, uffici postali, tribunali, stazioni, scuole.
4 – 8 dicembre: Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, “Più libri più liberi”. Molti editori, diverse sale per convegni, poche toilette, due minuscoli bar, e solo una porta per entrare e uscire, delle circa venti che si aprirebbero sulla facciata del palazzo se non fossero sbarrate; con imbarazzanti botte ai fianchi e inutili code. Scarsità di personale? Mah. Forse solo di organizzazione.
Far frullare i cervelli e provocare domande. Bersaglio centrato, soprattutto per gli incontri con autori, critici, editori. Non ce li siamo fatti tutti, ma qualcuno sì, e ci ha lasciato delle impressioni.
In Sala Rubino, Marcello Fois, scrittore sardo un po’ snob, ne dice una che non ci convince un gran che. Come molti intellettuali (fra cui qualcuno, secondo noi, sclerotico) è contro i media, soprattutto il grande satana, la TV, e per darci un esempio racconta di un certo arcipelago dei mari del sud (di cui non ricorda il nome) dove la televisione era fuorilegge per decreto del locale capotribù, fino a quando anche lui dovette cedere, e i suoi sudditi cominciarono a guardarla.
Non l’avessero mai fatto! Scoprirono che c’era un mondo diverso dal loro, si resero conto di essere tutti grassi, quindi brutti, e di conseguenza aumentarono in modo spropositato i suicidi.
Fin qui la parabola. Stiamo banalizzando, ovvio, ma allora quale dovrebbe essere il rimedio? Il buon suddito selvaggio tenuto nell’ignoranza della realtà, oppure il filtro, se non l’eliminazione di tutti i mezzi di comunicazione - corruzione? Si chiama censura. Un po’ stalinista, ci pare. Forse l’idea potrebbe essere non di escludere, ma di preparare fin dall’inizio a quello che c’è là fuori (che sarebbe la vita, compresa l’odiata tecnologia). La conclusione dello scrittore sul tema ci è sfuggita: c’era un po’ di confusione.
Passiamo alla Sala Smeraldo dove “Sale di Sicilia” di Mariacristina Di Giuseppe è tenuto a battesimo dall’arguto, facondo, spiritoso Umberto Broccoli, un signore al quale invidiamo facilità e felicità di parola. Si manifesta qui una delle situazioni più pericolose di questi eventi: il relatore è talmente brillante che rischia di consumare tutto l’ossigeno a disposizione del futuro lettore, prima che questi riesca ad affrontare il libro. Che noi non abbiamo ancora letto, ma ci dicono che non corra alcun pericolo, essendo più che robusto.
In realtà si tratta di una specie di rodaggio che, se funziona, fa bene al motore e prepara il veicolo a scendere in strada.
Sempre in Sala Smeraldo, il giorno dopo. Lidia Ravera interroga Dacia Maraini: “Esiste ancora una società letteraria?” O, per capirci: “C’è ancora la trattoria con il tavolo degli artisti?”
Cioè, il luogo e il pretesto di riunioni non a tema né programmate, ma casuali, generate solo dal piacere, dall’abitudine, talvolta dal bisogno di stare insieme. Appunto il tavolo alla trattoria.
“Perché sono finiti questi cenacoli, questi appuntamenti? E’ forse colpa dei social, dello schermo del computer dietro il quale non c’è nessuno, e sulla cui rappresentazione non si può intervenire? Cioè della tecnologia che disumanizza i rapporti personali”?
Ravera chiede, Maraini non dà risposte.
Noi un abbozzo di spiegazione l’avremmo. E ci viene dall’avere frequentato a lungo una tavola di questo tipo alla trattoria da Otello alla Concordia, in Via della Croce.
Il tavolone del cinema, quando noi cominciammo a esserci, naturalmente molti anni fa e ai margini, riuniva a cena Gassman, Monicelli, Scola, Gregoretti, Maselli, Pontecorvo, Scarpelli, De Bernardi, Arlorio, Delli Colli. Il condensato del cinema italiano. Tutti più o meno coetanei. Abbiamo continuato a frequentare osservando: parecchi se ne sono andati definitivamente, altri hanno cominciato a non uscire più tanto da casa, finché la barca si è arenata da sé per mancanza di passeggeri e pilota. E in tutti quegli anni, ben pochi dei più giovani si erano fatti vedere.
La nostra ipotesi è che la colla di questi gruppi sia proprio l’appartenenza alla stessa generazione. Certo, conta anche fare lo stesso mestiere o avere le stesse idee politiche. Ma l’elemento principale rimane l’età. Perduta quella coincidenza, finisce anche il gruppo.
Un’esperienza personale e singola. Potrebbe non essere abbastanza; a noi sembra di si.
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