RACCONTI
Simone Ungaro
Raschiarsi forte la gola
In fondo, mentre per la seconda volta negli ultimi venti minuti si recava al negozio di ferramenta, in fondo aveva l'impressione che tutto ciò la divertisse. Si ripeteva watt, quaranta watt, come una bambina che, camminando verso il supermercato, ripassi la lista della spesa. Ogni volta che qualche passante la guardava, con troppa insistenza e partendo sempre dal basso, premeva sottilmente le labbra appena inumidite dal rossetto e ascoltava il ritmo cadenzato dei tacchi sull'asfalto, pensando alla volgarità di quegli occhi sulle sue gambe.
Nel negozio c'era solo il commesso. Dalle pareti buie pendevano ferri dalle forme strane. Prima non ci aveva fatto caso. Riconobbe solo dei cacciaviti, a tutto il resto non sapeva dare un nome.
- Allora, ha controllato il wattaggio? -, le domandò il commesso ostentando tutta la cordialità di cui fosse capace.
Lei estrasse la lampadina dal soprabito e gliela mostrò.
Disse: - Quaranta watt, - e, sentendosi stonata, si accorse di quanto fosse differente il dirlo dal pensarlo.
- Visto. Era come le dicevo io, - fece quello strofinandosi le mani, dalle quali sbuffarono due nugoli di polvere, bianchissima nell'oscurità metallica del negozio.
- E infatti-, le dita tozze del commesso, le unghie corte e nere, afferrarono una lampadina sul bancone. - Gliel'avevo già preparata.
"Come le dicevo io", lo canzonò la donna tra sé e sé, per nulla indispettita dall'essere tornata indietro, inutilmente, per sincerarsi che la lampadina fosse effettivamente da quaranta watt. Si sentiva bene, inspiegabilmente allegra.
Quando stava così, faceva sempre qualcosa per casa. Come quella volta che aveva cambiato di posto al divano e alla tv, o quella in cui aveva comprato i due calici di vino.
"Come le dicevo io". Le scappò un sorriso che il commesso poteva pure interpretare come un sincero apprezzamento per il suo intuito.
La donna infilò la lampadina nuova nella tasca destra del soprabito, quella fulminata nella sinistra.
- Arrivederci -, disse allontanandosi dal bancone e ascoltando i tacchi che, in mezzo a tutto quel ferro, echeggiavano.
Esaminando le due lampadine poggiate sui palmi delle mani, si chiese che faccia avrebbe fatto Bruno. Non riusciva a immaginarsela. Di sicuro sorpresa, buffa.
La lampada in sala da pranzo, senza vita da mesi e ridotta a soprammobile, era diventata tra loro una specie di barzelletta. Ogni volta ne ridevano.
Una delle due sfere era più opaca e i filamenti all'interno erano spezzati.
Ma si dirà poi filamenti?
Le vennero in mente le mani del commesso che dicevano con quella voce: - Glielo dico io. Non filamenti, si chiamano tubischi-. O sfirinteri.
Scoppiò a ridere e la lampadina, quella vecchia, le si ruppe nella mano che si aprì di scatto, lasciando cadere a terra un tintinnio di frammenti di vetro.
La donna si sentì impacciata, e questo contribuì a renderla più allegra. Contò tre minuscoli tagli dai quali spuntavano timidi riflessi rossastri. Nonostante non le provocassero alcun dolore, pensò che fossero abbastanza per giustificare una fasciatura.
"Che hai fatto alla mano?", le avrebbe chiesto Bruno.
Andò in bagno e disinfettò le ferite con l'acqua ossigenata, quindi avvolse la mano dentro a una lunga striscia di garza.
Solo allora si accorse della sua immagine alla specchio. La trovò proprio come se l'aspettava. Il rossetto s'era ormai sbiadito, ma le faceva le labbra ancora tiepide.
Poi fece tutto con estrema calma. Si svestì e indossò una vestaglia leggera, cambiò la lampadina accertandosi che funzionasse, tolse i vetri dal pavimento.
Non appena sentì aprirsi la porta di casa, la donna, che sedeva sul divano, tirò su le spalle.
- Che ti sei fatta alla mano? -, le domandò il marito con aria preoccupata.
- Niente, - rispose la donna piegando il collo di lato.
- Come niente?
- Una sciocchezza, davvero. Ti faccio vedere.
Attese che Bruno si sedesse accanto a lei, e, come se fosse la cosa più normale del mondo, accese l'interruttore della lampada.
Un lieve chiarore rischiarò la penombra della camera.
Bruno non disse nulla. Si limitò a prenderle la mano ferita tra le sue e iniziò a slacciarne la fasciatura.
La donna si sentì indispettita, avrebbe voluto dire qualcosa. "Non noti niente?", o semplicemente raschiarsi forte la gola. Ma non fece nulla di tutto ciò, le sembravano le reazioni che avrebbe avuto una qualsiasi attricetta che si fosse trovata al suo posto.
Fu allora che notò le mani del marito, bellissime sotto quella luce. Erano pulite e buone, le dita sottili sfioravano i lembi della garza. Quando finalmente tolse la fasciatura, il marito disse: - Avevi ragione. E' proprio una sciocchezza.- E spense la luce.
Alla donna parve si facesse buio come nel negozio di ferramenta.
Si svegliò e si accorse che Bruno non era accanto a lei.
Da sotto la porta della camera da letto filtrava una luce intermittente, debolissima, che la donna non faticò a riconoscere. Nonostante avesse il corpo intorpidito dal sonno, si sentiva stranamente lucida mentre respirava e muoveva i suoi passi al ritmo acceso/spento della luce.
Trovò il marito - la schiena piegata nel pigiama stinto – che azionava col pollice l'interruttore della lampada. Un clic rischiarava la stanza, il clic successivo la gettava nuovamente nel buio.
Le pareva invecchiato. Com'era lontana l'espressione del suo viso da quella sorpresa e buffa che la donna aveva immaginato.
L'uomo, senza interrompere il movimento del pollice sull'interruttore, la guardò per un'eternità con un sorriso sbilenco che, clic/clic, andava e veniva.
Lui disse: -Bastava poco.
La donna rispose: - Quaranta watt -, e si meravigliò che stavolta non avesse stonato.
Nel negozio c'era solo il commesso. Dalle pareti buie pendevano ferri dalle forme strane. Prima non ci aveva fatto caso. Riconobbe solo dei cacciaviti, a tutto il resto non sapeva dare un nome.
- Allora, ha controllato il wattaggio? -, le domandò il commesso ostentando tutta la cordialità di cui fosse capace.
Lei estrasse la lampadina dal soprabito e gliela mostrò.
Disse: - Quaranta watt, - e, sentendosi stonata, si accorse di quanto fosse differente il dirlo dal pensarlo.
- Visto. Era come le dicevo io, - fece quello strofinandosi le mani, dalle quali sbuffarono due nugoli di polvere, bianchissima nell'oscurità metallica del negozio.
- E infatti-, le dita tozze del commesso, le unghie corte e nere, afferrarono una lampadina sul bancone. - Gliel'avevo già preparata.
"Come le dicevo io", lo canzonò la donna tra sé e sé, per nulla indispettita dall'essere tornata indietro, inutilmente, per sincerarsi che la lampadina fosse effettivamente da quaranta watt. Si sentiva bene, inspiegabilmente allegra.
Quando stava così, faceva sempre qualcosa per casa. Come quella volta che aveva cambiato di posto al divano e alla tv, o quella in cui aveva comprato i due calici di vino.
"Come le dicevo io". Le scappò un sorriso che il commesso poteva pure interpretare come un sincero apprezzamento per il suo intuito.
La donna infilò la lampadina nuova nella tasca destra del soprabito, quella fulminata nella sinistra.
- Arrivederci -, disse allontanandosi dal bancone e ascoltando i tacchi che, in mezzo a tutto quel ferro, echeggiavano.
Esaminando le due lampadine poggiate sui palmi delle mani, si chiese che faccia avrebbe fatto Bruno. Non riusciva a immaginarsela. Di sicuro sorpresa, buffa.
La lampada in sala da pranzo, senza vita da mesi e ridotta a soprammobile, era diventata tra loro una specie di barzelletta. Ogni volta ne ridevano.
Una delle due sfere era più opaca e i filamenti all'interno erano spezzati.
Ma si dirà poi filamenti?
Le vennero in mente le mani del commesso che dicevano con quella voce: - Glielo dico io. Non filamenti, si chiamano tubischi-. O sfirinteri.
Scoppiò a ridere e la lampadina, quella vecchia, le si ruppe nella mano che si aprì di scatto, lasciando cadere a terra un tintinnio di frammenti di vetro.
La donna si sentì impacciata, e questo contribuì a renderla più allegra. Contò tre minuscoli tagli dai quali spuntavano timidi riflessi rossastri. Nonostante non le provocassero alcun dolore, pensò che fossero abbastanza per giustificare una fasciatura.
"Che hai fatto alla mano?", le avrebbe chiesto Bruno.
Andò in bagno e disinfettò le ferite con l'acqua ossigenata, quindi avvolse la mano dentro a una lunga striscia di garza.
Solo allora si accorse della sua immagine alla specchio. La trovò proprio come se l'aspettava. Il rossetto s'era ormai sbiadito, ma le faceva le labbra ancora tiepide.
Poi fece tutto con estrema calma. Si svestì e indossò una vestaglia leggera, cambiò la lampadina accertandosi che funzionasse, tolse i vetri dal pavimento.
Non appena sentì aprirsi la porta di casa, la donna, che sedeva sul divano, tirò su le spalle.
- Che ti sei fatta alla mano? -, le domandò il marito con aria preoccupata.
- Niente, - rispose la donna piegando il collo di lato.
- Come niente?
- Una sciocchezza, davvero. Ti faccio vedere.
Attese che Bruno si sedesse accanto a lei, e, come se fosse la cosa più normale del mondo, accese l'interruttore della lampada.
Un lieve chiarore rischiarò la penombra della camera.
Bruno non disse nulla. Si limitò a prenderle la mano ferita tra le sue e iniziò a slacciarne la fasciatura.
La donna si sentì indispettita, avrebbe voluto dire qualcosa. "Non noti niente?", o semplicemente raschiarsi forte la gola. Ma non fece nulla di tutto ciò, le sembravano le reazioni che avrebbe avuto una qualsiasi attricetta che si fosse trovata al suo posto.
Fu allora che notò le mani del marito, bellissime sotto quella luce. Erano pulite e buone, le dita sottili sfioravano i lembi della garza. Quando finalmente tolse la fasciatura, il marito disse: - Avevi ragione. E' proprio una sciocchezza.- E spense la luce.
Alla donna parve si facesse buio come nel negozio di ferramenta.
Si svegliò e si accorse che Bruno non era accanto a lei.
Da sotto la porta della camera da letto filtrava una luce intermittente, debolissima, che la donna non faticò a riconoscere. Nonostante avesse il corpo intorpidito dal sonno, si sentiva stranamente lucida mentre respirava e muoveva i suoi passi al ritmo acceso/spento della luce.
Trovò il marito - la schiena piegata nel pigiama stinto – che azionava col pollice l'interruttore della lampada. Un clic rischiarava la stanza, il clic successivo la gettava nuovamente nel buio.
Le pareva invecchiato. Com'era lontana l'espressione del suo viso da quella sorpresa e buffa che la donna aveva immaginato.
L'uomo, senza interrompere il movimento del pollice sull'interruttore, la guardò per un'eternità con un sorriso sbilenco che, clic/clic, andava e veniva.
Lui disse: -Bastava poco.
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