RACCONTI
Laura Daniele
Resistenza al presente
Non so nemmeno io com'è iniziato.
Com'è che ho cominciato a ingarbugliarmi, a diventare rossa.
Giravo per la strada, camminavo e lavoravo, ma le prospettive si erano modificate in modo radicale. Era un mondo fatto di carta di giornale in cui tutto si stropicciava in un istante.
Di punto in bianco mi sono ritrovata nel pieno di una colossale sbornia.
Era così assurda questa situazione, che la negavo categoricamente. Oppure la ribattezzavo con nomignoli infantili, usavo vocaboli inadatti. Rifiutavo di guardarla dritta in faccia. La odiavo perché mi aveva assalita di soppiatto.
Ormai distoglievo sempre più lo sguardo. Altrimenti cercavo di fissarlo in punti neutri: la fronte, il naso, l'attaccatura delle sopracciglia. Spesso la voce mi tremava, così cercavo di parlare poco. Ma il peggio era quando non riuscivo a controllarmi. Sbagliavo i tempi delle battute e rispondevo fuori sincronia. Scoppiavo a ridere in situazioni per nulla divertenti.
Sentivo addolcirsi i muscoli del viso, lo sguardo farsi stupidamente tenero. Dovevo mordermi le labbra per non abbandonarmi totalmente.
La conosco da sempre e non mi ero mai accorto di niente.
Una bambina petulante. Una ragazzina troppo magra. Un'adolescente fastidiosa.
Finché è partita per un anno, a lavorare all'estero.
Quando è tornata era un'altra lei. Una lei spogliata dei difetti e delle ombre. La sua magrezza era diventata soffice, lo sguardo si era rischiarato, la pelle pura, luminosa, come il latte guardato in trasparenza nel bicchiere. E quelle occhiate rapide, rese ancora più seducenti dalla timidezza.
Mi sono sorpreso a contemplarla a bocca aperta, come un qualsiasi idiota che la incontrasse per la strada.
Lei era sfuggente. Indietreggiava quando le passavo accanto, distoglieva lo sguardo troppo in fretta, come abbagliata da una luce molto forte.
Ero incantato, perso. E più il desiderio si faceva intenso, più mi sentivo un essere meschino.
' Mettiti il cuore in pace. Calma i tuoi sensi. Sciacqua via i pensieri. Lei ti appartiene troppo per essere davvero tua.'
Lasciarla andare via e tormentarsi da lontano. Trovarsi qualcun'altra, un surrogato che magari quando chiudi gli occhi ti può sembrare lei.
Ho tanti sguardi addosso. Talmente tanti che vorrei scrollarli tutti in un sol colpo, come faccio con le gocce quando esco dalla doccia. Sguardi fugaci di ragazzi timidi. Sguardi rapaci di uomini in carriera. Sguardi rancorosi di altre donne.
Anche lui mi guarda. Mi esamina, mi scruta. Ma è lo sguardo di chi ha perso prima ancora di iniziare. Uno sguardo così languido e struggente che mi si strizza il cuore. Mi sento addosso quello sguardo. Sempre. Me lo porto dietro e lo proteggo, lo tengo stretto come uno scialle caldo. Il suo sguardo è uguale al mio. Mi ci rispecchio. Chi l'ha detto che non posso essere sua? Se il destino è sempre lì, in agguato e va seguito e va accettato, allora noi due ci apparteniamo di diritto.
Anche con me lei era diventata un'altra lei. Sparite le boccacce, i gesti ruvidi.
Ora era carezzevole, suadente. La timidezza accesa di improvvisi bagliori, alternata a comportamenti fin troppo smaliziati. Mi sbarrava il passo, mi tendeva trappole.
Me la trovavo sempre attorno, fintamente impegnata in altre cose. Ci parlavamo poco, solo le frasi indispensabili. Era il non detto che pesava, che ci faceva comportare come due incoscienti. Cercavo di resistere. Provavo a essere saggio anche in virtù dei dodici anni che ci separavano. Un uomo fatto io, ancora una ragazza lei.
'Mettiti il cuore in pace. Calma i tuoi sensi. Sciacqua via i pensieri. Lei ti appartiene troppo per essere davvero tua.'
Lui sta seduto al tavolo, in cucina. La pentola pronta sul fornello, le verdure in fila sul tagliere. Nell'attesa fa finta di leggere il giornale. In realtà controlla me che metto in ordine la spesa. Spalanco il frigo, mi chino sugli scaffali con le braccia piene.
Il suo sguardo è sempre lì, lo sento addosso.
Alzo la testa di scatto, mi incontro con le sue pupille.
Adesso basta.
Sfoglio il giornale senza leggere una riga. Lei mi sta attorno. Si china e si rialza con movimenti che non hanno nulla di innocente. Sembra sfidarmi, sembra dire 'guardami'. E io la guardo perché non posso fare altro.
Alza la testa di scatto, infila il suo sguardo dritto dentro al mio.
Non c'è più scampo.
Raggiungo il tavolo in un attimo, mi siedo a cavalcioni su di lui. La gonna si solleva, scoprendomi le gambe. Prendo la sua mano e me la porto al seno.
E' seduta addosso a me, le gambe quasi nude. Tento un'ultima protesta 'Lo sai che non possiamo'. Lei mi chiude la bocca con la lingua.
La mia lingua s'incrocia con la sua, la saliva si confonde. Non so nemmeno io com'è iniziato. Com'è che ho cominciato a ingarbugliarmi, a diventare rossa. So soltanto che è giusto, naturale. E'così bello che non ci può essere peccato.
La sua lingua è così dolce che mi sento perso. Accarezza le gengive, guizza come un pesce. Sono dannato. A questo punto niente ha più importanza.
La porta d'ingresso si spalanca tutta in una volta. Dei passi frettolosi, un botto, un grido.
Nostra madre ci guarda inebetita. Per la sorpresa ha lasciato cadere a terra le valigie.
Brutta sorpresa, mamma, noi ci amiamo.
Ricordi le urla, le scene isteriche, le botte? Ricordi quando ci gridavi contro, due pesi morti, due buoni a nulla, quand'è che ve ne andate?
Peccato che l'intrusa ora sei tu.
Laura Daniele
E' nata a Trieste, vive a Roma dal 2000. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, diplomata in sceneggiatura, ha pubblicato racconti su diverse riviste letterarie.
Nel 1999 ha partecipato al Premio Italo Calvino con il romanzo L'uomo dei Binocoli, che ha ricevuto una menzione speciale da parte della giuria.
Com'è che ho cominciato a ingarbugliarmi, a diventare rossa.
Giravo per la strada, camminavo e lavoravo, ma le prospettive si erano modificate in modo radicale. Era un mondo fatto di carta di giornale in cui tutto si stropicciava in un istante.
Di punto in bianco mi sono ritrovata nel pieno di una colossale sbornia.
Era così assurda questa situazione, che la negavo categoricamente. Oppure la ribattezzavo con nomignoli infantili, usavo vocaboli inadatti. Rifiutavo di guardarla dritta in faccia. La odiavo perché mi aveva assalita di soppiatto.
Ormai distoglievo sempre più lo sguardo. Altrimenti cercavo di fissarlo in punti neutri: la fronte, il naso, l'attaccatura delle sopracciglia. Spesso la voce mi tremava, così cercavo di parlare poco. Ma il peggio era quando non riuscivo a controllarmi. Sbagliavo i tempi delle battute e rispondevo fuori sincronia. Scoppiavo a ridere in situazioni per nulla divertenti.
Sentivo addolcirsi i muscoli del viso, lo sguardo farsi stupidamente tenero. Dovevo mordermi le labbra per non abbandonarmi totalmente.
La conosco da sempre e non mi ero mai accorto di niente.
Una bambina petulante. Una ragazzina troppo magra. Un'adolescente fastidiosa.
Finché è partita per un anno, a lavorare all'estero.
Quando è tornata era un'altra lei. Una lei spogliata dei difetti e delle ombre. La sua magrezza era diventata soffice, lo sguardo si era rischiarato, la pelle pura, luminosa, come il latte guardato in trasparenza nel bicchiere. E quelle occhiate rapide, rese ancora più seducenti dalla timidezza.
Mi sono sorpreso a contemplarla a bocca aperta, come un qualsiasi idiota che la incontrasse per la strada.
Lei era sfuggente. Indietreggiava quando le passavo accanto, distoglieva lo sguardo troppo in fretta, come abbagliata da una luce molto forte.
Ero incantato, perso. E più il desiderio si faceva intenso, più mi sentivo un essere meschino.
' Mettiti il cuore in pace. Calma i tuoi sensi. Sciacqua via i pensieri. Lei ti appartiene troppo per essere davvero tua.'
Lasciarla andare via e tormentarsi da lontano. Trovarsi qualcun'altra, un surrogato che magari quando chiudi gli occhi ti può sembrare lei.
Ho tanti sguardi addosso. Talmente tanti che vorrei scrollarli tutti in un sol colpo, come faccio con le gocce quando esco dalla doccia. Sguardi fugaci di ragazzi timidi. Sguardi rapaci di uomini in carriera. Sguardi rancorosi di altre donne.
Anche lui mi guarda. Mi esamina, mi scruta. Ma è lo sguardo di chi ha perso prima ancora di iniziare. Uno sguardo così languido e struggente che mi si strizza il cuore. Mi sento addosso quello sguardo. Sempre. Me lo porto dietro e lo proteggo, lo tengo stretto come uno scialle caldo. Il suo sguardo è uguale al mio. Mi ci rispecchio. Chi l'ha detto che non posso essere sua? Se il destino è sempre lì, in agguato e va seguito e va accettato, allora noi due ci apparteniamo di diritto.
Anche con me lei era diventata un'altra lei. Sparite le boccacce, i gesti ruvidi.
Ora era carezzevole, suadente. La timidezza accesa di improvvisi bagliori, alternata a comportamenti fin troppo smaliziati. Mi sbarrava il passo, mi tendeva trappole.
Me la trovavo sempre attorno, fintamente impegnata in altre cose. Ci parlavamo poco, solo le frasi indispensabili. Era il non detto che pesava, che ci faceva comportare come due incoscienti. Cercavo di resistere. Provavo a essere saggio anche in virtù dei dodici anni che ci separavano. Un uomo fatto io, ancora una ragazza lei.
'Mettiti il cuore in pace. Calma i tuoi sensi. Sciacqua via i pensieri. Lei ti appartiene troppo per essere davvero tua.'
Lui sta seduto al tavolo, in cucina. La pentola pronta sul fornello, le verdure in fila sul tagliere. Nell'attesa fa finta di leggere il giornale. In realtà controlla me che metto in ordine la spesa. Spalanco il frigo, mi chino sugli scaffali con le braccia piene.
Il suo sguardo è sempre lì, lo sento addosso.
Alzo la testa di scatto, mi incontro con le sue pupille.
Adesso basta.
Sfoglio il giornale senza leggere una riga. Lei mi sta attorno. Si china e si rialza con movimenti che non hanno nulla di innocente. Sembra sfidarmi, sembra dire 'guardami'. E io la guardo perché non posso fare altro.
Alza la testa di scatto, infila il suo sguardo dritto dentro al mio.
Non c'è più scampo.
Raggiungo il tavolo in un attimo, mi siedo a cavalcioni su di lui. La gonna si solleva, scoprendomi le gambe. Prendo la sua mano e me la porto al seno.
E' seduta addosso a me, le gambe quasi nude. Tento un'ultima protesta 'Lo sai che non possiamo'. Lei mi chiude la bocca con la lingua.
La mia lingua s'incrocia con la sua, la saliva si confonde. Non so nemmeno io com'è iniziato. Com'è che ho cominciato a ingarbugliarmi, a diventare rossa. So soltanto che è giusto, naturale. E'così bello che non ci può essere peccato.
La sua lingua è così dolce che mi sento perso. Accarezza le gengive, guizza come un pesce. Sono dannato. A questo punto niente ha più importanza.
La porta d'ingresso si spalanca tutta in una volta. Dei passi frettolosi, un botto, un grido.
Nostra madre ci guarda inebetita. Per la sorpresa ha lasciato cadere a terra le valigie.
Brutta sorpresa, mamma, noi ci amiamo.
Ricordi le urla, le scene isteriche, le botte? Ricordi quando ci gridavi contro, due pesi morti, due buoni a nulla, quand'è che ve ne andate?
Peccato che l'intrusa ora sei tu.
Laura Daniele
E' nata a Trieste, vive a Roma dal 2000. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, diplomata in sceneggiatura, ha pubblicato racconti su diverse riviste letterarie.
Nel 1999 ha partecipato al Premio Italo Calvino con il romanzo L'uomo dei Binocoli, che ha ricevuto una menzione speciale da parte della giuria.
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