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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Roberto Vecchioni: Sanremo o Sei scemo?

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Gino Castaldo su Repubblica di lunedi 21 febbraio, commentando il Festival di Sanremo e la vittoria di Vecchioni, azzardava un suggerimento, alla sinistra in genere, alquanto pellegrino: del perché le emozioni (cioè una conduzione 'umanista' del Morandi ed il trionfo della musica buona – Vecchioni appunto ed il giovine talentoso Raphael Gualazzi) possano fare di più e meglio di una politica che assomigli troppo a quella di colui che si vuol 'combattere'.

Personalmente ritengo, al di là di suggerimenti spassionati, che Berlusconi vada abbattuto con le baionette, ma tralasciando modelli finto rivoluzionari, mi chiedo cosa ci sia di emozionante nella canzone che ha vinto Sanremo.

Non è qui luogo per fare, come invece ha fatto Benigni per l'inno nazionale, l'esegesi dei brani del festival: verrebbe l'orticaria, anche se non mi ritengo così spocchioso da ritenere suddetta manifestazione simbolo di perdizione e segno della superficialità dei tempi. Per carità: la vedo tutti gli anni e tutti gli anni vomito per la bruttezza delle canzoni. E m'indigno successivamente per l'artista vincitore. Ma reitero il misfatto.

L'indignazione sale anche per questa edizione: (i miei preferiti erano altri, ma non è questo spazio per svelare i propri gusti) 'Chiamami ancora amore' è un mare magnum di banalità, (tralasciamo l'aspetto della musica che, nella sfera tipica vecchioniana, produce acido lattico dopo pochi secondi e aggiungo: conoscete qualcuno che abbia avuto il coraggio di ascoltare di seguito – e dico di seguito – due canzoni del professore senza sprofondare nella narcolessia?), un coacervo di insulsaggini, una congerie di minchionate, un guazzabuglio di stupidaggini degne di una manifestazione del PD in difesa non solo delle donne ma anche delle foche monache.

Ci si chiederà: perché questa improvvisa attenzione per una semplice 'canzonetta' come avrebbe suggerito Bennato?

Si risponderà? Siamo o non siamo una rivista di letteratura? Ma il 'buon scrivere' deve estrinsecarsi solo attraverso la lettura di libri oppure nella felicità d'espressione in toto?

Intanto citiamo il testo perché è d'uopo:

Per il poeta che non può cantare

per l'operaio che non ha più il suo lavoro

per chi ha vent'anni e se ne sta a morire

in un deserto come in un porcile

e per tutti i ragazzi e le ragazze

che difendono un libro, un libro vero

così belli a gridare nelle piazze

perché stanno uccidendo il pensiero


E' evidente che l'aggregazione di termini come operaio (tralasciando per pietà il termine poeta) più deserto più ragazzi e ragazze più la piazza evoca non solo l'attualità più spiccia, ma anche il 'suo' farsi resistenza. Non comprendendo il professore che la resistenza in questione, pur coi suoi addentellati, non si completa solo con le sacrosante 'barricate', ma con un senso civico delle cose che, non vociando, non per questo è invisibile (lo è per la canzone in questione: dov'è per esempio il pensiero 'composto' di chi non scende a compromessi?).

Non contento di ciò, nelle strofa successiva, il Vecchioni elabora concetti degni di un premio Nobel con evidenti problemi di dissociazione concettuale:

Perché le idee sono come farfalle

che non puoi togliergli le ali
(al di là della metrica, caro professore ma siamo sicuri che il passo grammaticalmente sia giusto o ci passiamo sopra con l'alibi che sono licenze poetiche??)

perché le idee sono come le stelle

che non le spengono i temporali

perché le idee sono voci di madre

che credevano di avere perso

e sono come il sorriso di Dio

in questo sputo di universo.


Il raccapriccio che le idee sono come il sorriso di Dio (quando una canzone sulla patria e sulla famiglia?) è alla stessa stregua di chi voglia vedere nel sorriso della Gioconda l'aspetto ambiguo della realtà e l'aspetto divino della coesistenza: pretesto per i poveri di spirito che non credono nella fattibilità 'umana' delle cose. Ma quale interferenza divina, suvvia!

Spaventa poi che il professor Vecchioni (autore di noiosi romanzi einaudiani, come tutte le sue canzoni), durante un'intervista, abbia espresso il timore che il brano possa essere preso di petto da una certa parte politica ed essere 'sfruttato' dall'altra (stendiamo un velo pietoso sulla sua affermazione: le donne spesso (??) sono migliori dell'uomo).

Ve le immaginate le donne in piazza, prese da una innata predisposizione all'autocelebrazione. a gridare: chiamami ancora amore, perché noi siamo amore? Non sarebbe assai meglio urlare: Vecchioni, Vecchioni, togliti dai coglioni?

Purtroppo c'è il rischio che tale canzone diventi un classico, una sorta di passpartout per celebrare l'inessenza (come direbbe Battiato, che era pure presente a Sanremo): accade sempre più spesso, senza con questo dire che i tempi attuali siano i più disgraziati.

Tanto per non farci mancare nulla. Chi ricorda la classicissima 'Que c'est triste Venice'? Aznavour recitava (è proprio il caso di dirlo!): Que c'est triste Venise. Au temps des amours mortes. Que c'est triste Venise quand on ne s'aime plus on cherche encore des mots. Mais l'ennui les emporte on voudrait bien pleurer. Mais on ne le peut plus. Que c'est triste Venise lorsque les barcaroles ne viennent souligner que les silences creux Et que le coeur se serre en voyant les gondolles abriter le bonheur des couples amoureux.

Anche chi non conosce il francese inorridisce di fronte a siffatte bestialità: idem come sopra. Trionfo del tronfio, dell'insopportabile, del vecchiume. Che curiosamente assomiglia molto a Vecchioni.





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