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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Fabio Pirola

Sottofondo

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Il signor Ettore Prosperi si trovava a metà strada dal cimitero del Santo Spirito. Grattandosi distrattamente la testa liscia e canuta si accorse - per l'ennesima volta nella sua lunga vita - di essersi dimenticato la cravatta. Era una cosa che accadeva spesso. Nonostante il volto contrito, l'abito scuro e la voglia di essere triste, più triste che mai, il fatto dell'assenza della cravatta destava sempre un certo sbigottimento tra gli altri invitati nei vari funerali a cui aveva preso parte. Come se di sole forme si vivesse, e di sole forme si continuasse a vivere anche dopo che un altro avvenimento - più grande e misterioso - entrava nelle nostre vite.



Precisiamo, non nella sua di vita. Perché quel giorno si celebrava la triste dipartita di qualcuno che per lui non significava nulla. Ettore provò a fare mente locale: un lontano rapporto di parentela... sì, giusto, il cugino Mario, era lui ad essere stato richiamato. La loro parentela aveva dato il diritto e l'arroganza alle autorità di avvertirlo del funerale; la stessa arroganza aveva poi legittimato anche il deceduto a chiedere, nelle sue ultime volontà, che fosse proprio Ettore a tenere un discorso in sua memoria. Proprio lui, il cui scopo nella vita era sempre stato quello di evitare sistematicamente qualsiasi tipo di legame stabile o anche con una parvenza di stabilità, scansando con abilità consumata qualsiasi relazione, parentela o affettiva che fosse. Quanto era difficile, a volte! Fortunatamente lui era uscito indenne da questa guerra triviale ed ora, alla magnifica ed autorevole età di settant'anni poteva sostenere a testa alta, il fiero mento proteso, di essere solo. Di esserlo sempre stato, e di essersi appuntato questo vanto sul petto come tante medaglie militari, rilucenti allo sfavillare della sua stessa misantropia. Di più, quasi accecanti se ci si avvicinava troppo. Ma i funerali erano una tentazione troppo forte, anche per lui: erano l'occasione per uscire di casa e vedere, nel suo istantaneo realizzarsi, la magnifica e ridicola commedia umana... questo aspetto valeva da solo lo sforzo. Era meglio del teatro. Era un safari emozionale.



Camminando lento e immerso nei suoi pensieri, Ettore varcò i cancelli del camposanto e giunse al luogo della sepoltura: la triste compagnia parentale era già lì da qualche minuto, intenta a rimirare l'ampia fossa nella terra, profonda circa due metri, che due addetti avevano già provveduto a scavare. Intanto il parroco, che aveva iniziato il suo de profundis, annunciò l'ultima volontà del defunto. Un mormorio di curiosità serpeggiò tra gli astanti, quando si resero conto che sarebbe stato davvero lui a parlare. Il parroco fece cenno ad Ettore di avanzare; dovette cercarlo attentamente con lo sguardo dietro al gruppo, poiché la sua schiena curva lo celava ancora di più. La pioggia, leggera ed attesa in quella cupa mattina di Ottobre, iniziò a bagnare i presenti. Giunto accanto al sacerdote, a Prosperi fu porto un microfono. Aggiustatosi con cura l'impermeabile per schermare qualche goccia in più, l'uomo schiarì la voce e iniziò a parlare. Tutti i presenti non avevano alcun incentivo ad ascoltarlo, pochi di loro, poi, lo conoscevano e tra questi nessuno lo amava particolarmente. Tuttavia, nessuno si perse una singola parola del discorso che tenne.

-Quando il peggio era finalmente arrivato, Mario era pronto. – Ecco un bell'inizio, ad effetto. Ora bisognava continuare, spremere l'immaginazione. Ma i suoi pensieri si interruppero, e si rese conto di essere stato colpito da qualcosa. Si guardò intorno. Ma no, non era davanti, né dietro o intorno a lui... era nell'aria, ne era certo. Tirò un respiro profondo, che fu amplificato dal microfono, e chiuse gli occhi.



Sì, così immerso nel silenzio, riusciva a sentirlo. Il suo Essere si confondeva con i respiri degli astanti, con le gocce di pioggia che salutavano il legno chiaro della bara con tocchi leggeri, con l'odore di terra smossa di fresco che imprimeva l'aria, mentre il suo corpo – tutti i corpi lì presenti – già da vivi, cominciavano a donare fosforo all'aria, in modo invisibile. Ecco cos'era! Se si concentrava, sentiva il rumore di quelle minuscole molecole che, staccandosi dai corpi, si libravano nell'aria e andavano a fondersi col cielo, nel loro baluginare invisibile... il rumore di fondo. Quello delle loro vite, tutte lì riunite, sospese e silenti. Mantenendo gli occhi chiusi, rilassò il volto e le profonde occhiaie si distesero anch'esse, stiracchiate sulla pelle chiara. Riaprì gli occhi e la gente si sorprese nel vederlo illuminarsi, di colpo, riprendendo il discorso con entusiasmo come se, in realtà, non l'avesse mai interrotto. Ettore continuava a parlare, ma era solo al rumore di fondo, a quel ronzio silenzioso intorno a sé che prestava attenzione: lo assaporava come un panino caldo appena uscito dal forno, come una meringa contornata di zucchero soffice... si faceva permeare da esso. Ora che l'aveva trovato, non l'avrebbe cambiato con nient'altro al mondo. Ora che lo percepiva in ogni sua singola nota e sfumatura, non aveva più senso – si disse tra sé – curarsi del resto, di tutti i morti e i vivi che lo circondavano... rivolse un'occhiata alla platea, a quei volti, e poi al cugino nella fossa. Immersi in quel silenzio la pioggia li bagnava tutti, indistintamente.



Fabio Pirola



Studia Giurisprudenza all'Università di Bologna e collabora alla realizzazione di cortometraggi e spettacoli. Nell'ambito narrativo ha pubblicato racconti in diverse riviste italiane e nel 2010 il volume Ceruleo – due racconti per l'editore Montedit (Mi). Nel tempo libero porta avanti l'ambiziosa stesura di un romanzo.







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