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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Dauphine Potter

Summer, estate, summer summer.

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L'estate ci ha colto di sorpresa dopo gli acquazzoni delle due settimane appena trascorse. Aspetto di fare una vera vacanza senza rotture di pelotas tra compiti e adempimenti, obblighi, di cui non sento la necessità. Ci vorrebbe una creazione. Vorrei una novità, uno spettacolo mio. Vorrei cose buone. Ma tant'é. Andrò a Venice con mia madre, sorella minore delle zie che lì ci ospiteranno e che intanto, ci attendono trepidanti. Sono donne capaci di ossessioni: pensano di essere affettuose. Ma tant'é.

Quando scrivo, non sento di essere l'adolescente di cui si parla in casa: scontrosa, un'autentica zitelluccia. Io sono una persona fragile: ho un organismo così gracile che non regge alcun confronto coi corpi grossi, tozzi, deformi, adiposi, dei miei coetanei. Non amo mangiare se non ho fatto niente di vitale durante il giorno. Le abbuffate quotidiane di primo, secondo e tordo, come scherza mio nonno Lawrence Ferlinghetti mezzo italiano, mi rendono triste. Infatti, mi chiedo perché devo rimpinzarmi? Noi siamo ciò che mangiamo e il cibo è medicina. Ma se regna il vuoto, ogni cosa è piena di nulla: niente gusto, zero nutrienti e tutto fa il paio con lo sconvolgimento generale dell'ordine della natura. E' per questo, mi chiedo, che la moltitudine di depravati s'ingozza di nutelle e farciture? Le cremine da vomito, mascarponi maleodoranti spruzzati di fragranze alcoliche vanigliate, sono state inventate per fotterci, per farci del male, quando il male lo senti nei denti, ma anche nei calzini oltre che negli alluci gottosi. Ancora più terribile, le amarettate coperture composte da briciolame riciclato di pastarelle, mandorle e nocciole. Infine, crackers, wafers, rabatà e grissini secchi secchi vanno a ruba; sembra che sfamino orde di fissati. Chips, cioccolatini e finte mortadelle che sanno di cane cotto e gomma te le servono all'aperitivo. Ho bisogno di riflettere. Medito però su me stessa, come da più parti del resto sento consigliare. Devo imparare a proteggermi altrimenti diventerò vittima di uno di quei marpioni che amano i begli oggetti, e peggio sarebbe se divenissi la vittima del narcisismo. Diciamola tutta: non amo gli specchi benché la mia immagine riflessa mi consoli: non incarnerò la prefezione – e chi scovolo la vuole, la perfezione? – ma la bellezza l'ho già conquistata per il gusto di sentirmi mia. Mi coltivo come un fiore anche se talvolta mi sento un cipressino resinoso e spento. Poi la primavera si rifà viva in me ed ecco che potrei assomigliare al velenoso e tropicale oleandro come alla bellissima e suprema rosa rosa. Eh, si! Infatti, io non amo le rose rosse. La vera rosa ha il suo colore rosa da milioni di anni e le altre sono frutto d'incroci. Non che mi schieri per le presunte purezze, via, è solo una questione di preferenze e le zie laggiù in California, coltivano proprio le rose rosa a cui sento di essere simile, perché sono veramente belle e s'ammosciano quand'è l'ora senza tante fisime e resistenze Se la giornata è passata invano senza scrivere una riga, non mi basterà andare a zonzo per ridare senso alla mia vita.... Sono nata per essere indipendente, cioè libera e generosa! Mia madre dice che le relazioni sono fondamentali, allora mi risulta quantomeno strambo il suo atteggiamento da criticona; dà dello "storpio" al poveretto che la omaggia di un complimento per strada e della sua migliore amica asserisce che veste come una contadina del profondo south Italy. Amicizia e autentico cibo: solo di questo ho bisogno. Convivio. Gioia. Divertimento. Conoscenza. Questo chiedo alla vita, non miserabili amori da vivere segregati dal mondo. Sono giovane ma so badare a me. Quando ho mollato Gale, ho intrapreso un viaggio liberatorio. Sono felice di rivederlo, per caso e per poco tempo. Non sto parlando di un pessimo individuo, di un amore finito male. Mi sento di affermare che persiste la simpatia. Teniamoci il feeling e abbattiamo la stanchezza della reiterazione, mi sono detta in un impeto teorico. E non ho altro da dire su quest'argomento. Nella valigia metto le mutande, le canotte, gli shorts e i pareo. Di costume ne ho uno fucsia con i ricami da mariachi e con quello ci faccio la stagione, in quanto, la cosa sfiziosa di Venice consiste proprio nel tenere sempre lo stesso bikini. Ci si riconosce dai colori, dai laccetti. I costumi fanno pendant con la persona che l'indossa. A Riccione, ma anche a Taormina, le Italiane hanno il vizio di cambiarsi cinque, sei volte al giorno e magari non fanno neppure il bagno per non scompigliarsi; le vedi lì ad abbrustolirsi sotto il sole e ti dici, ma perché sono così stupide, piene di sé e incapaci di volersi bene? Si abbronzano, si oliano uguali a pistoni, si sacrificano e restano orrende, in attesa di un dittatore, dimentiche di sé. L'ho scritto più volte: esisto e ne sento la gloria; la vita mi dà tutta la bellezza che voglio. Io posso infischiarmene della cosmesi. Interiormente sono convinta che dio è il mio rossetto. E anche su ciò non ho altro da aggiungere.



Sono arrivata a Venice che è uguale alla Venice di due anni fa e devo dire che Venice è Venice da sempre: polverosa, accaldata, caciarona, sporca. E' una spiaggia che amo. Non ci sono stabilimenti balneari del cacio e i pochi club da ricchi, o da finti tali, sono dei ghetti pieni di muffa. Le signore fanno a gara per venire a vedere i miei amici surfers, veri eroi dell'onda. Il più vecchio di loro ha sedici anni ed è un vero diablo della tavola. Quelli più grandi non li prendo in considerazione: sono circondati da venticinquenni che cinguettano e applaudono e se non mi sbaglio ad una di loro, ho visto spuntare di dietro un ciuffo bianco, che mi ha ricordato il piumaggio delle oche. Farebbero bene a chiudere il becco, 'ste cretine in cerca di marito. Dovrebbero tuffarsi nell'oceano. Ad ogni modo, son sincera, temo un po' il mare oceano e anche di questa materia non voglio più parlare. Le mie zie staranno approntando l'unico pasto del giorno: pesce, mais, gelato di ananas e altri frutti esotici, immense insalate che sembrano orti trapiantati nel piatto e caffè, litri di caffè americano, che io non tocco nonostante il suo aroma mi inebri. Mia madre è appesa tra mio nonno Ferlinghetti e mia zia Beth; non le lasciano dire un emerito beo ed è giusto secondo me! Mia madre non ha spirito, non possiede alcun talento se non quello di rompere le pelotas con le sue manie di donna in perenne competizione con le altre. Ovviamente è una perdente e l'ironia di zia Beth e nonno Ferlinghetti la ferisce perché non capisce un minghjino così di quelle battute. La sagacia, si sa, non è alla portata di tutti, men che meno della mia povera e tristemente bella madre lavoratrice. C'è da rammendare, spolverare, imbastire, cucire, cucinare ecc... Lei è la prima della situazione e si farebbe schiattare il cuore in nome della pasta al forno da presentare ai commensali, ma guai a tirare fuori con lei discorsi che non riguardino la casa e il saper fare un bel dolce. Si sente offesa e messa da parte se si va per le alte sfere e a lei, al massimo, interessa tenere lezione di manicaretto e affini; unica trasgressione: la manicure, uh, quante ne sa di sciocchezze per donne che hanno evitato il sesso per non sciuparsi e per tener dietro alle faccende domestiche. E anche qui metto un bel punto e mando giù la gelatina di albicocche: più è sintetica e più è odorosa, ma non azzardo giudizi, perché è stata confezionata in casa da zia Marthy – un animale pettoruto al contrario della zia Beth, magra, ossuta, con occhi grandi blu, folte ciglia nere e assolutamente piatta. E di presentazioni ora, non ne voglio più fare. Parlerò invece di quel furbone di mio nonno Ferlinghetti, bugiardo nato, ma credetemi, è terribilmente onesto e innocente. Scrive poesie di nascosto e le legge alla radio ogni domenica mattina. Poi esce dalla radio, attraversa il Clearbridge e si fionda tra la gente in Hogsquare a declamare versi tra i quali rammento: Non dite che sia tutto vero / ogni cosa è semplicemente al suo posto / persino se togliete una spina dal piede / esso sanguinerà! Lasciate dunque le cose come stanno / e raccogliete uomini e ragazzi, donne e fanciulle, anziché fiori. A me portate un diamante. / In un verso sarà musica / e con una rima, lo trasformerò in rosa.

E queste sono le mie vacanze a Venice. E da grande sputerò tabacco come mio nonno e berrò acqua delle Mountain Rocks. Mi organizzerò a favore della poesia e la farò circolare tra le masse progredite degli occidentali e chiederò ai Maori, agli Indiani d'America, ai Grottolesi, d'inondare quest'atomo opaco del male di felicità. Sono persuasa del fatto che sei dai allegria, non può tornarti indietro guerra, ma altra contentezza. E ora davvero chiudo, perché di cose troppo intime non so raccontare. Sappiate che c'è un tramonto di fuoco e le nuvole sembrano arance rotolanti, di un arancione vivido così.. Tutto questo mare oceano si tinge d'oro e dietro quella tavola di surf che riflette i bagliori, farò l'amore per la prima volta con Jason.

P. S. : ogni riferimento a persone e fatti reali è puramente casuale, o simbolico; i testi sono miei; non li ho sottratti a mio fratello Phil, scrittore di chiara fama, né a mio nonno Ferlinghetti che ho voluto ricordare e omaggiare.





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