RACCONTI
Francesco Maimone
Una banconota da cinque euro
Lo specchio si sporca del suo respiro.
Un alone che cresce e rimpicciolisce mano a mano che la sua testa si avvicina o si allontana da quella superficie piatta e mai come stasera così anonima.
Il fumetto sembra fatto apposta per nascondere la sua faccia.
Fisso quel piccolo condensato di anima mentre le sto dietro. E dentro.
Alessia, dice di chiamarsi così, sembra concentrarsi sui propri gemiti, cercando di tenerli dentro a forza mentre spingo più forte. Voglio vedere fino a che punto la sua faccia da puttana possa arrivare vicino a quello specchio prima di finirci dentro e mandarlo in frantumi.
Immagino un colpo più forte degli altri e la sua bella testolina bionda inghiottita dal riflesso e catapultata in un'altra dimensione. Alessia in un paese dove le meraviglie non sono poi così meravigliose. Comunque diverse da quello che sta succedendo in questo cesso di un cesso di locale. Due metri quadrati, lei piegata in avanti con le braccia appoggiate al lavandino traballante e un perfetto sconosciuto dietro, coi pantaloni abbandonati sul pavimento lercio, a pomparle dentro tutta la sua rabbia di stasera.
Tutto intorno è un balletto di luci rosse e strisce scure di demoni e ombre che le rimbalzano addosso e che finiscono ovunque, perfino sulla mia giacca di pelle.
Riesco a malapena a tenere gli occhi aperti. Mi gira la testa e mi bruciano gli occhi.
Respiro a fatica. Perdo la concentrazione. Rallento.
Lo stereo del locale sta suonando un pezzo dei Portishead. O almeno così mi pare.
Mi sforzo per cercare di capire se è vero. Rallento ancora.
Lei è sotto e davanti a me. E si lamenta. Morde le labbra imbrattate di rossetto e non riesce a soffocare un "ancora", goffo ma di puro gusto.
Mi viene da ridere, ma è un ghigno amaro e malsano.
Respingo un improvviso conato di vomito respirando più a fondo.
Poi ricomincio a pompare come si deve tra le chiappe di questa stronza.
Nemmeno ricordo come sono finito in questa situazione. E a dirla tutta non me ne frega un cazzo. Probabilmente è il destino, il fottuto destino che sembra dormire per mesi, anni, poi se ne viene fuori con una genialata di questo tipo. Giusto per sparigliare un po'.
Ma si, buttiamo per aria le carte, vediamo quello che succede. E tu stai lì come un fottuto burattino a fare una cosa mentre ti chiedi perché sta succedendo.
E non c'entra il gusto, non c'entra il piacere o meno di farla.
La questione è che per ogni cosa che arriva a squarciare il velo della noia con una parentesi, l'unico modo che hai per ringraziare è viverla così come viene.
Perché non potrai mai sapere quando e se le stelle decideranno mai di offrirtene ancora.
E io me la sto vivendo. Cazzo se me la sto vivendo!
Sarà per colpa di tutta la birra che ho mandato giù se adesso ricordo a malapena il suo nome, Alessia, ma potrei anche sbagliarmi. Potrebbe chiamarsi in qualunque modo.
Così come non sono sicuro sia stata sincera sulla sua età, ventuno anni.
A me sembrano meno. Ma arrivati a questo punto non importa.
Un aborto. Forse mi ha parlato anche di un aborto. Ma è tutto confuso.
Di sicuro avrà detto anche dell'altro, ma ricordo solo questa cosa dell'aborto. O meglio, ricordo solo la parola aborto, ma non saprei dire dove, quando e con chi.
Non lo so e comunque fa lo stesso.
Quello che ricordo con esattezza, però, è che lei mi ha raggiunto qui dentro, in questo buco schifoso, e che adesso stiamo scopando.
Ventuno anni. Che cazzo!
Certo che a ventuno anni puoi permetterti qualunque cosa, anche di piegarti a novanta e fartelo buttare dentro da uno sconosciuto completamente vestito di nero e con una faccia poco raccomandabile.
Non so se sentirmi l'uomo più fortunato della terra o più semplicemente un coglione.
Forse vuole solo divertirsi e mi ha scelto come il suo giocattolo personale.
"Dai, sto venendo!".
La sua richiesta è come una secchiata di acqua fredda scaraventata in pieno sulla mia faccia. Gli occhi riacquistano la vista, la mente si rimette in moto, i pensieri tornano a fluire in maniera più ordinata. Per farmi scoprire cosa? Che sono qui, col cazzo dentro una ventunenne e che mi sto annoiando.
Riporto l'attenzione sullo specchio, scanso l'alone del suo respiro, scanso la sua faccia e guardo me. La mia faccia è poco più di una macchia scura sulla parete alle mie spalle.
Mi sento come il mostro cattivo dietro una cappuccetto rosso che ha voglia di lupo.
Ricomincio a spingere. Sempre più forte.
Il rumore della mia carne contro la sua è un sadico invito a non fermarmi.
Qualcuno bussa alla porta.
Ruggisco un "occupato" che avrebbe convinto chiunque a pisciare fuori, magari sulla ruota di una macchina parcheggiata, piuttosto che azzardare un tentativo di irruzione in questo bagno.
Mi muovo più velocemente. I colpi sono sempre più secchi. Voglio finire, voglio andarmene da qui, voglio morire e rinascere domani, voglio tornare bambino e passare il pomeriggio a riempirmi i polmoni di polvere sul campetto dietro casa, voglio una carezza da mia madre, voglio vedere il cielo farsi buio e poi chiudere gli occhi, voglio volare da qualche parte e poi scomparire all'improvviso, con un'esplosione che non faccia chiasso. Voglio essere niente.
Ma cappuccetto rosso è ancora qui e mi ha appena annunciato l'arrivo del suo orgasmo. Proprio mentre la testa le si va a schiantare contro lo specchio.
Urla. Si sente il crash del vetro che si spacca.
Che delusione, non ci è finita dentro, non lo ha attraversato.
Si porta una mano sulla faccia, perde l'equilibrio e finisce col gomito contro il rubinetto.
Un altro strillo, mentre il sangue le cola da un sopracciglio. Una lunga lacrima lungo la sua guancia sinistra. Lunga una vita. Lunga ventuno anni, se solo fosse vero.
Non mi fermo, anzi. La incastro a forza tra me e lo specchio.
Prova a divincolarsi, ma capisce subito di essere prigioniera.
Si riaggrappa al lavandino, trova un modo per tenersi in piedi.
Ha la faccia di nuovo all'altezza di ciò che resta dello specchio. Il suo faccino adesso è mille. E ogni frammento di lei è contorto in una smorfia di dolore.
Sto per venire.
Altri due colpi, poi lo tiro fuori.
Prendo in mano l'uccello e spruzzo sul suo culo sodo tutto l'umore di questa serata.
Un fiotto di sperma aromatizzato alla birra si concentra sulla sua natica destra formando una specie di piccolo lago, con un fiumiciattolo che piano piano cola giù verso la sua coscia e da lì sul mare del pavimento.
Lei è immobile. A gambe aperte, con la schiena in avanti, le braccia incrociate sul lavandino, a proteggersi la faccia. Un paio di singhiozzi. Continua a sanguinare.
Mi chiedo perché non stia facendo niente per reagire. Potrebbe mettersi a urlare.
Potrebbe provare a girarsi, mandarmi affanculo, darmi una spinta e scappare via.
Ognuna di queste possibilità finirebbe con un suo successo e una mia sconfitta.
Ma lei non fa niente di tutto ciò. Si limita a starsene lì a frignare e sanguinare.
Per me andrebbe anche bene se questa cosa non mi desse così tanto ai nervi.
Rimetto l'uccello a posto. Neanche mi pulisco. Tiro su in fretta boxer e jeans.
Infilo una mano in tasca e afferro i soldi. Tiro fuori una carta da cinque euro e con uno schiaffo più forte di quello che avevo immaginato gliela incollo sulla chiazza di sperma che le è rimasto addosso. Proprio sul culo. Sbam!
Ghigno di nuovo. Adesso si che la sua faccia si deforma davvero. Un'espressione come non ne avevo mai viste. Di sorpresa, disgusto e qualcos'altro che non riesco a identificare. Gli occhi le si sbarrano. La bocca si apre e rimane così, un buco nero circondato da denti perfetti e labbra troppo cariche di rossetto.
Per qualche secondo me ne resto fermo dietro di lei a fotografare la scena nella mia testa.
Poi faccio la mia scelta. Mi giro, apro la porta e vado via. La lascio così, a gambe aperte e con un cinque carte appiccicato su una chiappa. Esco tirandomi dietro la porta.
Adesso si che si può tornare a usare il bagno.
Per quello che me ne frega, potrebbe entrare tutto il resto del locale e scoparsela fino ad annientarla. E pensaci, è solo per te bimba. Yeah!
Mi avvicino alla cassa e chiedo di pagare il conto. Ho il resto dei soldi ancora in mano.
Saldo con un largo sorriso. Poi scanso con fastidio cameriere con i vassoi in mano e tizi che non conosco ed esco dal locale.
L'aria fuori è tiepida, mi investe come una promessa. Il tempo sta cambiando.
È in arrivo una nuova estate. Ma l'estate torna ogni anno. Dov'è la novità? Che cazzo!
È proprio vero, cambia sempre tutto per non cambiare mai niente. Mi arrotolo veloce una sigaretta mentre torno a scivolare nella resina di una noia senza tempo.
La infilo in bocca. Cerco lo zippo nelle tasche dei pantaloni. Non lo trovo. Un attimo di panico.
Forse mi è scivolato mentre ero in quel cazzo di bagno. Bestemmio.
L'ipotesi di tornare dentro mi fa trasalire. Quello che è da chiudere va chiuso e basta, sigillato e buttato in fondo al nulla senza possibilità di risalita. Bestemmio di nuovo.
Poi, mentre mi frugo dappertutto, il sollievo come una grazia inaspettata per un condannato. Eccolo! Era finito nella tasca interna della giacca, cazzo.
Apro il cappuccio, giro la rotella.
La fiamma, consueta e rassicurante, brucia la testa della mia sigaretta.
Aspiro. Butto fuori appena un rivolo di fumo.
Il resto mi rimane nei polmoni, dove fa il suo dovere. Dove fa quello che deve fare.
Mi incammino verso la macchina con un ultimo pensiero per quella ragazza che ho lasciato nel cesso, mezza nuda e con qualcosa da raccontare che forse non racconterà mai.
Chissà di che segno è, chissà cosa diceva oggi il suo oroscopo.
Non c'è niente da fare, è sempre una questione di stelle e pianeti. di destino e di culo.
E qualche volta, perfino di banconote da cinque euro.
Per quanto mi riguarda, è solo un problema di birra. E di noia.
Un alone che cresce e rimpicciolisce mano a mano che la sua testa si avvicina o si allontana da quella superficie piatta e mai come stasera così anonima.
Il fumetto sembra fatto apposta per nascondere la sua faccia.
Fisso quel piccolo condensato di anima mentre le sto dietro. E dentro.
Alessia, dice di chiamarsi così, sembra concentrarsi sui propri gemiti, cercando di tenerli dentro a forza mentre spingo più forte. Voglio vedere fino a che punto la sua faccia da puttana possa arrivare vicino a quello specchio prima di finirci dentro e mandarlo in frantumi.
Immagino un colpo più forte degli altri e la sua bella testolina bionda inghiottita dal riflesso e catapultata in un'altra dimensione. Alessia in un paese dove le meraviglie non sono poi così meravigliose. Comunque diverse da quello che sta succedendo in questo cesso di un cesso di locale. Due metri quadrati, lei piegata in avanti con le braccia appoggiate al lavandino traballante e un perfetto sconosciuto dietro, coi pantaloni abbandonati sul pavimento lercio, a pomparle dentro tutta la sua rabbia di stasera.
Tutto intorno è un balletto di luci rosse e strisce scure di demoni e ombre che le rimbalzano addosso e che finiscono ovunque, perfino sulla mia giacca di pelle.
Riesco a malapena a tenere gli occhi aperti. Mi gira la testa e mi bruciano gli occhi.
Respiro a fatica. Perdo la concentrazione. Rallento.
Lo stereo del locale sta suonando un pezzo dei Portishead. O almeno così mi pare.
Mi sforzo per cercare di capire se è vero. Rallento ancora.
Lei è sotto e davanti a me. E si lamenta. Morde le labbra imbrattate di rossetto e non riesce a soffocare un "ancora", goffo ma di puro gusto.
Mi viene da ridere, ma è un ghigno amaro e malsano.
Respingo un improvviso conato di vomito respirando più a fondo.
Poi ricomincio a pompare come si deve tra le chiappe di questa stronza.
Nemmeno ricordo come sono finito in questa situazione. E a dirla tutta non me ne frega un cazzo. Probabilmente è il destino, il fottuto destino che sembra dormire per mesi, anni, poi se ne viene fuori con una genialata di questo tipo. Giusto per sparigliare un po'.
Ma si, buttiamo per aria le carte, vediamo quello che succede. E tu stai lì come un fottuto burattino a fare una cosa mentre ti chiedi perché sta succedendo.
E non c'entra il gusto, non c'entra il piacere o meno di farla.
La questione è che per ogni cosa che arriva a squarciare il velo della noia con una parentesi, l'unico modo che hai per ringraziare è viverla così come viene.
Perché non potrai mai sapere quando e se le stelle decideranno mai di offrirtene ancora.
E io me la sto vivendo. Cazzo se me la sto vivendo!
Sarà per colpa di tutta la birra che ho mandato giù se adesso ricordo a malapena il suo nome, Alessia, ma potrei anche sbagliarmi. Potrebbe chiamarsi in qualunque modo.
Così come non sono sicuro sia stata sincera sulla sua età, ventuno anni.
A me sembrano meno. Ma arrivati a questo punto non importa.
Un aborto. Forse mi ha parlato anche di un aborto. Ma è tutto confuso.
Di sicuro avrà detto anche dell'altro, ma ricordo solo questa cosa dell'aborto. O meglio, ricordo solo la parola aborto, ma non saprei dire dove, quando e con chi.
Non lo so e comunque fa lo stesso.
Quello che ricordo con esattezza, però, è che lei mi ha raggiunto qui dentro, in questo buco schifoso, e che adesso stiamo scopando.
Ventuno anni. Che cazzo!
Certo che a ventuno anni puoi permetterti qualunque cosa, anche di piegarti a novanta e fartelo buttare dentro da uno sconosciuto completamente vestito di nero e con una faccia poco raccomandabile.
Non so se sentirmi l'uomo più fortunato della terra o più semplicemente un coglione.
Forse vuole solo divertirsi e mi ha scelto come il suo giocattolo personale.
"Dai, sto venendo!".
La sua richiesta è come una secchiata di acqua fredda scaraventata in pieno sulla mia faccia. Gli occhi riacquistano la vista, la mente si rimette in moto, i pensieri tornano a fluire in maniera più ordinata. Per farmi scoprire cosa? Che sono qui, col cazzo dentro una ventunenne e che mi sto annoiando.
Riporto l'attenzione sullo specchio, scanso l'alone del suo respiro, scanso la sua faccia e guardo me. La mia faccia è poco più di una macchia scura sulla parete alle mie spalle.
Mi sento come il mostro cattivo dietro una cappuccetto rosso che ha voglia di lupo.
Ricomincio a spingere. Sempre più forte.
Il rumore della mia carne contro la sua è un sadico invito a non fermarmi.
Qualcuno bussa alla porta.
Ruggisco un "occupato" che avrebbe convinto chiunque a pisciare fuori, magari sulla ruota di una macchina parcheggiata, piuttosto che azzardare un tentativo di irruzione in questo bagno.
Mi muovo più velocemente. I colpi sono sempre più secchi. Voglio finire, voglio andarmene da qui, voglio morire e rinascere domani, voglio tornare bambino e passare il pomeriggio a riempirmi i polmoni di polvere sul campetto dietro casa, voglio una carezza da mia madre, voglio vedere il cielo farsi buio e poi chiudere gli occhi, voglio volare da qualche parte e poi scomparire all'improvviso, con un'esplosione che non faccia chiasso. Voglio essere niente.
Ma cappuccetto rosso è ancora qui e mi ha appena annunciato l'arrivo del suo orgasmo. Proprio mentre la testa le si va a schiantare contro lo specchio.
Urla. Si sente il crash del vetro che si spacca.
Che delusione, non ci è finita dentro, non lo ha attraversato.
Si porta una mano sulla faccia, perde l'equilibrio e finisce col gomito contro il rubinetto.
Un altro strillo, mentre il sangue le cola da un sopracciglio. Una lunga lacrima lungo la sua guancia sinistra. Lunga una vita. Lunga ventuno anni, se solo fosse vero.
Non mi fermo, anzi. La incastro a forza tra me e lo specchio.
Prova a divincolarsi, ma capisce subito di essere prigioniera.
Si riaggrappa al lavandino, trova un modo per tenersi in piedi.
Ha la faccia di nuovo all'altezza di ciò che resta dello specchio. Il suo faccino adesso è mille. E ogni frammento di lei è contorto in una smorfia di dolore.
Sto per venire.
Altri due colpi, poi lo tiro fuori.
Prendo in mano l'uccello e spruzzo sul suo culo sodo tutto l'umore di questa serata.
Un fiotto di sperma aromatizzato alla birra si concentra sulla sua natica destra formando una specie di piccolo lago, con un fiumiciattolo che piano piano cola giù verso la sua coscia e da lì sul mare del pavimento.
Lei è immobile. A gambe aperte, con la schiena in avanti, le braccia incrociate sul lavandino, a proteggersi la faccia. Un paio di singhiozzi. Continua a sanguinare.
Mi chiedo perché non stia facendo niente per reagire. Potrebbe mettersi a urlare.
Potrebbe provare a girarsi, mandarmi affanculo, darmi una spinta e scappare via.
Ognuna di queste possibilità finirebbe con un suo successo e una mia sconfitta.
Ma lei non fa niente di tutto ciò. Si limita a starsene lì a frignare e sanguinare.
Per me andrebbe anche bene se questa cosa non mi desse così tanto ai nervi.
Rimetto l'uccello a posto. Neanche mi pulisco. Tiro su in fretta boxer e jeans.
Infilo una mano in tasca e afferro i soldi. Tiro fuori una carta da cinque euro e con uno schiaffo più forte di quello che avevo immaginato gliela incollo sulla chiazza di sperma che le è rimasto addosso. Proprio sul culo. Sbam!
Ghigno di nuovo. Adesso si che la sua faccia si deforma davvero. Un'espressione come non ne avevo mai viste. Di sorpresa, disgusto e qualcos'altro che non riesco a identificare. Gli occhi le si sbarrano. La bocca si apre e rimane così, un buco nero circondato da denti perfetti e labbra troppo cariche di rossetto.
Per qualche secondo me ne resto fermo dietro di lei a fotografare la scena nella mia testa.
Poi faccio la mia scelta. Mi giro, apro la porta e vado via. La lascio così, a gambe aperte e con un cinque carte appiccicato su una chiappa. Esco tirandomi dietro la porta.
Adesso si che si può tornare a usare il bagno.
Per quello che me ne frega, potrebbe entrare tutto il resto del locale e scoparsela fino ad annientarla. E pensaci, è solo per te bimba. Yeah!
Mi avvicino alla cassa e chiedo di pagare il conto. Ho il resto dei soldi ancora in mano.
Saldo con un largo sorriso. Poi scanso con fastidio cameriere con i vassoi in mano e tizi che non conosco ed esco dal locale.
L'aria fuori è tiepida, mi investe come una promessa. Il tempo sta cambiando.
È in arrivo una nuova estate. Ma l'estate torna ogni anno. Dov'è la novità? Che cazzo!
È proprio vero, cambia sempre tutto per non cambiare mai niente. Mi arrotolo veloce una sigaretta mentre torno a scivolare nella resina di una noia senza tempo.
La infilo in bocca. Cerco lo zippo nelle tasche dei pantaloni. Non lo trovo. Un attimo di panico.
Forse mi è scivolato mentre ero in quel cazzo di bagno. Bestemmio.
L'ipotesi di tornare dentro mi fa trasalire. Quello che è da chiudere va chiuso e basta, sigillato e buttato in fondo al nulla senza possibilità di risalita. Bestemmio di nuovo.
Poi, mentre mi frugo dappertutto, il sollievo come una grazia inaspettata per un condannato. Eccolo! Era finito nella tasca interna della giacca, cazzo.
Apro il cappuccio, giro la rotella.
La fiamma, consueta e rassicurante, brucia la testa della mia sigaretta.
Aspiro. Butto fuori appena un rivolo di fumo.
Il resto mi rimane nei polmoni, dove fa il suo dovere. Dove fa quello che deve fare.
Mi incammino verso la macchina con un ultimo pensiero per quella ragazza che ho lasciato nel cesso, mezza nuda e con qualcosa da raccontare che forse non racconterà mai.
Chissà di che segno è, chissà cosa diceva oggi il suo oroscopo.
Non c'è niente da fare, è sempre una questione di stelle e pianeti. di destino e di culo.
E qualche volta, perfino di banconote da cinque euro.
Per quanto mi riguarda, è solo un problema di birra. E di noia.
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