ATTUALITA'
Alfredo Ronci
Viva la fica e dio la benedica. Ma solo quella.
Scriveva Curzio Malaparte nell'introduzione al suo Kaputt: ... poiché la letteratura italiana ha bisogno di rispetto, non meno che di libertà.
Questo invece è un paese che il rispetto non porta soprattutto ai lettori, e non è un caso che abbia citato Malaparte, per decenni (ma ancora oggi) 'censurato' da certa critica paludata ed ignominiosa, erede di quella sbandata gramsciana sull'egemonia della cultura di sinistra, e che ha volutamente nascosto un capolavoro come appunto Kaputt col solo alibi che era stato scritto da un uomo che aveva partecipato alla marcia su Roma.
Oggi la mummificata elite dell'intellighenzia nostrana insiste su questo sfregio al buon senso, rifilandoci, nei salotti che contano, nelle pagine culturali dei quotidiani, attraverso concorsi letterari-monstre, suggerimenti letterari presi dal discount più vicino, e permettetemi la metafora culinaria, facendoceli passare per esempi di nouvelle cuisine.
Prendiamo l'opera prima di Cesarina Vighy L'ultima estate. Stendo un velo pietoso sulla politica editoriale di Fazi, rincretinitasi a correr dietro alla locomotiva a vapore di questa narrativa adolescenziale che spesso è come il viso dei giovani che vuol rappresentare: piena di acne e purulenta.
L'ultima estate di questa signora, pare, ottantenne, e affetta da una rara malattia genetica è di una bruttezza agghiacciante (non voglio essere cinico, ma della sua dignitosa battaglia contro la morte, della sua ammirevole resistenza al dolore non me ne frega un cazzo. Qui ho il diritto di parlare di letteratura, non di disfunzioni genetiche. Altrimenti, se volete questo, rivolgetevi alla Montalcini).
Perché dicevo che non si ha rispetto per il lettore? Perché a detta di molti questo è un romanzo sorprendente (ha vinto il premio Campiello ed era nella cinquina del premio Strega) e per le quali le casalinghe disperate ed ammorbanti della narrativa italiana ne tessono le lodi come se fossimo di fronte alla nuova Ortese.
Dice di lei la Maraini: Siamo di fronte a un carattere vulcanico e strepitoso che si esprime con intelligenza in un romanzo spiritoso dal linguaggio colto e sapiente.
Dice la Mazzantini: La materia narrativa potente e dissacrante, prende il sopravvento restituendoci insieme al talento dell'autrice un segno forte che commuove eccome: la scrittura come lenitivo, come unico gesto possibile.
Solo stronzate, puttanate: son quelle frasi di circostanze che coprono il vuoto che ci circonda, l'inessenza (come direbbe Battiato), perché in realtà siamo di fronte ad un romanzo noioso, scontato, banale, approssimativo e soprattutto ammantato di una violenza subdola, annidata dietro la parvenza di una riconoscibilità femminile (e non femminista) tutta trine e buoni sentimenti.
E' insensato che in una società come questa dove quotidianamente si assiste ad una vera e propria operazione di macelleria contro le donne (stuprate, violentate, sfregiate, ammazzate... ci manca solo che vengano lapidate, ma ci arriveremo), si debba sopportare una scrittrice (seppur ottantenne... ma perché dovrebbe essere un alibi?) che parla ancora di impedimenti paterni a frequentare uomini desiderati o dell'ennesino aborto procurato perché la famiglia è contraria.
Questa è violenza esponenziale, resa ancora più barbara dal fatto che a parlarne è una donna.
Non mi si fraintenda: le uniche che hanno il diritto di rappresentare questo stato di cose sono proprio loro (snidiamo i maschietti che con la scusa di essere illuminati raccontano di ferocia contro il sesso debole: non possono farlo, se non dalla parte dei persecutori), ma la smettano di fare le vittime e rappresentare il presente come un eterno neorealismo da cui non si esce perché, soprattutto in Italia, pare questo l'elemento pre-determinato per poter raccontar bene ed essere apprezzati.
No, la violenza va stanata anche con la violenza, con una resa dei conti che le donne dovrebbe tenere in considerazione per poter riscattarsi: questa autocommiserazione fiacca ed insensata incistita di buon senso ha rotto le palle.
L'ultima estate è un'accozzaglia di banalità (forse si salva l'aspetto più doloroso della vicenda, ma a questo punto chiediamo ai sordi, agli infartuati, agli affetti da tumore, ai moribondi, tiè, pure ai ciechi, di scrivere... ne saremmo profondamente turbati lo stesso... ma questo che cazzo ha a che fare con la letteratura?). Facciamo qualche esempio. Pag. 93: Si chiamava Maria Antonietta, nome piuttosto banale ma che lei portava come una regina cui non sarebbero mai riusciti a tagliare la testa.
Il falso autocompiacimento che è invece autocommiserazione, ad un passo dalla verità a pag. 26: Ahi, ahi, signora Z. con la puzza sotto il naso. Tante ironie su quelli che tentano di scrivere il romanzetto sempre uguale della loro vita per estrarne qualche significato e adesso caschi dentro alla stessa trappola a piedi giunti. Tu c'hai messo anche i sogni per fare un po' l'originale ma voglio vederti all'opera: senza la vanghetta del terapeuta, senza il sondino dello psicanalista, senza la cassetta degli attrezzi (completa di accessori per i miscredenti) della religione. Scaverai con le unghie fino a spezzartele e non troverai niente. Buon lavoro.
Il tedio e le usanze (tutte femminili) di trovare alternative (corso di ceramica?) alla propria angoscia di vivere col surrogato del nulla: Cominciai dalla parte più facile: un corso di drammaturgia al femminile. Ebbi il mio piccolo successo scrivendo un atto unico che fu rappresentato. Ma sentivo benissimo di non essere simpatica, di non essere accettata dalle altre: perché? (Pag.115).
Perché, di fronte a questo scempio di intelligenza, non torniamo al vecchio slogan: il corpo è mio e lo gestisco io? Perché le donne non possono portare avanti una rivoluzione – che non è quella di cui si vantano ora perché stanno perdendo solo il rapporto coi maschi – che presupponga il paritario confronto non col potere, ma con l'immaginazione?
Perché se no si è costretti davvero ad evidenziare il titolo di questo articolo: 'viva la fica e dio la benedica, ma solo quella'. Perché non si possono appoggiare le istanze sacrosante di un diritto femminile a gestire il proprio corpo e la propria immaginazione, quando sono proprio le stesse poi, ad ammorbare il senso del riscatto con storie sdilinquenti ed ipocrite.
Ormai sono sempre più convinto: le scrittrici (limitiamoci per il momento alle indigene) fanno veramente schifo (non ha senso usare mezzi termini). Nel caso della Vighy, nella quarta di copertina non si indicano gli anni ma si dice, di buon augurio, che questo è il suo primo romanzo.
Personalmente augurerei alla scrittrice romana cento e più anni, serenamente e senza ulteriore angoscioso dolore, ma di questo non ne faccia partecipe il lettore, ormai asfissiato letteralmente da una debacle del senso comune e letterario.
Perché cos'altro dovremmo aspettarci nel prossimo? La lettura della cartella clinica? Nel caso si faccia avanti la Maraini a leggerla con tutto il suo 'elan': noi pronti stavolta a sputtanarla in pubblico, perché come se dice a Roma: quanno ce vole ce vole.
Questo invece è un paese che il rispetto non porta soprattutto ai lettori, e non è un caso che abbia citato Malaparte, per decenni (ma ancora oggi) 'censurato' da certa critica paludata ed ignominiosa, erede di quella sbandata gramsciana sull'egemonia della cultura di sinistra, e che ha volutamente nascosto un capolavoro come appunto Kaputt col solo alibi che era stato scritto da un uomo che aveva partecipato alla marcia su Roma.
Oggi la mummificata elite dell'intellighenzia nostrana insiste su questo sfregio al buon senso, rifilandoci, nei salotti che contano, nelle pagine culturali dei quotidiani, attraverso concorsi letterari-monstre, suggerimenti letterari presi dal discount più vicino, e permettetemi la metafora culinaria, facendoceli passare per esempi di nouvelle cuisine.
Prendiamo l'opera prima di Cesarina Vighy L'ultima estate. Stendo un velo pietoso sulla politica editoriale di Fazi, rincretinitasi a correr dietro alla locomotiva a vapore di questa narrativa adolescenziale che spesso è come il viso dei giovani che vuol rappresentare: piena di acne e purulenta.
L'ultima estate di questa signora, pare, ottantenne, e affetta da una rara malattia genetica è di una bruttezza agghiacciante (non voglio essere cinico, ma della sua dignitosa battaglia contro la morte, della sua ammirevole resistenza al dolore non me ne frega un cazzo. Qui ho il diritto di parlare di letteratura, non di disfunzioni genetiche. Altrimenti, se volete questo, rivolgetevi alla Montalcini).
Perché dicevo che non si ha rispetto per il lettore? Perché a detta di molti questo è un romanzo sorprendente (ha vinto il premio Campiello ed era nella cinquina del premio Strega) e per le quali le casalinghe disperate ed ammorbanti della narrativa italiana ne tessono le lodi come se fossimo di fronte alla nuova Ortese.
Dice di lei la Maraini: Siamo di fronte a un carattere vulcanico e strepitoso che si esprime con intelligenza in un romanzo spiritoso dal linguaggio colto e sapiente.
Dice la Mazzantini: La materia narrativa potente e dissacrante, prende il sopravvento restituendoci insieme al talento dell'autrice un segno forte che commuove eccome: la scrittura come lenitivo, come unico gesto possibile.
Solo stronzate, puttanate: son quelle frasi di circostanze che coprono il vuoto che ci circonda, l'inessenza (come direbbe Battiato), perché in realtà siamo di fronte ad un romanzo noioso, scontato, banale, approssimativo e soprattutto ammantato di una violenza subdola, annidata dietro la parvenza di una riconoscibilità femminile (e non femminista) tutta trine e buoni sentimenti.
E' insensato che in una società come questa dove quotidianamente si assiste ad una vera e propria operazione di macelleria contro le donne (stuprate, violentate, sfregiate, ammazzate... ci manca solo che vengano lapidate, ma ci arriveremo), si debba sopportare una scrittrice (seppur ottantenne... ma perché dovrebbe essere un alibi?) che parla ancora di impedimenti paterni a frequentare uomini desiderati o dell'ennesino aborto procurato perché la famiglia è contraria.
Questa è violenza esponenziale, resa ancora più barbara dal fatto che a parlarne è una donna.
Non mi si fraintenda: le uniche che hanno il diritto di rappresentare questo stato di cose sono proprio loro (snidiamo i maschietti che con la scusa di essere illuminati raccontano di ferocia contro il sesso debole: non possono farlo, se non dalla parte dei persecutori), ma la smettano di fare le vittime e rappresentare il presente come un eterno neorealismo da cui non si esce perché, soprattutto in Italia, pare questo l'elemento pre-determinato per poter raccontar bene ed essere apprezzati.
No, la violenza va stanata anche con la violenza, con una resa dei conti che le donne dovrebbe tenere in considerazione per poter riscattarsi: questa autocommiserazione fiacca ed insensata incistita di buon senso ha rotto le palle.
L'ultima estate è un'accozzaglia di banalità (forse si salva l'aspetto più doloroso della vicenda, ma a questo punto chiediamo ai sordi, agli infartuati, agli affetti da tumore, ai moribondi, tiè, pure ai ciechi, di scrivere... ne saremmo profondamente turbati lo stesso... ma questo che cazzo ha a che fare con la letteratura?). Facciamo qualche esempio. Pag. 93: Si chiamava Maria Antonietta, nome piuttosto banale ma che lei portava come una regina cui non sarebbero mai riusciti a tagliare la testa.
Il falso autocompiacimento che è invece autocommiserazione, ad un passo dalla verità a pag. 26: Ahi, ahi, signora Z. con la puzza sotto il naso. Tante ironie su quelli che tentano di scrivere il romanzetto sempre uguale della loro vita per estrarne qualche significato e adesso caschi dentro alla stessa trappola a piedi giunti. Tu c'hai messo anche i sogni per fare un po' l'originale ma voglio vederti all'opera: senza la vanghetta del terapeuta, senza il sondino dello psicanalista, senza la cassetta degli attrezzi (completa di accessori per i miscredenti) della religione. Scaverai con le unghie fino a spezzartele e non troverai niente. Buon lavoro.
Il tedio e le usanze (tutte femminili) di trovare alternative (corso di ceramica?) alla propria angoscia di vivere col surrogato del nulla: Cominciai dalla parte più facile: un corso di drammaturgia al femminile. Ebbi il mio piccolo successo scrivendo un atto unico che fu rappresentato. Ma sentivo benissimo di non essere simpatica, di non essere accettata dalle altre: perché? (Pag.115).
Perché, di fronte a questo scempio di intelligenza, non torniamo al vecchio slogan: il corpo è mio e lo gestisco io? Perché le donne non possono portare avanti una rivoluzione – che non è quella di cui si vantano ora perché stanno perdendo solo il rapporto coi maschi – che presupponga il paritario confronto non col potere, ma con l'immaginazione?
Perché se no si è costretti davvero ad evidenziare il titolo di questo articolo: 'viva la fica e dio la benedica, ma solo quella'. Perché non si possono appoggiare le istanze sacrosante di un diritto femminile a gestire il proprio corpo e la propria immaginazione, quando sono proprio le stesse poi, ad ammorbare il senso del riscatto con storie sdilinquenti ed ipocrite.
Ormai sono sempre più convinto: le scrittrici (limitiamoci per il momento alle indigene) fanno veramente schifo (non ha senso usare mezzi termini). Nel caso della Vighy, nella quarta di copertina non si indicano gli anni ma si dice, di buon augurio, che questo è il suo primo romanzo.
Personalmente augurerei alla scrittrice romana cento e più anni, serenamente e senza ulteriore angoscioso dolore, ma di questo non ne faccia partecipe il lettore, ormai asfissiato letteralmente da una debacle del senso comune e letterario.
Perché cos'altro dovremmo aspettarci nel prossimo? La lettura della cartella clinica? Nel caso si faccia avanti la Maraini a leggerla con tutto il suo 'elan': noi pronti stavolta a sputtanarla in pubblico, perché come se dice a Roma: quanno ce vole ce vole.
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