INTERVISTE
Walter Siti

Il gruppo '63 decretava la morte dell'autore. Pasolini, col tentativo de "La divina mimesis", realizzava un testo inconcepibile senza l'autore, riflettendo peraltro sulla realtà come lingua, e sulla lingua integrata dalla vita. Nei Suoi scritti esistono richiami precisi al reale (l'accurata topografia de "Un dolore normale") e al politico (il Guatemala di "Scuola di nudo"), ma sempre "evitati", come nelle cadenze d'inganno. Si sente postumo (in ogni senso) di quelle riflessioni? O anche, in che consiste la Sua autonomia o eteronomia nell'affrontare il rapporto tra realtà e irreale, tra forma e desiderio?
Ho l'impressione che qui in Occidente stiamo assistendo a qualche importante mutazione; l'enorme imprevista accelerazione della tecnologia, l'enfasi dell'informazione, la sostituzione dell'immaginario al reale, soprattutto la strada che il neocapitalismo ha preso per organizzare il consenso (che è quella di illudere tutti di un'immediata soddisfazione dei desideri), insomma le banalità vere che circolano, stanno cambiando la grana delle nostre anime e il nostro modo di vedere il mondo. Gli 'autori' sono spariti come sta sparendo la cultura tradizionale; ma proprio per questo torna ad essere indispensabile l'"io" come messaggero sperimentale in terra incognita; non si può fare nessun esperimento se non c'è almeno una unità di misura certa da cui partire, e l'io è questa unità di misura. O meglio, anche l'io è scomponibile, come si sa, e incerto; ma c'è un "intelligo" che si apparenta al "cogito" e da cui si può ragionevolmente ripartire. La fantascienza, l'horror sono suggestivi e qualche volta dicono la verità, ma l'indagine che voglia avere basi più solide deve aggirarsi tra le cose, cioè tra i desideri in rapporto alle cose. L'irrealtà è tra noi. Gli scrittori di genere sono i poeti della contemporaneità, noi realisti ne siamo gli artigiani. Per passare inosservati durante l'osservazione, bisogna travestirsi da se stessi.
Con Beckett, Lei ricorda che la paura vera è di morire prima di essere nati. E' qui che nasce la disponibilità totale e dunque l'intercambiabilità degli esseri umani attuali, l'esser feti adulti che dicono agli amanti hai sposo e padre in me?
Infantilismo musa del nostro tempo: il potere senza volto ci vuole irresponsabili, ed è così comodo esserlo. L'amore è spesso uno stringersi di cuccioli che hanno freddo. Quando c'era Dio, l'incomprensibilità del mondo ci faceva soltanto figli, adesso la stessa incomprensibilità ci rende orfani spauriti: per questo si parla tanto di bambini nella recente letteratura. L'unica cura è il successo profondo, la realizzazione di qualche fantasma interiore: gli uomini realizzati e felici sono più disposti ad assumersi delle responsabilità.
Se si è intercambiabili, è possibile che i nomi di persona acquistino il significato che hanno le griffes?
Naturalmente sì: se si cade nella trappola che nella vita conta più "essere qualcuno" che "essere qualcosa". "Essere qualcuno" procura denaro, e il denaro rende forti; si respira nel paradiso dei media. "Essere qualcosa" ha senso solo nel deserto delle vocazioni e della morale: paesaggi sempre meno attraenti e glamour.
In un mondo di adulti infantilizzati e regrediti dalla tv, dunque egoisti senza ego - e in cui il Suo personaggio dichiara di avere "sette mesi", il tempo cioè del romanzo che lo realizza - ci sono personaggi o comparse con qualche tendenza o traccia di maturità o di compiutezza, ovvero d'intelletto d'amore?
La malattia può fare molto: stimola la carità, la forma più alta d'amore. Anche la necessità economica, quando non è schiacciante, può condurre alla solidarietà. Allo stesso risultato può portare un progetto comune, un'impresa da concludere insieme. Per questo il potere ci vuole tutti ricchi, sani e indipendenti. E' la prima volta che bisognerebbe dire "no" a un potere che in apparenza vuole il nostro bene.
Speranza e desiderio hanno una struttura comune, o sono soltanto, come in generale le emozioni post-realistiche, gonfiate? Mi pare inoltre che Lei intenda la "serenità" in modo particolare: vorrebbe parlarcene?
La speranza e il desiderio sono le cause dell'infelicità, come il buddismo insegna. Più che emozioni sono principi costitutivi, e che siano illusori lo sappiamo da sempre. Su di essi il nuovo potere non può agire falsificandoli, semmai li può ridurre a clichés; il che significa, credo, ridurne la forza. Il potere neo-consumista è buddista senza saperlo.
La predilezione del Suo personaggio per i corpi formato famiglia lo colloca in un'area della sessualità vagamente accettabile dal comune senso del pudore eteròta e gay perbene e tuttavia non del tutto presentabile dalle zie politically correct. Oltre al fatto che di queste non credo gliene freghi nulla, (cfr. "La magnifica merce") che riflesso ha sulla Sua strategia di scrittura, e sulla scelta degli Autori che La ispirano (se ce ne sono), questa collocazione?
Sulla mia predilezione, purtroppo, non posso intervenire con la volontà: mi piacciono i culturisti e stop. Sul fatto se sia il caso di parlarne, credo di aver detto quello che dovevo dire nei miei libri. Ho il massimo rispetto per gli omosessuali più "politici" che vogliono agire sui condizionamenti della società e li vogliono modificare in meglio. Il problema politico non è quello dell'omosessualità ma quello della predominanza maschile; da questo punto di vista devo ammettere che sono istintivamente machista, che la femminilità nell'uomo (o meglio, la manifestazione di certi caratteri tradizionalmente considerati femminili) mi disturba, e che quindi sono potenzialmente omofobo. Quel che è peggio, è che sono attratto da uomini altrettanto machisti e potenzialmente omofobi. Per questo preferisco non entrare in discorsi politici, perché farei discorsi inevitabilmente un po' ipocriti; tra la giustizia e la verità, come scrittore non posso che scegliere la seconda.
Hanno un ruolo nella stesura del testo teorici dei media (p. es. Serge Daney, Boltanski o Sartori) o polemisti quali Gomez e Travaglio (Regime, Bur)?
No, per niente.
Umberto Eco sostiene che dopo i quaranta non ci si deve più occupare di avanguardie, bensì dei poeti elisabettiani. Non mi pare che Lei abbia seguito il consiglio. Le chiedo dunque se c'è qualche tendenza attuale nella letteratura italiana (o in quel che ne rimane) che apprezza o soltanto conosce.
I poeti elisabettiani sono interessantissimi; ogni tanto parlare coi morti fa bene. Ma se vogliamo parlare dei vivi, mi piacciono gli scrittori italiani che usano l'autobiografia e il saggio per indagare la contemporaneità: tra i giovani, per esempio, Tiziano Scarpa, Emanuele Trevi, Mauro Covacich, Nicola Lagioia, Antonio Pascale, Roberto Saviano. E poi ammiro il talento horror di Niccolò Ammaniti.
Ho l'impressione che qui in Occidente stiamo assistendo a qualche importante mutazione; l'enorme imprevista accelerazione della tecnologia, l'enfasi dell'informazione, la sostituzione dell'immaginario al reale, soprattutto la strada che il neocapitalismo ha preso per organizzare il consenso (che è quella di illudere tutti di un'immediata soddisfazione dei desideri), insomma le banalità vere che circolano, stanno cambiando la grana delle nostre anime e il nostro modo di vedere il mondo. Gli 'autori' sono spariti come sta sparendo la cultura tradizionale; ma proprio per questo torna ad essere indispensabile l'"io" come messaggero sperimentale in terra incognita; non si può fare nessun esperimento se non c'è almeno una unità di misura certa da cui partire, e l'io è questa unità di misura. O meglio, anche l'io è scomponibile, come si sa, e incerto; ma c'è un "intelligo" che si apparenta al "cogito" e da cui si può ragionevolmente ripartire. La fantascienza, l'horror sono suggestivi e qualche volta dicono la verità, ma l'indagine che voglia avere basi più solide deve aggirarsi tra le cose, cioè tra i desideri in rapporto alle cose. L'irrealtà è tra noi. Gli scrittori di genere sono i poeti della contemporaneità, noi realisti ne siamo gli artigiani. Per passare inosservati durante l'osservazione, bisogna travestirsi da se stessi.
Con Beckett, Lei ricorda che la paura vera è di morire prima di essere nati. E' qui che nasce la disponibilità totale e dunque l'intercambiabilità degli esseri umani attuali, l'esser feti adulti che dicono agli amanti hai sposo e padre in me?
Infantilismo musa del nostro tempo: il potere senza volto ci vuole irresponsabili, ed è così comodo esserlo. L'amore è spesso uno stringersi di cuccioli che hanno freddo. Quando c'era Dio, l'incomprensibilità del mondo ci faceva soltanto figli, adesso la stessa incomprensibilità ci rende orfani spauriti: per questo si parla tanto di bambini nella recente letteratura. L'unica cura è il successo profondo, la realizzazione di qualche fantasma interiore: gli uomini realizzati e felici sono più disposti ad assumersi delle responsabilità.
Se si è intercambiabili, è possibile che i nomi di persona acquistino il significato che hanno le griffes?
Naturalmente sì: se si cade nella trappola che nella vita conta più "essere qualcuno" che "essere qualcosa". "Essere qualcuno" procura denaro, e il denaro rende forti; si respira nel paradiso dei media. "Essere qualcosa" ha senso solo nel deserto delle vocazioni e della morale: paesaggi sempre meno attraenti e glamour.
In un mondo di adulti infantilizzati e regrediti dalla tv, dunque egoisti senza ego - e in cui il Suo personaggio dichiara di avere "sette mesi", il tempo cioè del romanzo che lo realizza - ci sono personaggi o comparse con qualche tendenza o traccia di maturità o di compiutezza, ovvero d'intelletto d'amore?
La malattia può fare molto: stimola la carità, la forma più alta d'amore. Anche la necessità economica, quando non è schiacciante, può condurre alla solidarietà. Allo stesso risultato può portare un progetto comune, un'impresa da concludere insieme. Per questo il potere ci vuole tutti ricchi, sani e indipendenti. E' la prima volta che bisognerebbe dire "no" a un potere che in apparenza vuole il nostro bene.
Speranza e desiderio hanno una struttura comune, o sono soltanto, come in generale le emozioni post-realistiche, gonfiate? Mi pare inoltre che Lei intenda la "serenità" in modo particolare: vorrebbe parlarcene?
La speranza e il desiderio sono le cause dell'infelicità, come il buddismo insegna. Più che emozioni sono principi costitutivi, e che siano illusori lo sappiamo da sempre. Su di essi il nuovo potere non può agire falsificandoli, semmai li può ridurre a clichés; il che significa, credo, ridurne la forza. Il potere neo-consumista è buddista senza saperlo.
La predilezione del Suo personaggio per i corpi formato famiglia lo colloca in un'area della sessualità vagamente accettabile dal comune senso del pudore eteròta e gay perbene e tuttavia non del tutto presentabile dalle zie politically correct. Oltre al fatto che di queste non credo gliene freghi nulla, (cfr. "La magnifica merce") che riflesso ha sulla Sua strategia di scrittura, e sulla scelta degli Autori che La ispirano (se ce ne sono), questa collocazione?
Sulla mia predilezione, purtroppo, non posso intervenire con la volontà: mi piacciono i culturisti e stop. Sul fatto se sia il caso di parlarne, credo di aver detto quello che dovevo dire nei miei libri. Ho il massimo rispetto per gli omosessuali più "politici" che vogliono agire sui condizionamenti della società e li vogliono modificare in meglio. Il problema politico non è quello dell'omosessualità ma quello della predominanza maschile; da questo punto di vista devo ammettere che sono istintivamente machista, che la femminilità nell'uomo (o meglio, la manifestazione di certi caratteri tradizionalmente considerati femminili) mi disturba, e che quindi sono potenzialmente omofobo. Quel che è peggio, è che sono attratto da uomini altrettanto machisti e potenzialmente omofobi. Per questo preferisco non entrare in discorsi politici, perché farei discorsi inevitabilmente un po' ipocriti; tra la giustizia e la verità, come scrittore non posso che scegliere la seconda.
Hanno un ruolo nella stesura del testo teorici dei media (p. es. Serge Daney, Boltanski o Sartori) o polemisti quali Gomez e Travaglio (Regime, Bur)?
No, per niente.
Umberto Eco sostiene che dopo i quaranta non ci si deve più occupare di avanguardie, bensì dei poeti elisabettiani. Non mi pare che Lei abbia seguito il consiglio. Le chiedo dunque se c'è qualche tendenza attuale nella letteratura italiana (o in quel che ne rimane) che apprezza o soltanto conosce.
I poeti elisabettiani sono interessantissimi; ogni tanto parlare coi morti fa bene. Ma se vogliamo parlare dei vivi, mi piacciono gli scrittori italiani che usano l'autobiografia e il saggio per indagare la contemporaneità: tra i giovani, per esempio, Tiziano Scarpa, Emanuele Trevi, Mauro Covacich, Nicola Lagioia, Antonio Pascale, Roberto Saviano. E poi ammiro il talento horror di Niccolò Ammaniti.
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