INTERVISTE
intervista a Tommaso Pincio

In "Lo spazio sfinito" scrivi: "più parlava di sé, meno era sicuro di chi fosse". Ed Emanuele Trevi ha definito quel tuo libro "un manuale di sparizione". Perché sparire? O è un processo inevitabile, di questi tempi?
La sparizione è l'atto più sovversivo che si possa immaginare. Sparire significa sottrarsi al controllo, a qualunque tipo di controllo. Quello attraverso il quale l'ordine costituito legittima il proprio potere e quello della nostra coscienza, e quando dico «coscienza» mi riferisco a tutte quelle forme di autocontrollo che ci impediscono di commettere gli atti sconsiderati e efferati. Sparire è una magnifica tentazione che comporta però rischi tremendi. In questo senso, pur ringraziando Trevi per la sua definizione, devo essere onesto. I veri manuali di sparizione sono altri. Per esempio, L'uomo invisibile di Wells e Lo strano caso del dotto Jekyll e Mister Hyde di Stevenson.
A sette anni siccome era un piccolo maniaco, ribelle, ipercreativo a Kurt Cobain venne prescritto il Ritalin. Come capita a tantissimi bambini che non sono pezzi di legno. Anche per questo in "Un amore dell'altro mondo" chiami la droga il "sistema"?
È usanza dei tossici chiamare la loro droga di riferimento un nomignolo per così dire affettivo. Che sia «sistema» o qualcos'altro poco importa. Ciò che conta è l'atto, un atto che esprime molto bene quali siano le dinamiche della dipendenza. Il caso Cobain è sicuramente estremo ma parla di un male oscuro molto diffuso. E non sto parlando del malessere che covava nell'animo del piccolo Kurt quanto della perfidia degli adulti, della loro mania di sedare gli impulsi al fine di trasformare le persone in docili animaletti che rispondano agli stimoli del «vero» sistema — il cosiddetto libero mercato — alla maniera dei cani di Pavlov.
Riusciamo ancora a immaginarci l'amore, l'amicizia, o possiamo soltanto rivolgerci al "sistema"?
Il nostro è un tempo drogato. La nostra è una civiltà che incoraggia alla dipendenza. Ogni giorno veniamo invitati a preferire il virtuale al reale, a distaccarci sempre più dalla vita. Temo quindi che il nostro modo di pensare l'amore si stia sempre più intossicando. Le sostanze stupefacenti sono semplicemente la punta di un iceberg ed è per questo che trovo insopportabilmente ipocrite le campagne proibizioniste.
I ragazzi del passato si suicidavano per Werther, Jacopo Ortis, persino per Fabrizio Lupo di Coccioli, oggi per Cobain. Fallisce l'arte o c'è qualcosa che non va nelle vite?
Io terrei separate le due cose. L'arte non è mica la panacea di tutti i mali di vivere. Può dare conforto e servire da sfogo, questo sì, ma ritenerla responsabile dei nostri fallimenti è un errore. Per giunta, è un errore che può costare molto caro.
"Non ci si può fidare degli esseri umani". E degli scrittori? Ce n'è qualcuno di cui ti fidi, cioè che leggi e consideri?
Dipende da cosa ci si aspetta. Sul piano umano, quello della vita reale e dei sentimenti realmente vissuti, gli scrittori sono assolutamente inaffidabili perché disumani. Qualcuno ha detto: «O si scrive o si vive». Le due cose sono purtroppo inconciliabili. Ma se limitiamo il discorso all'ambito della finzione letteraria, ovviamente la faccenda è molto diversa. Il mondo è pieno di scrittori affidabili. La lista è lunga. Ne citassi due a caso farei un torto ad altri cento.
Quarant'anni fa probabilmente le tue storie sarebbero state scritte in modo "avanguardistico". Oggi, a contenuti "estremi" corrisponde una struttura più tradizionale. Che strada ha preso la letteratura?
Non sono sicuro che sarebbero state scritte in modo diverso. Basti pensare a Philip Dick, la sua è una lingua che ha ben poco di avanguardistico. Per quanto, è vero che negli anni Sessanta la mania della sperimentazione era dilagante. Ma si è trattato di un momento. Il motore trainante della letteratura romanzesca era ed è rimasto quello della narrazione, un motore che presuppone profili bassi e una certa dose di pragmatismo linguistico.
La sparizione è l'atto più sovversivo che si possa immaginare. Sparire significa sottrarsi al controllo, a qualunque tipo di controllo. Quello attraverso il quale l'ordine costituito legittima il proprio potere e quello della nostra coscienza, e quando dico «coscienza» mi riferisco a tutte quelle forme di autocontrollo che ci impediscono di commettere gli atti sconsiderati e efferati. Sparire è una magnifica tentazione che comporta però rischi tremendi. In questo senso, pur ringraziando Trevi per la sua definizione, devo essere onesto. I veri manuali di sparizione sono altri. Per esempio, L'uomo invisibile di Wells e Lo strano caso del dotto Jekyll e Mister Hyde di Stevenson.
A sette anni siccome era un piccolo maniaco, ribelle, ipercreativo a Kurt Cobain venne prescritto il Ritalin. Come capita a tantissimi bambini che non sono pezzi di legno. Anche per questo in "Un amore dell'altro mondo" chiami la droga il "sistema"?
È usanza dei tossici chiamare la loro droga di riferimento un nomignolo per così dire affettivo. Che sia «sistema» o qualcos'altro poco importa. Ciò che conta è l'atto, un atto che esprime molto bene quali siano le dinamiche della dipendenza. Il caso Cobain è sicuramente estremo ma parla di un male oscuro molto diffuso. E non sto parlando del malessere che covava nell'animo del piccolo Kurt quanto della perfidia degli adulti, della loro mania di sedare gli impulsi al fine di trasformare le persone in docili animaletti che rispondano agli stimoli del «vero» sistema — il cosiddetto libero mercato — alla maniera dei cani di Pavlov.
Riusciamo ancora a immaginarci l'amore, l'amicizia, o possiamo soltanto rivolgerci al "sistema"?
Il nostro è un tempo drogato. La nostra è una civiltà che incoraggia alla dipendenza. Ogni giorno veniamo invitati a preferire il virtuale al reale, a distaccarci sempre più dalla vita. Temo quindi che il nostro modo di pensare l'amore si stia sempre più intossicando. Le sostanze stupefacenti sono semplicemente la punta di un iceberg ed è per questo che trovo insopportabilmente ipocrite le campagne proibizioniste.
I ragazzi del passato si suicidavano per Werther, Jacopo Ortis, persino per Fabrizio Lupo di Coccioli, oggi per Cobain. Fallisce l'arte o c'è qualcosa che non va nelle vite?
Io terrei separate le due cose. L'arte non è mica la panacea di tutti i mali di vivere. Può dare conforto e servire da sfogo, questo sì, ma ritenerla responsabile dei nostri fallimenti è un errore. Per giunta, è un errore che può costare molto caro.
"Non ci si può fidare degli esseri umani". E degli scrittori? Ce n'è qualcuno di cui ti fidi, cioè che leggi e consideri?
Dipende da cosa ci si aspetta. Sul piano umano, quello della vita reale e dei sentimenti realmente vissuti, gli scrittori sono assolutamente inaffidabili perché disumani. Qualcuno ha detto: «O si scrive o si vive». Le due cose sono purtroppo inconciliabili. Ma se limitiamo il discorso all'ambito della finzione letteraria, ovviamente la faccenda è molto diversa. Il mondo è pieno di scrittori affidabili. La lista è lunga. Ne citassi due a caso farei un torto ad altri cento.
Quarant'anni fa probabilmente le tue storie sarebbero state scritte in modo "avanguardistico". Oggi, a contenuti "estremi" corrisponde una struttura più tradizionale. Che strada ha preso la letteratura?
Non sono sicuro che sarebbero state scritte in modo diverso. Basti pensare a Philip Dick, la sua è una lingua che ha ben poco di avanguardistico. Per quanto, è vero che negli anni Sessanta la mania della sperimentazione era dilagante. Ma si è trattato di un momento. Il motore trainante della letteratura romanzesca era ed è rimasto quello della narrazione, un motore che presuppone profili bassi e una certa dose di pragmatismo linguistico.
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