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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Elisabetta Bordieri

...ti stanno aspettando

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Le 22, 15 minuti e 57 secondi.

Come al solito Marina si trovava in ufficio anche quella sera da sola. L'orario di lavoro era finito già da un pezzo per gli altri, ma essere a capo di una grossa azienda pubblicitaria comportava anche cose così. E a lei francamente piaceva. La sua era una "banale storia di successo", come spesso si compiaceva nel definire la sua situazione. Nemmeno tre anni prima era poco più di una segretaria. Poi gli eventi. I momenti giusti. Le persone giuste. Come Piero. Lui era stata una persona giusta. Ma anche lui era archiviato. Come il passato tutto. Spesso le sembrava di non poterne più delle solite polverose certezze ma ora lei, Marina Grandi, era il responsabile unico della Gran Power S.r.l.. Insomma era vero o no che nel nome dell'azienda c'era gran parte del suo cognome? Un caso? Il destino? Non importava. Certo era stato scritto in qualche libro della vita. Di questo Marina ne era certa.

Quella sera aveva ancora tutta la posta da vedere. Il computer era ancora acceso ovviamente: suo fratello, Mauro, le chiedeva che fine avesse fatto, una lettera non proprio carina. Cosa poteva farci se la sua vita era dedicata ormai alla carriera? Il tempo per la famiglia era quello che era. No, suo fratello non lo avrebbe mai capito. Gli risponde con due righe di circostanza. Poi ancora la mail di Francesca, la sua amica, si, Marina non aveva più tanti amici, il tempo dedicato al lavoro le aveva fatto perdere tanti rapporti. Francesca sembrava fatta di un'altra pasta, anche se ogni tanto anche lei era pronta a rinfacciarle quella volta o quell'altra ancora. Risponde brevemente anche a lei.

E poi delle lettere inviate per posta ordinaria. C'era ancora gente che scriveva lettere su carta!

Non bastavano le mille mail al giorno! La sua assistente le aveva girato solo il materiale strettamente personale, ma era comunque tanto!

Cosa voleva ancora da lei Piero? Ancora con quella storia del provino per la Dentaus, una marca semi-sconosciuta di dentifrici, che per emergere stava mettendo su uno spot. "...visto che non rispondi alle mie mail magari ho pensato che per iscritto avresti avuto modo di concentrarti di più sulla questione Barzanti..." Che stupido! Voleva propinare quel suo cliente, per quel provino. Ma a lei serviva una faccia da dentista! Era stata chiara: età intorno ai quaranta; sorriso, per ovvi motivi, splendente, acceso; occhi rigorosamente chiari - sono incredibilemente telegenici! - che con gli occhiali da vista avrebbero avuto il giusto risalto. Insomma, lei voleva un dentista così per quel provino, perchè questi erano gli accordi con la casa committente. Perchè Piero continuava ad insistere con quell'inutile Barzanti che non aveva nemmeno uno dei requisiti richiesti? Come doveva dirglielo? E poi quell'idea idiota della lettera scritta! Ci avrebbe pensato domani, o meglio avrebbe detto a qualcuno di pensarci.

Basta. Per quella sera poteva bastare. Anche se Piero gliela aveva rovinata. Il resto della posta poteva finire nel cestino!

Solo una lettera attira la sua attenzione, una decisamente voluminosa, senza francobollo, ora ricordava che gliela avevano consegnata a mano poco prima della chiusura.

Va per prendela in mano e sente al tatto che contiene qualcosa di consistente, di pesante.

Senza troppo riflettere la apre. Ancora una busta all'interno. E poi ancora un'altra. Ed un'altra ancora. Cos'era un gioco? Eppure era indirizzata a lei. L'ultima "matriosca" conteneva una busta di plastica nera che evidentemente avvolgeva un oggetto. Scarta la cosa ed infila la mano per prenderne il contenuto.....un coltello sporco di sangue...

Un coltello insanguinato! Marina lancia un urlo, o forse ha solo pensato di farlo. Apre la mano ed il coltello cade con un tonfo sordo sulla scrivania scivolando verso l'estremità del piano quasi fino a cadere. La sua mano, la sua mano è sporca di sangue! Come poteva essere? Sangue fresco?!

Rimane lì immobilizzata, con la mano sospesa in aria. Guarda quella cosa sul suo tavolo. Un coltello, cosa voleva dire? Uno scherzo? Uno stupido scherzo! Ma di chi? Poi i suoi occhi cadono sul manico dell'arnese. Sembrava ci fosse inciso qualcosa. Senza toccarlo si avvicina. E legge: "Stai attenta".

Inizia a covare dentro quella sensazione che gli altri chiamano comunemente paura.



Le 22, 33 minuti e 44 secondi.

Che bella sequenza di numeri, avrebbe pensato in un altro momento.

Ma ora non era quel momento.

Decide di andare via subito.

A casa forse sarebbe riuscita a riordinare le idee.

In bagno si lava la mano, riavvolge il coltello in un foglio di carta e lo infila nella borsa.

Scende in garage e sale in macchina.

Già, sale in macchina...perchè avrebbe mai dovuto pensare che qualcuno era proprio lì ad aspettarla?

Marina non si accorge di nulla. E' solo intenta a mettere in moto e ad andare via alla velocità massima consentita.

Accidenti, non si accorge nemmeno di quella macchina che la segue. Guidava senza concentrazione. Solo che non può fare a meno di sentire la botta. Un bel tamponamento. Cosa si fa in questi casi? Si scende e si verificano i danni insieme all'altra parte. Solo che questo non sembrava affatto uno di quei casi. Marina non era stata tamponata per errore. Non era nemmeno ferma ad un semaforo. L'avevano tamponata volutamente mentre la sua macchina era in corsa.

Il coltello! Si, il coltello c'entrava di sicuro qualcosa. La macchina dietro si allontana subito a gran velocità. Marina cerca di individuare il tipo di macchina ma non riesce a vedere nulla. Ha visto solo che era un macchina di piccola cilindrata. Comunque si trattava di un avvertimento. Una sorta di "stai attenta".

Una volta al sicuro nelle mura di casa finalmente si distende sul divano.

A pensare con la testa degli altri era bravissima. Praticamente glielo rinfacciavano continuamente. Stava sempre lì pronta a supporre il cosa ed il come ed il perchè di ogni accidente! Ed ora che le sarebbe tornato utile, era solo capace di starsene su quel divano, che tanto odiava, a fissare un ignoto punto di un asettico soffitto.



Le 23, 14 minuti e 13 secondi.

Il telefono. Lo squillo del telefono.

"Si, pronto" dice.

"Stai attenta" dice la voce.

Click.

Si, ora sapeva che si trattava di paura.

La notte in qualche modo era passata.

La mattina seguente Marina avrebbe voluto dimenticare.

Decide allora di aprire la borsa per vedere se si fosse trattato di un sogno. Apre. Il coltello era lì. Era tutto vero. Chiude la borsa. Chiude gli occhi. Chiude la vita.

Poi prende il telefono.

"Ciao sono io, ascolta, stamattina non ce la faccio a passare in ufficio. Al solito, il mio commercialista. Mi sbrigo in meno di un'ora. Si, hai ragione, ma non ho potuto avvisarti prima. Non annullare niente. Veditela tu. No, no, sto bene. Grazie."

Meno male che c'era lei. Laura era più di una segretaria, era più di un'assistente, ormai poteva delegarle anche le questioni più delicate. La sua professionalità era indiscutibile anche se da un po' di tempo non era più la stessa. Come darle torto? Aveva perso suo figlio circa un anno prima in un incidente e da allora si era tramutata in una sorta di Dr Jekyll e Mr Hyde: sul lavoro intraprendente, seria, competente, preparata, presente insomma; poi bastava che si allontanasse dalla sua scrivania per un caffè ed improvvisamente vedevi il suo viso quasi cambiare fattezze, si faceva triste ma anche duro, inespressivo quasi. Ma di questo suo cruccio non aveva mai vouto parlarne, "mi aiuta a dimenticare", diceva.



Le 9, 25 minuti e 12 secondi.

Così Marina sale in macchina e si avvia per la statale. Direzione ignota. Aveva un'ora di tempo per ragionare.

Tanti pensieri, ma perchè rimuovere completamente quello del tamponamento della sera precedente?

E perchè mai non fare caso ad un'anonima Fiat che la seguiva a distanza?

Una mano sul volante, l'altra sul cambio, la testa nel coltello insanguinato.

Finchè se ne accorge. Quanto meno si accorge di come alla guida della macchina dietro c'è qualcuno di indefinibile. Attraverso lo specchietto retrovisore sembra che ci sia una sorta di essere fantomatico alla guida: cappello calato quasi fino agli occhi, fazzoletto intorno alla bocca, guanti scuri nelle mani, che la seguiva piano. Sente i battiti del suo cuore trapanarle il cervello. L'unica cosa che le viene in mente è di pigiare il piede sul gas. E lo fa al momento giusto, quando la macchina dietro non è troppo vicina. Scappa via. "Cosa mi sta succedendo? Dove mi trovo?" Pensa e parla, piange e prega. "Dio mio portami fuori di qui!" Un misto di sudore e lacrime le accarezzano la pelle, le trafiggono l'anima. Guarda lo specchietto. Nessuno. Un cartello marrone dice: mare. E prende per il mare. Perchè non te ne torni a casa? Marina non lo sa e non è l'unica cosa che non sa. Fino a nemmeno dodici ore prima era una persona normale, in mezzo a gente normale, in una vita normale; ora stava vivendo qualcosa di troppo lontano dal suo contigente, qualcosa di assurdo e di inafferabile.

Il mare è lì. Quanta calma ha sempre saputo infonderle il blu del mare. Tutto ciò che era blu aveva sempre avuto per Marina un significato particolare: l'immensa profondità del mare, l'imperscrutabile infinito del cielo, la scia delle nuvole all'imbrunire, la possenza delle montagne all'orizzonte, il colore dei suoi occhi. La vita tutta era blu!

Ed anche quel giorno il destino, o chi per lui, l'aveva condotta al mare, mare che era insito nel suo nome. Un caso anche questo?

Lasciata la macchina in un parcheggio affollato, e ripreso fiato, si avvia verso una spiaggia con un po' di gente. Era un giovedì di fine estate e ancora c'era chi aveva voglia del tenue calore degli ultimi raggi di sole. Certo il vociare delle persone o lo schiamazzo dei bambini non era quello che avrebbe voluto ma aveva troppa paura a rimanere sola.

Un bisogno irrefrenabile di entrare in acqua la avvolge fin dentro le ossa, la voglia di ripulirsi l'anima, di lavare via quel sangue che ancora sente nella sua mano.

Invece si sdraia sulla sabbia, socchiude gli occhi e finalmente può permettere ai suoi pensieri di prendere il volo per lidi sconosciuti, per sogni mai sognati, per attimi mai vissuti.

"Hai tutta la sabbia in testa, io ho un telo in più".

Capelli castano chiaro, ricci morbidi a lambire il collo, sorriso di una dolcezza imbarazzante, occhi infinitamente blu. Una sorta di angelo è chino sopra di lei.

Si tira su di scatto, si passa le mani tra i capelli per togliersi la sabbia.

"No, no grazie, non importa, gr...azie".

"Io sono Tiziano, se ci ripensi sono lì".

Incredibile ma, per un attimo, Marina dimentica tutto, il coltello, il sangue, il tamponamento, la macchina dietro di lei. Ma si tratta appunto di un attimo e tutto torna prepotentemente a galla. Le domande che le frullano in testa sono troppe e senza risposta alcuna. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, sfogarsi, urlare, piangere, sbattere i pugni contro un muro. Chi poteva chiamare? Le viene in mente Piero, suo fratello, Laura, la sua amica. Ma cosa avrebbe mai potuto dire?

In qualche modo i suoi pensieri dovevano essere trapassati fuori e scritti da qualche parte perchè, alzando gli occhi, Marina vede Tiziano che le sorride. Si, uno sconosciuto! Uno a cui raccontare tutto, sfogarsi e poi sparire, uno che non avrebbe mai più rivisto! Risponde al sorriso reclinando dolcemente la testa di lato. Il gioco di sguardi e di sorrisi era riuscito a far deviare ancora una volta il corso delle sue inquietudini.



Le 10, 31 secondi e 24 secondi.

Tiziano, finalmente!, si avvicina.

"La mia proposta è ancora valida"

"Proposta? Quale proposta?"

"Quella del telo!"

"Ah, già, quella del telo!"

"Perchè cosa pensavi?"

"Ormai mi sono bella che insabbiata, non credo che serva più!"

"Si, ma non hai risposto alla mia domanda".

"Quale domanda?".

"Ti ho chiesto a cosa stavi pensando, mi piacerebbe sapere dove si trova la tua testa, perchè certamente non è qui".

"Scusa, è solo che...diciamo che oggi ho qualche problema"

"Questo lo avevo intutito già da solo"

"Si, scusa...."

"Non devi scusarti di niente, piuttosto perchè non mi racconti? Sai a volte credo che uscire un po' dagli schemi e dalla regolarità dell'ovvio, faccia bene. So perfettamente che in genere è con le persone che si conosono che ci si confida, che ci si confronta, che si interagisce in qualche modo; però può succedere che, nel corso di una giornata qualunque, accada un imprevisto, che poi imprevisto non è, diciamo piuttosto un qualcosa che ha a che fare con l'inesplicabile, con il paradossale, con il nonsenso; e allora perchè non provare a, come dire?, a fare in modo che l'assurdità della cosa possa entrare nelle viscere del nostro animo? Sai cosa penso? Che tutto succede per una ragione...sempre."

Si, forse si trattava davvero di un angelo.

Aveva visto e poi letto e poi elaborato ogni suo pensiero.

Così Marina si era ritrovata a raccontare le sue ultime ore ad uno sconosciuto senza tralasciare alcun particolare, rivelandogli le sue preoccupazioni, i suoi timori, i suoi dubbi, le sue ansie.

"Sapevo che la tua testa fosse altrove ma non credevo così lontano! Ascolta, so che ora avresti solo bisogno di conforto, di parole rassicuranti, ma per questo ci sarà tempo, ora credo che la cosa primaria sia che tu possa uscire da questa situazione, nel migliore dei modi s'intende. Mi viene in mente una cosa. Perchè non fai analizzare il sangue?"

"Analizzare il sangue?"

"Come ti chiami?"

"Marina"

"Senti Marina, se continui a rispondere alle mie domande con altre domande.......si, dicevo che se fai analizzare il sangue magari intanto hai un elemento in più e qualche supposizione può diventare certezza."

"Ma per questo bisogna andare alla polizia, aprire un'inchiesta, lo verrebbero a sapere tutti, a casa, in ufficio"

"Lo so, infatti io intendevo una cosa più discreta. Ho un amico che lavora in un centro di ricerca di ematologia. Potremmo provare con lui".

"Non so che dire, cosa pensare, cosa sia meglio fare"

"Vorrei poterti dire di pensarci con calma ma credo che questo sia un lusso che tu non possa permetterti"

"D'accordo. Vada per l'analisi"

"Vedrai, si risolverà tutto. Ma tu devi crederci"

"Ho paura"

"Lo so...lo so. Più tardi contatto il mio amico e poi ti faccio sapere"

"Ok allora grazie. Ora è meglio che vada."

"Marina, scusa ma...dovrei chiederti il numero di telefono"

"Si, certo"

Dopo essersi scambiati i rispettivi numeri, Marina si allontana. Ancora un sorriso, uno sguardo e poi via.



Le 11, 47 minuti e 34 secondi.

Mio dio quasi mezzogiorno!

Aveva lasciato il cellulare in macchina: c'erano sei chiamate di Laura, decide di non richiamare e di corsa si avvia verso il suo ufficio.

"Marina! Ma sono tre ore che ti cerco! Dove sei stata? Si, ho capito ma potevi almeno rispondere! Ha chiamato il direttore della...."

"Laura, dammi un attimo. Tra dieci minuti vieni nella mia stanza. Dieci minuti, ti chiedo solo dieci minuti"

Il pomeriggio era passato tra un appuntamento e l'altro, tra una telefonata e l'altra. Era riuscita a lavorare senza però mai smettere di pensare al coltello nella sua borsa, al sangue, alla macchina che la seguiva, a Tiziano.

La sera arriva prima di quanto Marina possa immaginare. Laura è già andata via e ora ha paura. Chiama l'ingresso e verifica che Diego, l'usciere sia ancora lì. "Diego, quando se ne va può avvisarmi? Grazie." Anche Diego era una gran brava persona, lo aveva assunto lei stessa poco più di un anno fa, meritava una promozione. Se ne sarebbe occupata il prima possibile. E Tiziano? Che fine aveva fatto? Le aveva promesso che....e il cellulare vibra sul suo tavolo. Era lui.

"Ciao scusa se non ti ho chiamato prima ma il mio amico era fuori per un convegno e non era reperibile. Gli ho accennato brevemente la cosa e per lui va bene, voglio dire che è disposto a darti una mano. Senti, oggi io e te abbiamo parlato di tutto tranne di cosa fai, dove vivi, che impegni hai. Quindi ti chiedo, come sei messa domani?"

"Domani sarà già tardi".

"Che vuoi dire?"

"Solo che ho davanti una notte intera da vivere"

"E allora?"

"Niente, niente"

"Vuoi che passi da te ora?"

"Io non ti conosco"

"Nemmeno io"

Un sorriso che Tiziano non può cogliere.

"Via Cipro, 24. Piano terra. Gran Power."

"Considerami già lì"

Nemmeno un quarto d'ora e Diego l'avvisa che il suo turno è terminato.



Le 21, 3 minuti e 10 secondi.

Vorrebbe chiamare suo fratello, ma sveglierebbe le bambine. Quanto tempo che non vedeva le sue nipotine? Se solo Mauro avesse sposato un'altra donna! sarebbe stato tutto più semplice per tutti. Forse aveva ancora qualche minuto per chiamare Francesca prima dell'arrivo di Tiziano, avrebbe potuto paventarle una sera a cena per uno dei prossimi giorni. Prende il telefono ma sente da giù qualcuno che sale le scale. Diego deve aver lasciato la porta aperta.

"Tiziano vieni. Sali al primo piano"

Ma non è Tiziano a salire.

Una figura losca e nera le si para davanti.

Ferma, immobile, paralizzata, Marina non emette suono.

Il cuore le si ferma. La paura diventa una cosa sola con il suo essere. La figura si avvicina piano. Marina non riesce a vederne il viso. E' coperto da un cappello e da un fazzoletto. Vede però distintamente la mano coperta da un guanto nero alzarsi. Nemmeno il tempo di realizzare e la figura le è addosso. Un tonfo nello stomaco e Marina si ritrova sbattuta per terra con un dolore lacerante. Avvolta su se stessa, le gambe piegate, le mani strette a pugno, non riesce nemmeno ad urlare. La figura torna ad avventarsi su di lei, la costringe a girarsi con un calcio secco nella pancia. Un flebile gemito esce dalla bocca di Marina, la luce accesa al neon dell'ufficio serve solo a far brillare di più il coltello che sembra apparso improvvisamente da chissà dove. Poi, un rumore di passi. La figura si blocca, si gira verso la porta, si rigira verso Marina. Non ha altra scelta e in un attimo è già sulle scale che corre verso l'uscita. Tiziano prorompe nell'ufficio di Marina e la trova lì a terra, dolorante, straziata dalle lacrime.

"Mio dio cosa ti hanno fatto?!?!"

Marina gli sussurra un "a..iu...ta..mi" e lui la stringe in un forte abbraccio, lì per terra.

"Vieni andiamo, ti porto via di qui". Così Tiziano la solleva di peso e nel giro di pochi minuti la conduce a casa sua.

Marina è a pezzi, sconvolta, fuori da ogni cognizione di tempo e di spazio, ha la testa piena di visioni che le si accavallano continuamente, e non tutte corrispondono a verità. Tiziano cerca di sapere, le pone qualche domanda, ma lei sembra essere da un'altra parte. Lo sguardo fisso a terra, perso nel vuoto di chissà quale remoto abisso. Le offre un tè caldo al limone che lei beve a piccoli sorsi ed in quel momento le sembra la cosa più rassicurante che lui avesse potuto fare. Marina avrebbe voluto morire, e probabilmente sarebbe accaduto se non fosse entrato lui, se non gli avesse dato quell'appuntamento nel suo ufficio, se avesse ritardato, se, se e ancora se.

"Dove vuoi che ti porti? Non credo sia il caso che tu rimanga sola stanotte! Mi rispondi? Cosa che vuoi che faccia per te? Marina?! Io...se vuoi...per me puoi stare qui...."

Lei alza gli occhi, si gira verso di lui e chinando impercettibilmente il capo fa un leggero assenso di ringraziamento.



Le 7, 7 minuti e 7 secondi.

Ancora un'altra particolare sequenza di numeri.

Anche quella notte era passata.

Tiziano va da Marina che aveva fatto accomodare nella stanza accanto alla sua su un divano con letto matrimoniale. Dormiva ancora, così preferisce non svegliarla. Prende il telefono, compone il numero di cellulare del suo amico, gli accenna l'accaduto della sera prima e lo prega di riceverlo subito. Ottenuta una conferma torna nella stanza di Marina. La trova già in piedi.

"Come ti senti? Sei riuscita a riposare?"

"Tiziano, grazie."

"Lascia stare. Il mio amico ci aspetta. Andiamo?"

"Ma che giorno è?"

"E' venerdì perchè?"

"Tu avrai da fare. E poi l'ufficio"

"Per me non preoccuparti. Tu chiama ed inventa qualcosa. Adesso."

Marina si prepara in poco tempo, poi prende la sua borsa, controlla che sia tutto ancora lì dentro e questa volta stranamente se lo augura. Voleva arrivare fino in fondo a questa storia, sempre che le fosse bastato il tempo.

Arrivano nel giro di mezz'ora.

Giovanni, l'amico, era un tipo molto discreto e attento. Prende il materiale che gli fornisce Marina e si allontana. Dopo pochi minuti torna con il responso.

0 Rh-.

"Non so bene a cosa possa servirvi, anche se lo zero negativo è piuttosto raro, secondo me quasi a niente".

"Marina, qual'è il tuo gruppo sanguigno?" la sorprende Tiziano.

"Io? 0 Rh-, ma questo che c'entra?"

"Forse niente, forse tutto" Tiziano si rivolge a Giovanni "sai cosa voglio dire vero?"

"Tiziano, mi stai chiedendo troppo, come faccio?"

"Non lo so, ma ci puoi aiutare solo tu"

"Sai che per queste cose bisogna chiedere l'autorizzazione di...."

"Si, lo so. Certo che lo so. Ma io la sto chiedendo a te"

"Vedrò cosa posso fare ma ci vorrà qualche ora"

"Ma che succede, cosa state blaterando? autorizzazione? certe cose? quali cose?"

"Devi fare un prelievo, Marina, ora, per un esame del DNA "

"E perchè?"

"Così confrontiamo il tuo sangue con le tracce di quello sul coltello "

Marina smette di fare domande e si lascia prelevare qualche goccia di sangue dal suo dito.

Non restava che aspettare.



Le 11, 23 minuti e 4 secondi.

Quelle ore di attesa sembravano avere avuto in sè l'innato e preciso compito di volare via.

Giovanni appare sulla porta con un foglio di carta in mano e con un viso poco rassicurante. E non parla. Per qualche secondo tutti i tre si guardano passando con lo sguardo da uno all'altro, aspettando quasi che il responso scritto su quel pezzo di carta possa da solo librarsi in volo così da poter leggere ogni singola parola scritta nell'aria.

"Giovanni, allora?" chiede per prima Marina.

"Abbiamo fatto il confronto. Le tracce di sangue riscontrate sul coltello sono...sono compatibili con le tue"

"Compatibili? Che significa compatibili???"

"In questo caso, che si tratta dello stesso sangue".

Marina è lì che parla ed ascolta, ma forse è da un'altra parte. Si, ora vorrebbe essere a Katmandu, su una vetta, da sola, a contare le aquile. Prima o poi lo avrebbe fatto davvero. Una voce la riporta a terra.

"Marina, Giovanni deve farti qualche domanda, è importante" Tiziano è lì che la guarda. Lei fa un cenno di assenso con gli occhi.

"Ascolta. Hai idea di come ci sia finito il tuo sangue su quel coltello?

"No"

"Ti sei tagliata, che so, un piccolo taglio?"

"No"

"Pensaci bene, può succedere che qualcosa che al momento sembri irrelevante venga tagliato fuori dalla memoria. Ma devi cercare di ricordare. Si trattava di sangue fresco. Possibile che nelle ore precedenti all'accaduto non ti sia ferita in qualche modo?"

"No"

Giovanni guarda Tiziano e alza le braccia in segno di sconfitta come a ricordargli che l'unica via da percorrere è quella della legge e li lascia soli. Tiziano incalza Marina.

"Deve esserci una ragione. C'è qualcuno che ti sta addosso, diciamo pure che vuole farti fuori, che ti segue, che sembra conoscere i tuoi spostamenti, le tue abitudini, che però ti sta avvisando di qualcosa, quasi volesse fartela ricordare, qualcosa che c'entra con il tuo sangue."

Poi un flash.

"Marina, sei una donatrice?"

"Si"

"Dove doni il sangue e con che frequenza?"

"Presso un centro prelievi vicino al mio ufficio, cerco di essere regolare, ogni tre mesi. Vorrei poterti chiedere questo cosa c'entri ma suppongo che sia un eufemismo"

"Beh, riuscire a fare dello spirito, per quanto velato, è sicuramente utile in questi casi. Perchè vai lì?"

"Te l'ho già detto, perchè è vicino all'ufficio, il fratello di una mia collaboratrice lavora lì e così qualche volta, quando vado di fretta...insomma hai capito...si, lo so, non è giusto passare davanti agli altri in fila, però...."

"Una tua collaboratrice???"

"Si, è la mia assistente, perchè?"

Tiziano le prende la mano e la sfiora dolcemente. Non si era mai avvicinato a lei in queste ore. Un contatto inaspettato e magicamente piacevole.

"Devi fare una cosa Marina, una cosa delicata. Ora andiamo via di qui"



Le 13, 10 minuti e 21 secondi.

Poco dopo sono nuovamente a casa di lui.

"Hai fame, vuoi mangiare una cosa veloce?"

"Ti prego Tiziano, lascia perdere"

"D'accordo. Parlami di lei, di questa tua assistente".

"Prima devi dirmi una cosa. Perchè fai questo per me?"

"Non lo sto facendo per te, lo sto facendo per me. Sono uno psicologo specializzato in criminologia. Collaboro spesso con la criminalpol e questo che sta succedendo a te è praticamente il mio pane quotidiano. Diciamo solo che ti sto dando una mano, anche se mi sembra che a te ne servirebbe più di una"

"Laura, la mia assistente appunto, è un ottimo elemento, efficiente. Non so...che vuoi che ti dica?"

"Per esempio, sai che rapporti ha con suo fratello, si, quello che non ti fa fare la fila?"

"Non ottimi. Quel poco che so me lo ha raccontato lui. So che è un infermiere e che lavora lì grazie a Laura che, a sua volta, conosceva un tizio che ha messo una buona parola per farlo assumere. Mi dice spesso che Laura glielo rinfaccia continuamente. Ma ne ignoro il motivo. Questa cosa lo fa sentire un po' succube della sorella. La sento qualche volta discuterci al telefono, ma non so altro.

"Che macchina possiede "

"Una piccola, credo sia un Fiat"

"Perchè è diventata la tua assistente?"

"Io lavoro in una grossa azienda di pubblicità di cui sono la responsabile. Ho sempre lavorato senza mai delegare nessuno, con ritmi spesso assurdi. Era la segretaria del direttore di vendita ed un giorno è stata lei praticamente a proporsi. Quindi così, un po' per caso"

"Che tipo è questa Laura, il carattere intendo"

"E' sempre stata una persona molto disponibile ed equilibrata, solo che da quando le è morto il figlio qualcosa in lei è cambiato. Puoi capire il perchè, immagino"

"Cosa è successo al figlio?"

"E' morto in un incidente stradale qualche tempo fa..."

"Quanto tempo fa?"

"Circa un anno"

"Sapresti essere più precisa?"

"Non saprei, si, un anno fa"

"Da quanto tempo Laura ti ha proposto, un po' per caso, come dici tu, di lavorare a stretto contatto con te?"

"Da un anno"

"Parlami dell'incidente"

"Non so molto. Laura si è chiusa in un riserbo pazzesco. Non posso dire che siamo amiche o che lo siamo mai state, però c'è sempre stato un ottimo rapporto di stima e di fiducia. Comunque non ne ha mai voluto parlare. So solo che è andato a sbattere con la sua moto contro un albero qui in paese e che si sarebbe anche potuto salvare se solo avesse potuto fare una trasfusione"

"Perchè non ha potuto farla?"

"Non lo so, suppongo perchè in ospedale non c'era sangue disponibile"

"In ospedale c'è quasi sempre sangue disponibile, a meno che non si tratti di una richiesta per una grossa quantità o per.....un gruppo raro...".

Un fantomatico colpo secco, assordante, arriva prepotentemente allo stomaco di Marina. All'improvviso sente venire su dal più profondo delle sue viscere l'odore acre del terribile sospetto, disumano, spietato, assurdo. Il sentore del presentimento prende le fattezze di una atroce realtà. Il dolore allo stomaco si fa più forte, insopportabile. Fa appena in tempo a correre in bagno e a liberarsi dell'orrore che la sta opprimendo.

Quando torna da Tiziano, lui è ancora lì seduto che la guarda.

"Mi spiace, Marina. Davvero. Ricordi prima, quando ti ho detto che avresti dovuto fare una cosa delicata? Beh, intendevo che ora è arrivato il momento, si Marina, il momento di andare alla polizia. Occorrerà che racconti tutto così come hai fatto con me, con più particolari, ti spremeranno lo so, non sarà piacevole, ma devi farlo e poi sarà finita"

Marina fa per alzarsi.

"Grazie, scusa ma ora devo andare"

"Dove vai, se posso osare"

"In ufficio"

Tiziano capisce e la accompagna alla porta.

Marina sale in macchina e con calma apparente si avvia verso il suo ufficio.



Le 15, 22 minuti e 13 secondi.

"Buongiorno Diego"

"Buongiorno a lei, signora Marina"

"Laura è su?"

"Si, non l'ho ancora vista uscire per il pranzo"

"Bene"

Sale le scale, attraversa l'ingresso che conduce nel suo ufficio, entra e chiude la porta dietro di sè.

Aspetta. Aspetta che Laura, come al solito quando sente i suoi passi, entri.

E Laura entra.

Fogli in mano, si siede davanti a lei.

"Ciao Marina, se hai un attimo dobbiamo vedere un po' di cose. Guarda, solo il caso Barzanti è diventato un osso duro, Piero mi sta martellando. Pensavo magari di rivederlo un attimo, il Barzanti voglio dire, così facciamo contento Piero e non ci stressa più. E poi senti, ha chiamato quella tipa della Free Magazine, si, sai quella rivista che ogni tanto ci contatta, insomma vuole da te quell'intervista entro oggi. Cosa faccio, ti prendo un appuntamento? Pensavo nel pomeriggio, verso le sei, ho visto sulla tua agenda che sei libera per quell'ora. Ti va bene?"

Marina la lascia parlare...e poi...

"Laura, stai cercando di uccidermi?"

Lo sguado di Laura si sposta lentamente dal cumulo di fogli poggiato sulle sue ginocchia agli occhi di Marina. Un ghigno le fa alzare il lato sinistro della bocca in una bozza di abominevole sorriso. Ecco Mr Hyde guardarla fisso.

"Si, cosa credi? e prima o poi ci riuscirò"

"Sono qui. Sono sempre stata qui. Ma prima dimmi il perchè? Perchè io?"

Una risata scomposta e sguaiata esce da quelle oscene labbra.

"Perchè tu??? Allora non hai capito niente!!! Mio figlio. Mio figlio è morto per colpa tua e per colpa di tutti quelli che come te hanno quel maledetto zero negativo. Troverò pace solo quando il vostro sangue smetterà di fluire nelle vene. Tu sei solo la prima che deve pagare, dovresti esserne contenta, sarai presto su tutti i giornali. Il tuo sangue, si il tuo dannatissimo sangue avrebbe potuto salvarlo. Qualche goccia che mio fratello è riuscito a trafugare dal laboratorio doveva servire a farti capire, avresti dovuto scusarti, strisciare ai miei piedi e vivere con il peso addosso di una simile colpa. Ma i miei avertimenti, i miei inseguimenti, i miei "stai attenta" non li afferravi. Hai continuato solo a pensare a te. Ancora non capisci? Allora devo rispolverarti qualcosina. Ricordi? Sei sempre stata regolare nelle tue donazioni, ho sempre tenuto io la tua agenda e sono sempre stata io a ricordarti quell'appuntamento trimestrale, ma quel giorno chissà perchè hai saltato. Venti ore dopo mio figlio ebbe l'incidente. Questa non è una grande città, e non ci sono tanti donatori che hanno il tuo stesso gruppo sanguigno...e quello di mio figlio. E' un anno che sto meditando di vendicarlo. Sarebbe bastato poco, lo capisci? meno di niente....per riaverlo...."

Mentra parlava il volto del Dr Jekill era tornato sul viso di Laura. Le sue ginocchia prendono a tremarle con sobbalzi inconsulti facendo cadere a terra tutti i fogli. Laura non cerca nemmeno di frenare il corso delle lacrime che le scorrono giù come un fiume in piena, scuote la testa violentemente da destra a sinistra come a voler cancellare dalla lavagna del suo passato ogni riprovevole ricordo. Laura era lì. Un povero pulcino indifeso. Una terrificante potenziale assassina. La sua doppia personalità andava fermata. A Marina viene in mente Tiziano, quello che aveva fatto per lei, quello che le aveva suggerito poco prima di fare: non restava altro che andare alla polizia. Si, ne era certa, si sarebbero rivisti. Sorride all'idea di lui. Pensa a come anche questa volta un incauto destino aveva messo piede nella sua vita senza preavviso, mostrandole il lato imprevedibile di alcuni momenti. E al destino, si sa, Marina credeva fermamente.



Le 16, 16 minuti e 16 secondi.

Una bella sequenza di numeri.

"E' finita Laura, coraggio andiamo, ti stanno aspettando".





Elisabetta Bordieri



Nata a Roma, vive in Toscana praticamente dentro una cartolina. Le sue esperienze lavorative sono sempre state caratterizzate da interessi per le fasi organizzative di eventi culturali, politici, sociali e ricreativi.

E' istruttrice di nuoto, quindi ama tutto ciò che gravita intorno all'acqua, ma si rigenera andando in palestra quasi tutti i giorni e ascoltando musica ovunque e comunque.

Quando ne ha la possibilità, le piace viaggiare, il che significa cercare di scoprire e di capire come e dove va il resto del mondo. Quando le rimane del tempo sogna tutto quello che ha da sognare.







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