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CINEMA E MUSICA

Stefano Torossi

A proposito di musica: Il computer onnipotente

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Forse non tutti sanno che oggi, dopo aver completato una registrazione digitale di musica, finalmente libera dalle interferenze acustiche del passato, con una dinamica totale per cui si va dal pianissimo al fortissimo senza distorsione del suono, possiamo, grazie a un programma del computer, ricreare il fruscio del vecchio vinile. Ma come! Avevamo fatto tanto per toglierlo, questo fruscio, che dopo pochi passaggi si arricchiva di scrocchi e salti di solco fino a rendere il disco inascoltabile, e adesso c'è un marchingegno che ce lo restituisce! Naturalmente oggi è gestibile, prima no: si mette e si toglie a volontà. Intendiamoci, noi non siamo qui a discutere il progresso tecnologico, anzi, vogliamo dichiarare che è proprio questo che rende il computerista ormai simile a Dio. Onnipotente.

E' la nostalgia del buon tempo andato, con il rifiuto della tecnologia che ci fa un po' sorridere perché genera sciocchezze. Come ostinarsi a trovare meravigliosa una vacanza in una capanna nel bosco senza elettricità. Sì, il lume di candela è romantico, ma la mancanza di acqua calda, di frigorifero e di tutto il resto che funziona a energia lo è molto meno. Così come rifiutare il telefono cellulare perché "tanto se mi vogliono sanno dove cercarmi". Oppure pensare di essere bio e piantare l'orto sul terrazzo quando ci sono le bancarelle del mercato con verdure bellissime che vengono a costare un decimo di quelle autoprodotte. Più, naturalmente la fissazione sulla superiorità del caldo suono analogico rispetto al freddo digitale, ma di questo abbiamo già parlato.

Va bene, lasciamo da parte le frivolezze, per offrirci di fare da specchio, in qualità di musicisti veterani, tra la vecchia tecnologia e quella nuova, con tutti i suoi superpoteri, che sono tanti.

Intanto, contrariamente a prima, adesso non c'è più niente di irreparabile. Che sollievo! Tutto può essere salvato e recuperato. Malgrado i maltrattamenti la registrazione originale rimane sempre quella, e può essere ripresa quante volte si vuole. Prima, il panico. Con il nastro magnetico, ogni sovrapposizione, ogni trasferimento, ogni passaggio insomma, rubava un po' di fedeltà all'originale, fino a distruggerlo o quasi. Per non parlare dei tagli e delle giunte. Impossibili o ad alto rischio.

Prima, il supporto della registrazione era il nastro che scorreva, che si poteva rompere, o magari sbobinare, e comunque veniva maneggiato da polpastrelli sporchi, si smagnetizzava, insomma era fragile e labile. Ci ricordiamo un plumbeo pomeriggio quando capitammo alla RCA (erano gli anni '60) e trovammo il mitico Studio A (una meravigliosa sala di incisione, forse la più grande d'Europa, almeno 300 metri quadrati) sbarrato. Eravamo di casa, ci permisero di affacciarci per vedere cos'era successo. Tutti i tecnici dello stabilimento, in camice bianco, stavano stendendo sul pavimento in file parallele le molte centinaia di metri di un nastro magnetico che era scivolato dal suo nucleo e si era aggrovigliato. Conteneva il master di una qualche sinfonia appena registrata da Von Karajan, e l'unica maniera di recuperarlo, senza richiamare il maestro e l'orchestra, era quella: srotolarlo tutto, attenti che non facesse pieghe, per poi riavvolgerlo. Oggi che nei moderni apparecchi non ci sono parti mobili basta un clic ed è tutto salvo.

Partendo dalla RCA e dal suo famoso Studio A che oltre ad essere immenso rappresentava anche un miracolo di acustica (abbiamo ancora sotto gli occhi l'ingegnere capo che per provarla si aggirava da un angolo all'altro sparando in aria con una scacciacani), possiamo andare ancora più indietro nel tempo. C'era un'altra sala di registrazione, forse della Fonit Cetra, in cui il fonico, fissato con quel mistero fisico, ma anche magico, che è da sempre l'acustica degli spazi, era arrivato a forza di esperimenti a trovare un equilibrio sonoro perfetto facendo salire verso il soffitto centinaia di palloncini attaccati a fili, proprio quelli delle fiere, di diverse grandezze e a diverse altezze. Il pro-blema era che, come dovremmo ricordarci tutti se siamo stati bambini, dopo un po' il gas filtra dalla gomma, il palloncino si sgonfia, scende, e il sistema va a remengo.

In passato la perfetta intonazione della musica dipendeva dalla perfetta velocità di scorrimento del nastro, quindi dai motori elettrici, dai rocchetti, dal trascinamento, e se c'era un minimo scarto il suono smiagolava. Adesso si può cambiare velocità, tonalità, timbro senza alcuna difficoltà. Si può addirittura correggere una singola nota stonata in mezzo a una canzone.

E i costi? E l'ingombro? Prima l'attrezzatura costava centinaia di milioni (di lire) e riempiva torri di scaffali, per non parlare dei banchi di missaggio, grandi come portaerei. Un nastro a otto, dodici, ventiquattro piste era più caro di un week end a Portofino. Adesso tutto entra in un armadietto, e il CD su cui registriamo costa meno del francobollo che ci sarebbe servito per spedire, all'epoca, una cartolina, appunto da Portofino.



Ci ricordiamo ancora, per averla vissuta, l'ubriacatura tecnologica nella quale sprofondammo tutti quando cominciarono a uscire i primi programmi di computer in grado di imitare gli strumenti veri, con suoni che ora fanno ridere, ma allora erano una strepitosa novità. Avevamo l'orchestra in casa. A riascoltare adesso quelle registrazioni ci accorgiamo che nella scorpacciata collettiva di nuovi suoni e nuove possibilità avevamo perso di vista un elemento, vecchio come il cucco, ma essenziale e insostituibile dell'arte: l'idea.

Insomma, non basta un clic per fare un buon lavoro.







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