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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Adriano Angelini Sut

Ancora un trionfo dall'Islanda, il sontuoso voodoo-rock dei Dead Skeletons.

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Che la morte, in tutto il suo orrore esistenziale, sia un momento magico, credo non ci siano dubbi. Che il rock l'abbia celebrata da sempre alimentando tante polemiche inutili, mi pare altrettanto scontato. Quando però spunta fuori un gruppo come i Dead Skeletons, dall'Islanda, e tira fuori un capolavoro genuino e spiazzante come questo Dead Magick, bè, c'è da leccarsi i baffi. E da danzare insieme al loro sound ipnotico. Un mantra. Esattamente come il brano d'apertura e singolo, "Dead Mantra", appunto, accompagnato da un video altrettanto spiazzante, straniante, esoterico, antropologicamente rivitalizzante. Guardatevelo e giudicate. http://www.youtube.com/DodenSpiegel#p/u. Sembra di assistere a una cerimonia di iniziazione africana con sonorità prevalenti all'occidentale. Un connubio, appunto, magico. Tutto l'album è una sorta di miscuglio fra tarante, rock psichedelico, macumba, ballate folk, e declamazione di versi in forma di rosario o, giustappunto, mantra. Mantra come "Om Mani Peme Hung" (titolo ripreso dall'originale buddista; mi perdonino i puristi ma non so se si tratti di un mantra o di un daimoko). Le chitarre che alimentato l'eco del verso trascinano lontano, si innalzano, si sfaldano. Sembra di arrivare dagli anni'70 sulla tavola di Silver Surfer. "Kingdom of God" è un altro scacco alla ragione. Una marcia funebre che fa ballare alla memoria dei Sister of Mercy. Imponente. La lingua islandese utilizzata è la ciliegina sulla torta. A dimostrarci, ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che i Sigur Ros non sono a caso. Il gruppo, tra l'altro, proprio per amplificare la portata del personaggio musicale che si sono inventati, è proprietario di un negozio di dischi a Reykjavik chiamato, guarda caso, "Death". "Psychodead" aggredisce piano, sonorità anni '50, rock bohèmienne maledetto. Di loro si sa pochissimo. Non hanno, per fortuna, il profilo su Wikipedia. "Get on the train" è una marcetta asfissiante. Minore. "Dead Magick I", un gioiello di reminiscenze neo-ghotic, con una tastiera che non ti lascia un attimo e la voce che recita versi rituali. "Ask Seek Knock" arieggia sull'oltretomba, effetti e riff che salgono piano, zombi che annaspano in superficie, la bellezza dell'ade che paga pegno al dark anni'80; esattamente come "Liósberrin" e "Live!" in cui il fantasma degli Psychedelic Furs e, perché no, dei Dead Can Dance con voce maschile e incupita, aleggia svolazzante e indomito. C'è qualcosa di già sentito ma anche di nuovo. La lingua soprattutto. Il modo in cui chitarre e percussioni inventano un ritmo che ben si sposa con l'armonia che anche il regno delle tenebre ricerca (e trova). "When the sun comes up" ascoltatela all'alba, il giro di chitarra liscia il pelo ai primi Robert Smith e Simon Gallup, ma poi riparte col suo incedere mantrico e monocorde (su cui però la chitarra si diverte a gigioneggiare libera). Immensa. "Yama" spalma i vostri resti sul terreno del rito, ancora una marcia, ancora un incupirsi stavolta con una melodia azzeccata, da pianto d'animale ferito. "Dead Magick II" chiude il cerchio (e lo fa ripartire). Il vaporoso rumore di una nave che parte, la cupezza di un mare mosso che l'accoglie, e d'un cielo plumbeo e senza speranza d'arrivo se non in quegli abissi da cui non si può fuggire. Un esordio strepitoso. Elettrizzante. Inaspettato. Siccome ancora non conosco le loro facce, riporto i loro nomi come scritti sul sito: "I Dead Skeletons sono i monaci del tempio dei morti: Nonni Dead, Henrik Bjornsson, Ryan Carlson Van Kriedt, and guests..." (www.deadskeletons.com)



Dead Skeletons

Dead Magick

A. Records Ltd - 2011





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