CLASSICI
Alfredo Ronci
Attenti a Chiara. Non è solo il cantor della provincia: 'Il cappotto di astrakan' ne è la riprova!
L'uniformità di contenuti non è, nonostante tutto, la miglior chiave di lettura per comprendere Piero Chiara. Serpeggia anche nei suoi estimatori, sempre e costanti nel tempo, questo concetto essenziale, che è riducibile ad una calcolata opzione per il marginale, ad un'insistente attenzione per la quotidianità, ad una predilezione per il 'canone' comico e ad una innata tendenza per il provincialismo e per i tratti ad esso riconducibile: trasgressione, insinuazione e pettegolezzo. Tanto che i più attenti lettori di cose nostrane (pochissimi!) al richiamar di Chiara accoppiano Facco de Lagarda, per un gemellaggio che vede nei due un unico gusto per le facezie intelligenti, per un erotismo persuasivo, per un'irresistibile vocazione al racconto come gagliardia di mestiere.
Però il dubbio è d'obbligo per entrambi: se la superficie può dar chiara l'impressione di un'ambientazione volutamente 'chiusa' quasi stregata da se stessa, la profondità assume altri connotati e quel che sembra apparenza pure saporita, diventa materia diversa e non facilmente malleabile.
Chiara (come de Lagarda, ma su quest'ultimo, come già su queste colonne segnalato, torneremo) è scrittore essenzialmente genuino (qualcuno annotò tempo addietro che era autore che non tollerava grossi pesi, intendendosi con questo una spiccata sintesi delle sue storie senza l'aggravio di uno stile ricercato o addirittura grumoso) e le vicende che racconta, pur se spesso ridefinite entro un ambito geografico preciso – Luino, paese d'origine e di conseguenza il lago Maggiore – in più di un'occasione mostrano uno scatto universale, ben lontano da una visione 'lumbard' o quanto meno ristretta.
Se già si apprezzò l'afflato 'sudista' de Il balordo dove appunto si narrava di un viaggio del protagonista nel Sud, è proprio con Il cappotto di astrakan che si avverte una dimensione più europea, meno legata a vincoli di sangue, anche se questi ritornano spesso primi attori (). E' la storia (spesso autobiografica) di un viaggio a Parigi nel primo dopoguerra (ma la toponomastica s'allarga ad altre città francesi e alla Svizzera), di una vicenda sentimentale con una donna affascinante e anche misteriosa, di un rapporto che quasi diventa a tre per l'improvviso riapparire di un vecchio amore della donna finito in galera, di una fuga repentina, di un ritorno al paese d'origine e di un finale parzialmente conchiuso, ma straziante nei tratti delineati di una impossibilità a rivivere vecchie passioni.
Non voglio, volutamente, esser più chiaro, perché il libro va letto. E magari gustarlo, come scrisse Alcide Paolini, editor Mondadori, alla sua prima apparizione: Ho letto Il cappotto di astrakan tutto d'un fiato, senza potermi staccare, con l'ansia del buongustaio che, prima è impaziente dientrare nel vivo del pranzo nonostante gli antipasti siano delicatissimi e ghiottissimi (Nizza Lione, Svizzera Parigi appena abbozzata), poi teme che il pranzo sia finito troppo presto, invece lo aspetta un favoloso dessert. Con l'amaro finale.
Vero, un amaro finale, quasi temuto dal lettore, ma in esso scorgiamo quella luce diversa dell'arte del Chiara: una sorta di dualità rispetto al suo essere romanziere ironico e frizzante, sornione e compiacente, maligno ed insinuante. Qui siamo dalle parti di uno scrittore toccante e drammatico che pone quesiti fondamentali sull'essere e sul convivere.
Mi piace aver accostato, quasi nessuno lo fa mai, Chiara a Facco de Lagarda: e mi permetto di far di più. Se molti vedono in Andrea Vitali un convincente figlioccio dello scrittore di Luino, a me attrae, in questo particolare caso de Il cappotto di astrakan, legare il tragico della vicenda alla drammaturgia di un grande come Graham Green.
Vi è in ambedue i casi l'intreccio inesorabile tra passioni condivise ed un senso ammirevole per la trama 'poliziesca'. Un connubio che nelle mani di artigiani di lusso aumenta in modo esponenziale il potere narrativo.
Oserei dunque dire un libriccino-capolavoro.
L'edizione da noi considerata è:
Piero Chiara
Il cappotto di astrakan
Oscar mondadori - 2009
Però il dubbio è d'obbligo per entrambi: se la superficie può dar chiara l'impressione di un'ambientazione volutamente 'chiusa' quasi stregata da se stessa, la profondità assume altri connotati e quel che sembra apparenza pure saporita, diventa materia diversa e non facilmente malleabile.
Chiara (come de Lagarda, ma su quest'ultimo, come già su queste colonne segnalato, torneremo) è scrittore essenzialmente genuino (qualcuno annotò tempo addietro che era autore che non tollerava grossi pesi, intendendosi con questo una spiccata sintesi delle sue storie senza l'aggravio di uno stile ricercato o addirittura grumoso) e le vicende che racconta, pur se spesso ridefinite entro un ambito geografico preciso – Luino, paese d'origine e di conseguenza il lago Maggiore – in più di un'occasione mostrano uno scatto universale, ben lontano da una visione 'lumbard' o quanto meno ristretta.
Se già si apprezzò l'afflato 'sudista' de Il balordo dove appunto si narrava di un viaggio del protagonista nel Sud, è proprio con Il cappotto di astrakan che si avverte una dimensione più europea, meno legata a vincoli di sangue, anche se questi ritornano spesso primi attori (). E' la storia (spesso autobiografica) di un viaggio a Parigi nel primo dopoguerra (ma la toponomastica s'allarga ad altre città francesi e alla Svizzera), di una vicenda sentimentale con una donna affascinante e anche misteriosa, di un rapporto che quasi diventa a tre per l'improvviso riapparire di un vecchio amore della donna finito in galera, di una fuga repentina, di un ritorno al paese d'origine e di un finale parzialmente conchiuso, ma straziante nei tratti delineati di una impossibilità a rivivere vecchie passioni.
Non voglio, volutamente, esser più chiaro, perché il libro va letto. E magari gustarlo, come scrisse Alcide Paolini, editor Mondadori, alla sua prima apparizione: Ho letto Il cappotto di astrakan tutto d'un fiato, senza potermi staccare, con l'ansia del buongustaio che, prima è impaziente dientrare nel vivo del pranzo nonostante gli antipasti siano delicatissimi e ghiottissimi (Nizza Lione, Svizzera Parigi appena abbozzata), poi teme che il pranzo sia finito troppo presto, invece lo aspetta un favoloso dessert. Con l'amaro finale.
Vero, un amaro finale, quasi temuto dal lettore, ma in esso scorgiamo quella luce diversa dell'arte del Chiara: una sorta di dualità rispetto al suo essere romanziere ironico e frizzante, sornione e compiacente, maligno ed insinuante. Qui siamo dalle parti di uno scrittore toccante e drammatico che pone quesiti fondamentali sull'essere e sul convivere.
Mi piace aver accostato, quasi nessuno lo fa mai, Chiara a Facco de Lagarda: e mi permetto di far di più. Se molti vedono in Andrea Vitali un convincente figlioccio dello scrittore di Luino, a me attrae, in questo particolare caso de Il cappotto di astrakan, legare il tragico della vicenda alla drammaturgia di un grande come Graham Green.
Vi è in ambedue i casi l'intreccio inesorabile tra passioni condivise ed un senso ammirevole per la trama 'poliziesca'. Un connubio che nelle mani di artigiani di lusso aumenta in modo esponenziale il potere narrativo.
Oserei dunque dire un libriccino-capolavoro.
L'edizione da noi considerata è:
Piero Chiara
Il cappotto di astrakan
Oscar mondadori - 2009
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