CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
Cappelli piumati, porsche e ora perfino elicotteri. A voi il solito, grandioso, Jamiroquai.
Sarà che quando l'ascolto mi sento sempre in vacanza. Al mare, in spiaggia, in luoghi bellissimi e incontaminati. Sarà che la carica energetica che riescono a infondere i suoi ritmi funky (qualcuno direbbe acid jazz) sono ancora inimitabili (e inimitati). Così, anche per questo settimo album in studio di Jason K in arte Jamiroquai, registrato in parte nel suo studio di casa nel Buckinghamshire, in parte nell'Oxfordshire e in parte in Tailandia, mi ritrovo a parlare di un gioiellino, un disco che rimarrà un classico della sua produzione e del genere. Sì perché Rock, dust, light star è davvero un lavoro sorprendente. Tutta questa creatività dopo anni di successo dove la trova ancora? Si parte con tre pezzi shock: la folgorante title track, il sontuoso singolo White knuckle ride e la spiazzante Smoke and mirrors (quest'ultima probabilmente il pezzo migliore di tutto l'album col suo groove anni'80 e il suo crescendo di fiati jazzati e tastierine space). Altro che macchine decappottate, capelli al vento e deserto dell'Arizona. Qui viene voglia di ballare sul cofano. Con eleganza, si capisce. Si prosegue con All good in the hood che fa tanto albori di Jason (sembra di sentire un pezzo di Travelling without moving o del solito Space cowboy). E si vira verso Hurtin' con le sue chitarrine più rockeggianti e meno convincenti per la verità. Sì perché Jamiro dà il massimo quando fa quello che sa fare meglio, l'istrione funky, un po' spaziale, un po' modaiolo. Come in She's a fast persuader, delizioso brano dalle atmosfere ariose e sognatrici. Il brano è tuttavia indicativo di una seconda parte del disco più riflessiva, diremmo romantica. Blue skies (che potrebbe essere il nuovo singolo) è di forte impatto emotivo e di facile presa con un crescendo orchestrale più soul e un motivetto che rimane in testa allegramente. Anche Goodbye to my dancer è più leggera e sbarazzina. Poi, come suo solito, Jason cambia e si diverte a sperimentare ritmi vari. Se la meno convincente Lifeline ci regala un Jason da musical e troppo imitazione di se stesso, Two completely different things ci riporta il nostro cowboy dello spazio in una versione scesa a terra su un tappeto di ritmi caraibici in una baia al tramonto. Un cocktail. Un piano bar. Un vecchio telefilm. E la sua voce pigolante e suadente che ci culla come bravi cercatori di relax. Si chiude con una ballata strappalacrime, Never gonna be another, un bel lento di fine serata, una pianola, il pacato incedere di una nottata che se ne va. Hey Floyd, l'ultimissimo pezzo, è una chiusura che voleva essere diversa, ma si perde troppo in sperimentazioni reggae che francamente non reggono e suonano un po' stucchevoli e schizofreniche. Suvvia. Nonostante tutto, Jason c'è, eccome. Ci farà ballare ancora. White knuckle ride diverrà il tormentone dell'anno, della prossima estate e delle nostre serate a sognare luoghi diversi dove essere liberi. Grazie Jason.
p.s. Per chi non l'avesse visto vi consiglio caldamente il video. Vi porta dove volete voi.
http://www.youtube.com/watch?v=k_bQ0h85gY8
Jamiroquai
Rock, dust, light, star
Universal, Mercury
2010
p.s. Per chi non l'avesse visto vi consiglio caldamente il video. Vi porta dove volete voi.
http://www.youtube.com/watch?v=k_bQ0h85gY8
Jamiroquai
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2010
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