CLASSICI
Alfredo Ronci
Cogli l'attimo, sembra voler dire. E ha colto l'eternità: 'Il mondo è una prigione' di Guglielmo Petroni.
Curioso come l'autore voglia determinare i fatti con estrema precisione e voler suggerire 'un cogli l'attimo' come se quello successivo potesse influire sulla memoria. Non si spiegherebbe l'affanno di Petroni di determinare la nascita di questo piccolo e straordinario libro.
Dice nella post-fazione dopo che su alcuni testi e articoli di giornale era apparsa la nota che l'anno di ideazione di Il mondo è una prigione fosse il 1949: Ma esiste una data privata del libro, lo dico perché mi piace, ed anche per altre ragioni: il manoscritto fu il mio regalo di nozze alla Puci. Ci sposammo il 20 settembre del 1945, perciò questa è la sua data.
Dunque un libro nato pochi mesi dopo la fine della guerra e soprattutto dopo la fuga fortunosa di Petroni dai nazi-fascisti e dal carcere romano di Regina Coeli.
Ma la storia non parte dal suo arresto, avvenuto a Roma per via della sua intensa attività partigiana, ma dal suo tentativo di tornare nella sua città di origine, Lucca, attraverso mille peripezie e nell'indigenza più assoluta, per ritrovare un senso delle cose e del mondo. Dovrà fare i conti addirittura con una nuova idea di libertà e del suo contraltare: ... io sentivo ingigantire nel mio cuore il fastidio di tornare tra gli uomini; sentivo una fortissima attrazione per i giorni trascorsi nelle luride celle delle prigioni che avevo conosciuto in quelle poche settimane che parevano anni.
Dunque la prigione, la libertà, non sono vera prigione, vera libertà? E' forse il mondo stesso una prigione? Siam forse noi stessi la nostra prigione, oppure è soltanto in noi, la nostra libertà?
Basterebbero queste righe per ridicolizzare chi s'impasta ogni giorno della parola libertà, uccidendola continuamente lungo il cammino, o chi addirittura c'intitola un ponderoso romanzo raccontando il nulla (Libertà di Jonathan Franzen).
Torniamo a noi. La vicenda del libro inizia dunque con la fuga di Petroni da Roma e il suo arrivo in una Lucca irriconoscibile (struggente la visita al manicomio della città e la rappresentazione di un'umanità delirante a causa della guerra: Uno di essi si avventò contro di noi, gridando: "Figli di cani!". Minacciandoci con odio preciso, senza sottintesi, capii che egli aveva seguito fino in fondo una delle esperienze umane più dolorose, aveva sentito che il mondo può essere fatto tutto di nemici, ed aveva accettato d'essere nemico dei suoi simili fino alle estreme conseguenze). Ma poi si ritorna all'elemento potremmo dire perturbante: il suo arresto. E la sua peripezia, nell'enumerazione di luoghi tristi come fossero stazioni della Via Crucis, cristologica: casermetta dei militi forestali, prigione del commissariato della via Flaminia, caserma Mussolini, l'angosciosa e tremenda Via Tasso e infine Regina Coeli, terzo braccio, cella 333.
La bellezza dolorosa di questo libro sta nell'assoluta sovrapposizione tra la netta sensazione dell'umiliazione dell'uomo con l'amore per lo stesso. E i personaggi che man mano fanno 'compagnia' a Petroni nelle varie celle sembrano, senz'alcuna eccezione nonostante atteggiamenti diversi ed anche isterici, un'estensione dell'autore.
Il mondo è una prigione, per la sua naturale esposizione e per la sua rarefatta incisività, può essere accostato tranquillamente a quell'altro monumento letterario del nostro dopoguerra: 16 ottobre 1943, di Giacomo Debenedetti, che raccontava l'infame retata nazista nel Ghetto di Roma. Valgono per il primo le stesse parole che Natalia Ginzburg regalò al secondo: 'breve e splendido'.
Breve perché nell'arco di poche pagine, poco più di cento, si assiste al calvario di un uomo che non ha mai rinunciato ad esserlo: anzi, nei momenti più vicini alla morte confessa più volte a se stesso una tranquillità tutta laica che ha del prodigioso. Splendido perché è un libro privo di sovrastrutture: diretto come può esserlo un pensiero improvviso e lancinante.
L'esperienza che Petroni ci racconta gli vale il triplo: sentenzia sulla sua vita, sul senso della libertà e del suo esatto contrario ed ovviamente sulla guerra. Chiedendosi con tono drammatico ma inevitabile se anche questa, nonostante si possa e si debba pensare il contrario, possa servire a qualcosa: Ecco, la mia vita che avevo sempre creduta di rivolta solo a me stesso, che avevo creduto di sentir evolversi intima e solitaria quasi in ogni suo atto, aveva un significato che la legava alla vita degli altri; la mia intima e particolare ribellione era la protesta sempre ricacciata da un mondo ostile, che aveva trovato una via quando le sofferenze comuni, i disastri morali erano usciti dal particolare dei nostri cuori, per identificarsi con molti. La guerra era dunque necessaria?
Bello spunto di riflessione, no?
L'edizione da noi considerata è:
Guglielmo Petroni
Il mondo è una prigione
Oscar Mondadori - 1974
Dice nella post-fazione dopo che su alcuni testi e articoli di giornale era apparsa la nota che l'anno di ideazione di Il mondo è una prigione fosse il 1949: Ma esiste una data privata del libro, lo dico perché mi piace, ed anche per altre ragioni: il manoscritto fu il mio regalo di nozze alla Puci. Ci sposammo il 20 settembre del 1945, perciò questa è la sua data.
Dunque un libro nato pochi mesi dopo la fine della guerra e soprattutto dopo la fuga fortunosa di Petroni dai nazi-fascisti e dal carcere romano di Regina Coeli.
Ma la storia non parte dal suo arresto, avvenuto a Roma per via della sua intensa attività partigiana, ma dal suo tentativo di tornare nella sua città di origine, Lucca, attraverso mille peripezie e nell'indigenza più assoluta, per ritrovare un senso delle cose e del mondo. Dovrà fare i conti addirittura con una nuova idea di libertà e del suo contraltare: ... io sentivo ingigantire nel mio cuore il fastidio di tornare tra gli uomini; sentivo una fortissima attrazione per i giorni trascorsi nelle luride celle delle prigioni che avevo conosciuto in quelle poche settimane che parevano anni.
Dunque la prigione, la libertà, non sono vera prigione, vera libertà? E' forse il mondo stesso una prigione? Siam forse noi stessi la nostra prigione, oppure è soltanto in noi, la nostra libertà?
Basterebbero queste righe per ridicolizzare chi s'impasta ogni giorno della parola libertà, uccidendola continuamente lungo il cammino, o chi addirittura c'intitola un ponderoso romanzo raccontando il nulla (Libertà di Jonathan Franzen).
Torniamo a noi. La vicenda del libro inizia dunque con la fuga di Petroni da Roma e il suo arrivo in una Lucca irriconoscibile (struggente la visita al manicomio della città e la rappresentazione di un'umanità delirante a causa della guerra: Uno di essi si avventò contro di noi, gridando: "Figli di cani!". Minacciandoci con odio preciso, senza sottintesi, capii che egli aveva seguito fino in fondo una delle esperienze umane più dolorose, aveva sentito che il mondo può essere fatto tutto di nemici, ed aveva accettato d'essere nemico dei suoi simili fino alle estreme conseguenze). Ma poi si ritorna all'elemento potremmo dire perturbante: il suo arresto. E la sua peripezia, nell'enumerazione di luoghi tristi come fossero stazioni della Via Crucis, cristologica: casermetta dei militi forestali, prigione del commissariato della via Flaminia, caserma Mussolini, l'angosciosa e tremenda Via Tasso e infine Regina Coeli, terzo braccio, cella 333.
La bellezza dolorosa di questo libro sta nell'assoluta sovrapposizione tra la netta sensazione dell'umiliazione dell'uomo con l'amore per lo stesso. E i personaggi che man mano fanno 'compagnia' a Petroni nelle varie celle sembrano, senz'alcuna eccezione nonostante atteggiamenti diversi ed anche isterici, un'estensione dell'autore.
Il mondo è una prigione, per la sua naturale esposizione e per la sua rarefatta incisività, può essere accostato tranquillamente a quell'altro monumento letterario del nostro dopoguerra: 16 ottobre 1943, di Giacomo Debenedetti, che raccontava l'infame retata nazista nel Ghetto di Roma. Valgono per il primo le stesse parole che Natalia Ginzburg regalò al secondo: 'breve e splendido'.
Breve perché nell'arco di poche pagine, poco più di cento, si assiste al calvario di un uomo che non ha mai rinunciato ad esserlo: anzi, nei momenti più vicini alla morte confessa più volte a se stesso una tranquillità tutta laica che ha del prodigioso. Splendido perché è un libro privo di sovrastrutture: diretto come può esserlo un pensiero improvviso e lancinante.
L'esperienza che Petroni ci racconta gli vale il triplo: sentenzia sulla sua vita, sul senso della libertà e del suo esatto contrario ed ovviamente sulla guerra. Chiedendosi con tono drammatico ma inevitabile se anche questa, nonostante si possa e si debba pensare il contrario, possa servire a qualcosa: Ecco, la mia vita che avevo sempre creduta di rivolta solo a me stesso, che avevo creduto di sentir evolversi intima e solitaria quasi in ogni suo atto, aveva un significato che la legava alla vita degli altri; la mia intima e particolare ribellione era la protesta sempre ricacciata da un mondo ostile, che aveva trovato una via quando le sofferenze comuni, i disastri morali erano usciti dal particolare dei nostri cuori, per identificarsi con molti. La guerra era dunque necessaria?
Bello spunto di riflessione, no?
L'edizione da noi considerata è:
Guglielmo Petroni
Il mondo è una prigione
Oscar Mondadori - 1974
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