RECENSIONI
Christa Wolf
Con uno sguardo diverso
Edizioni e/o, Pag. 153 Euro 15,00
Christa Wolf è un'appassionata oltrechè attenta studiosa, della mitologia greca e, in essa, della natura umana nelle sue esternazioni più naturali. Nelle sue opere i personaggi sono sempre figure archetipiche, stereotipi che possono assurgere a modello di rappresentazione di un male comune, perlopiù interiore, che non lascia scampo o di un comportamento sociale strettamente connesso alla vita di ciascuno di noi e alla sua natura duplice e dicotomica. Come lei stessa dice "conosco fin troppo bene la sensazione di stare con le spalle al muro, stretta fra false alternative, nella condizione di chi può prendere solo decisioni sbagliate": una condizione tristemente umana, che mette alla prova e costringe al confronto con i demoni interiori.
Nel caso dell'autrice il gap di partenza è l'etnia, quella di un popolo che in nome di una presunta superiorità ha compiuto una delle peggiori nefandezze della storia. Ed è questo un assunto di base inespugnabile, una griglia metodologica che tiene prigioniero il personaggio Christa Wolf anche nei più banali rapporti interpersonali. Quando durante una gita nel deserto una delle partecipanti descrive la giovinezza senza i genitori non scampati ai lager, quando in un racconto che è un po' riflessione linguistica, su quella langue che forma il codice di un idioma e attraverso il quale si significa l'esperienza, viene sferzata dalla consapevolezza di non meritare che "alcuni immigrati ebrei di diverse nazionalità per farmi piacere conversavano in tedesco".
Anche se i racconti che compongono questa antologia sono diversi per stile, ritmo e costruzione, un alter ego, o forse meglio, un dopplerganger dell'autrice, allarga le maglie del testo e si insinua prepotentemente nel tessuto narrativo: che si venga trasportati nella coscienza annebbiata di una donna che subisce un'operazione sotto anestesia, che ci si interroghi sulla nascita dell'azzurro (domanda di nerudiana memoria), o che si assista a un contrito signor Wolf che aspetta ospiti e immagina un menù che faccia al caso, l'impianto fortemente autobiografico e introspettivo è sempre evidente. Christa Wolf getta così un faro di luce che più che rischiarare la personalità di una singola donna, la propone come un esemplare da studiare con meticolosità da entomologo. Come se attraverso sè stessa l'autrice cercasse di dar conto di una serie di emozioni che possono apparire comuni o quantomeno condivisibili. Che le punga vaghezza di fare un servizio fotografico come una star poi non troppo a proprio agio o si cali dall'inizio (forse però non dovrei iniziare ogni volta con l'inizio, cioè comportarmi come se non conoscessi la fine) all'interno della storia d'amore di una vita, il passo maestoso della scrittrice rieccheggia alle nostre spalle, fa capolino dietro la pagina che stiamo per girare e ci mostra il bello e il brutto, la debolezza e la maestosità di un'esistenza. La sua o un'altra quasi non fa più differenza.
L'artificio utilizzato per trasportarci di volta in volta nelle più disparate situazioni della quotidianità è proprio il linguaggio, nel suo complesso intrecciarsi di significati e significanti, nel suo mutare adattivamente a seconda delle situazioni, nel suo farsi corpo di riflessioni scaturite dal caso o nel suo adattarsi con stringente precisione a considerazioni di carattere più generale. La Wolf sa bene, perchè col linguaggio si confronta per mestiere e su di esso riflette ogni giorno, quanto la lingua possa essere un rifugio, quanto a volte sia scudo che giustifica omissioni e sbagli. E ci apre gli occhi, anche attraverso la puntuali traduzioni di Paola Sorge, Anita Raja e Monica Pesetti, sull'interpretazione differente cui una stessa parola può dare adito, sulla sua capacità di immedesimarci esattamente in quello che la persona che fronteggiamo vorrebbe avere davanti, quindi sugli artifici cui ricorre la natura umana per celare le proprie mancanze. E attraverso la scrittura ci/si smaschera.
di Enrica Murru
Nel caso dell'autrice il gap di partenza è l'etnia, quella di un popolo che in nome di una presunta superiorità ha compiuto una delle peggiori nefandezze della storia. Ed è questo un assunto di base inespugnabile, una griglia metodologica che tiene prigioniero il personaggio Christa Wolf anche nei più banali rapporti interpersonali. Quando durante una gita nel deserto una delle partecipanti descrive la giovinezza senza i genitori non scampati ai lager, quando in un racconto che è un po' riflessione linguistica, su quella langue che forma il codice di un idioma e attraverso il quale si significa l'esperienza, viene sferzata dalla consapevolezza di non meritare che "alcuni immigrati ebrei di diverse nazionalità per farmi piacere conversavano in tedesco".
Anche se i racconti che compongono questa antologia sono diversi per stile, ritmo e costruzione, un alter ego, o forse meglio, un dopplerganger dell'autrice, allarga le maglie del testo e si insinua prepotentemente nel tessuto narrativo: che si venga trasportati nella coscienza annebbiata di una donna che subisce un'operazione sotto anestesia, che ci si interroghi sulla nascita dell'azzurro (domanda di nerudiana memoria), o che si assista a un contrito signor Wolf che aspetta ospiti e immagina un menù che faccia al caso, l'impianto fortemente autobiografico e introspettivo è sempre evidente. Christa Wolf getta così un faro di luce che più che rischiarare la personalità di una singola donna, la propone come un esemplare da studiare con meticolosità da entomologo. Come se attraverso sè stessa l'autrice cercasse di dar conto di una serie di emozioni che possono apparire comuni o quantomeno condivisibili. Che le punga vaghezza di fare un servizio fotografico come una star poi non troppo a proprio agio o si cali dall'inizio (forse però non dovrei iniziare ogni volta con l'inizio, cioè comportarmi come se non conoscessi la fine) all'interno della storia d'amore di una vita, il passo maestoso della scrittrice rieccheggia alle nostre spalle, fa capolino dietro la pagina che stiamo per girare e ci mostra il bello e il brutto, la debolezza e la maestosità di un'esistenza. La sua o un'altra quasi non fa più differenza.
L'artificio utilizzato per trasportarci di volta in volta nelle più disparate situazioni della quotidianità è proprio il linguaggio, nel suo complesso intrecciarsi di significati e significanti, nel suo mutare adattivamente a seconda delle situazioni, nel suo farsi corpo di riflessioni scaturite dal caso o nel suo adattarsi con stringente precisione a considerazioni di carattere più generale. La Wolf sa bene, perchè col linguaggio si confronta per mestiere e su di esso riflette ogni giorno, quanto la lingua possa essere un rifugio, quanto a volte sia scudo che giustifica omissioni e sbagli. E ci apre gli occhi, anche attraverso la puntuali traduzioni di Paola Sorge, Anita Raja e Monica Pesetti, sull'interpretazione differente cui una stessa parola può dare adito, sulla sua capacità di immedesimarci esattamente in quello che la persona che fronteggiamo vorrebbe avere davanti, quindi sugli artifici cui ricorre la natura umana per celare le proprie mancanze. E attraverso la scrittura ci/si smaschera.
di Enrica Murru
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