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ATTUALITA'

Alfredo Ronci

Crisi dell'antifascismo e fallimento di una generazione?

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Aveva ragione Sergio Luzzatto, nel suo La crisi dell'antifascismo (Einaudi), a temere la scomparsa di un modo di vedere e pensare le cose. E nello stesso tempo ad augurare alla nostra democrazia di garantire una fedeltà profonda alle idee della Resistenza ed un'indiscussa adesione ai valori della Repubblica. Ma paventava (anzi indicava) la nascita di una terza via, un terzismo meno nobile e all'acqua di rose, perfettamente equidistante sia dal fascismo, sia dal comunismo, che alla fine tende a relativizzare gli assunti dal punto di vista storico e morale. Sotto la specie infamante del comunismo si è cominciato a rubricare di tutto (...) si è brandita la definizione di Resistenza quale guerra civile come una clava per dare sulla testa degli ingenui che ancora pensavano di poter trovare nella vicenda resistenziale qualcosa di nobile, di edificante, di esemplare (pag.36).

Credo che il grido di dolore, dai più inascoltato, di Luzzatto derivi da un'oggettiva compartecipazione ad una disillusione di fondo che trova, in alcuni esponenti, quelli più "anziani", una consapevolezza addirittura di fallimento generazionale.

E' quello che si evince dalla lettura di Maestri e infedeli. Ritratti del Novecento (1) di Corrado Stajano. Per carità, onde evitare fraintendimenti, il libro in questione non è un resoconto su ciò che è stata la Resistenza, su come è stata vissuta dai protagonisti e quale esempio può essere per le future generazioni. E' un libro che vuole innanzi tutto definire ciò che il titolo intende: Perché Maestri ed infedeli? Perché sono stati maestri eminenti nei loro saperi e sono stati infedeli rispetto al tempo storico in cui hanno vissuto, anomali, disubbidienti, non conformisti, ribelli, eretici sottoregimi che spesso hanno rovinato la loro giovinezza e la loro vita, come il fascismo,e poi il conflitto con una democrazia incompiuta, carente di giustizia, tentando di correggerne i mali. Pag. 9.

Ma dalle interviste che Stajano ha fatto ai grandi del nostro paese traspare, purtroppo, qualcosa di più: quella che chiamavo, poche righe fa, compartecipazione ad una disillusione di fondo ed in più una verità oggettiva e addirittura insindacabile, quella di aver verificato l'effettiva continuità ideologica tra il fascismo e la repubblica che si è radicata successivamente.

Riporto alcune, esaustive, dichiarazioni. Ferruccio Parri: Voi DC, per governare il Paese, vi siete serviti della classe dirigente fascista, con una scrematura epurazionale insufficiente, che non è penetrata in profondita, ha tolto solo di mezzo qualcuno dei più violenti. Voi avete dato espressione politica e partitica a questa gente. Li avete legittimati e naturalmente ne avete sentito il pese, un peso conservatore e anche reazionario, con una mentalità sagomata da vent'anni di fascismo, pericolosa soprattutto fra i professori universitari, i magistrati, i burocrati. Pag.65.

Nuto Revelli: Guardi,la delusione più grossa della mia vita è che dopola guerra e dopola guerra partigiana, soprattutto, le cose nonsiano cambiate molto, che viviamo in una società sbagliata, che le lezioni tremende subite in queglianni siano servite a poco e niente. Mi sconvolge di rabbia il pensiero che chi ci amministra ricordi a malapena che abbiamo avuto un 8 settembre 1943. Pag.69.

Riccardo Lombardi: Il fenomenopreoccupante nonsono i fascisti con la camicia nera, ma la mentalità fascista radicata in certi gangli dello stato (...) Nel '60 c'è una ripresa democratica e arriva Tambroni; nel '64, con la legge urbanistica, arriva De Lorenzo; e nel '69, con le conquiste sindacali, scoppiano le bombe di Milano (Pag.88).

Gillo Pontecorvo: Ecco a cosa è servita la Resistenza, oltre alle ragioni morali e politiche. E' servita e serve per stroncare, con il suo spirito e con la sua forza, le velleità reazionarie di oggi. Pag.140).

Carlo Dionisotti: ...ma la nuova Italia non è stata l'Italia di Parri e la Resistenza, ma l'Italia rifatta dalla vecchia generazione, da De Gasperi, da Einaudi da gente che non aveva avutomolto a che fare con la lotta diliberazione, e da un partito, la DC, che non aveva complicità dirette col fascismo, ma indirette sì, attraverso la Chiesa. E' stato un fallimento di generazione, il nostro. Pag.290.

I toni sono dunque diversi, da Pontecorvo che crede ancora nella lezione resistenziale a Dionisotti, prostrato da un senso di sconfitta generazionale, ma tutti (dico tutti tra quelli in cui ho colto questo stato d'animo, perché il libro, ricco di sessanta personalità, mostra altri problemi ed affronta tematiche le più disparate) sono concordi nell'aver vissuto in uno stato che si è sempre detto democratico, ma contrassegnato da un post-fascismo tutt'altro che strisciante.

Per carità altre illuminazioni ci sono nel testo di Stajano, a cominciare dal ritratto che l'autore fa di Gadda che, per secchezza ed emozione, nella breve esposizione, ci é sembrato ancora più calzante di quello fatto recentemente da Arbasino, seppure quest'ultimo efficace. O la dichiarazione battagliera (e sacrosanta!) di Norberto Bobbio quando afferma che l'antifascismo o è militante o non è neppure antifascismo. O il rigurgito (beneamato) anticlericale del filosofo Eugenio Garin, che si farebbe luterano pur di colpire i preti, o il senso religioso dell'esistenza di Mario Soldati che accetta la morte proprio perché ama la vita.

Ma mi preme sottolineare ancora una cosa: ha di nuovo ragione Luzzatto quando afferma che il valore della Resistenza si affievolisce sempre di più man mano che vengono a mancare i protagonisti di quella intensa stagione politica? Degli autori riportati, negli anni ottanta sono venuti a mancare Parri e Lombardi. Nel 1998 ci ha lasciato Dionisotti. Nel 2004 Nuto Revelli e appena nel 2006 Gillo Pontecorvo.

Ci si chiede dunque in che mano siamo rimasti? Mi permetto ancora di riportare Luzzatto: nel suo già citato La crisi del fascismo, attraverso un vero e proprio decalogo, seppur ridotto a cinque comandamenti, l'autore illustrava i concetti base di quello che definiva "post-fascismo". Tra questi, quello di non nominare il nome del fascismo invano.

Questi sono tempi in cui, al massimo, il leader del partito democratico, ha cercato, durante la campagna elettorale, di non nominare il cognome del suo avversario politico.

Anche da questo bisogna trarre delle conclusioni. Perché poi si sono visti i risultati.



Corrado Stajano

Maestri e infedeli. Ritratti del Novecento

Garzanti 2008

Pag. 376 Euro 20,00





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