ATTUALITA'
Stefano Torossi
Dalla fine del mondo
Neanche un albero; solo erba, vento e spruzzi di mare. E qualche casetta vivacemente colorata. Queste sono per noi le Isola Faroe. Dev’essere uno dei posti più inospitali del pianeta, anche perché si trova nel bel mezzo dell’Atlantico del nord, fra l’Islanda e la Norvegia, alla fine del mondo, insomma.
Il clima lo immaginiamo, a dir poco, tosto. La popolazione si dedica all’allevamento delle pecore e, una volta all’anno, a una cruenta mattanza di piccole balene, i globicefali.
Il WWF disapprova. Il resto dell’umanità se ne infischia.
Insomma, non essendoci mai stati, sospendiamo il giudizio.
Però da lì è arrivato martedì dieci gennaio per manifestarsi al Circolo Scandinavo di Roma il Maestro Kristian Blak, un pianista con la taglia di un boscaiolo del circolo polare e una barba da pescatore di capodogli.
Ora, se le isole Faroe tentiamo di immaginarcele, pur non avendole mai viste, il Circolo Scandinavo invece lo possiamo descrivere nei dettagli, visto che eravamo lì.
L’indirizzo nobile, Via della Lungara, di fronte a Palazzo Corsini, e le finestre che guardano il sontuoso giardino della Villa Farnesina, gioiello del Rinascimento, non riescono a dare neanche un po’ di brio al dimesso appartamento usato come sede per concerti e mostre di artisti svedesi, norvegesi, finlandesi, danesi, islandesi e groenlandesi: scandinavi, insomma; da cui il nome.
Come la star arrivata dal nord a intrattenerci martedì, anche gli ospiti sono massicci, rustici, di assoluta ineleganza. Nelle due salette aperte al pubblico bruciano fiochi stoppini dai quali, e speriamo che non abbia origine invece da qualcuno dei presenti, si innalza un penetrante odore di grasso di tricheco (questa ce la concediamo perché suona pittoresca, alla Melville, ma sospettiamo di essere stati suggestionati dal luogo e dalle persone: in realtà si tratta di candele di più che probabile manifattura romana).
Poltroncine e divanetti con centrini sui braccioli, medaglioni alle pareti, mazzolini di fiori sui tavoli, piastrelle lucide; per completare l’incongruo arredamento da casa della nonna mancano solo le pattine.
C’è invece un pianoforte, davanti al quale (occultandolo a causa della stazza) si piazza il maestro Blak.
Che per prima cosa, e sospettiamo per cameratismo meteorologico, dichiara che neanche dalle sue parti ha mai avuto tanto freddo come a Roma in questi giorni.
La prendiamo come una cordialità, mentre lui va avanti narrandoci la musica naturalistica che suonerà, ispirata alle onde, agli uccelli marini, ai pesci, al vento, con una flemma, una ponderata lentezza di parola, una quantità di pause così estenuanti, che per un attimo abbiamo avuto voglia di balzare in piedi e offrire all’uditorio un’interpretazione personale del famoso “Urlo” (nell’originale, un onomatopeico “Skrik”) di Munch.
Tutti gli altri tranquilli, mentre l’afrore di tricheco si spandeva nell’aere (stessa rischiosa e probabilmente infondata suggestione di prima).
Poi, bisogna ammetterlo, una volta attivatosi, il maestro scandinavo diventa improvvisamente un burlone mediterraneo scodellandoci parecchi bei temi piacevolmente orecchiabili e illustrandoli con magistrali imitazioni di suoni di bestie e fenomeni naturali, da lui stesso prodotti senza farsene accorgere, mentre a testa china smanetta sui tasti.
Squittii, muggiti, bramiti, miagolii, pigolii, chiocciolii, friniti, sibili, bubolii, zirli, sbuffi, tonfi e sciacquii.
Uno spasso.
Purtroppo seguito da un’altra sessione di spiegazioni al rallentatore, perfetta per raffreddare l’atmosfera: non sia mai che si rida troppo. Saremo anche a Roma, ma comunque veniamo da lassù, dalla fine del mondo!
E così via, fino al momento in cui, non resistendo ai ritmi della serata, abbiamo tagliato la corda e rinunciato a saggiare la consistenza del probabile rinfresco.
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