CLASSICI
Alfredo Ronci
E se le tirate non avessero senso? 'Lo sproloquio' di Giancarlo Marmori.
Anche questa è materia da maneggiare con cura.
Singolare destino quello del romanzo di Marmori. Fu pubblicato prima in Francia, anche perché l'autore dal 1951 viveva a Parigi e collaborando con quotidiani e settimanali italiani: e la critica transalpina ne apprezzò l'aspetto inusuale e antirealista (quanto fu osteggiato il realismo, il neo e quella parte consistente di letterati e letteratura che per un verso diventò una sorta di muro da abbattere con ogni mezzo!).
Lo sproloquio si fa gioco della trama e della stessa forma del romanzo e si porta dietro un fottio di padri putativi (il teatro dell'assurdo di Beckett e di Jonesco, l'alienazione kafkiana, persino l'esoterismo dantesco): sufficiente per incanalarlo in un discorso già fatto, ma che lo priva di una personale necessità liberatoria.
Lo sproloquio inteso come parola inopportuna: cioè l'autore avvia un dialogo tra i protagonisti della vicenda, da una parte Max e dall'altro Paradiso, che sembra inconsistente e fluttuante, imbarazzante nella sua imprecisione (imbarazzanti possono anche essere le reazioni quando uno parla e l'altro reagisce: ... La linea è brusca? Per che rabbia, allora? Per che decisione? Max aprì la bocca e lasciò uscire una flatulenza. Uscì con un rombo così secco e fu tanto maleodorante che Paradiso torse la bocca per il disgusto). Ma pur sempre stracci di dialogo per tentare quantomeno un approccio con la realtà.
Lo sproloquio è sostanzialmente diviso in due parte: la prima ritrae i due personaggi che vagabondano in una notte fredda e grigia e in una 'geografia' che non è specificata, ma che il lettore in parte intuisce perché c'è un porto, c'è un fiume e ci sono i gabbiani come presenza fissa.
La seconda parte, più nichilista ad un attimo dal catastrofismo, avviene prima nell'abitazione-biblioteca di Paradiso e poi sul suo canotto che tenta di attraversare il fiume e che diventa l'antefatto della tragedia finale.
Si diceva: libro che fa strame della vicenda e della forma romanzo (uscì nel 1963 e collocabile dunque per tempi e per sostanza nel fenomeno rivoluzionario del Gruppo '63) per porsi interrogativi sulle alienazioni contemporanee e soprattutto sull'incomunicabilità.
Qualcuno in vena di finezze parlò di 'satira menippea' degli anni sessanta(!) intesa come combinazione organica di dialogo filosofico, di sublime simbolismo, di fantasia avventurosa e di naturalismo sordido.
Gli elementi ci sono tutti a cominciare dal dialogo filosofico, essendo l'autore laureato in filosofia e frequentatore del pensiero contemporaneo e impregnato del pessimismo kirkegaardiano: per non parlare del simbolismo, espresso soprattutto nella seconda parte, dove la casa-biblioteca, ridotta ormai ad una sorta di magazzino di libri attaccati in continuazione dai gabbiani, sembra essere quasi la rappresentazione visiva del disfacimento della cultura e dei suoi addentellati. O la fantasia avventurosa: sì perché la notte nebbiosa e fredda in cui si agitano i protagonisti sembra presa 'para' da un'indagine notturna di Holmes e Watson (nella sua accezione oggettiva, non certo di contenuto), o le peripezie fluviali dei due quando perdono il controllo del canotto sembrano un corredo immaginoso di uno scrittore alla ricerca di effetto e di emozioni più spicce.
Si confessava all'inizio, a proposito de Lo sproloquio, di materia incandescente, da prendere cum grano salis. E nello stesso tempo vi è il rischio che appiccicargli delle etichette e dei riferimenti (davvero ognuno può trovarvi il suo in queste scarse, e di 'corpo' sostanzioso, cento paginette) sia troppo cerebrale e quindi inessenziale.
Certo è che la lettura, in quella ora e mezza necessaria, ci lascia sospesi: capiamo l'urgenza di definire non solo il linguaggio (è necessario aggiungere che la rapidità della vicenda è perché l'autore non spreca una parola di troppo?), ma anche la nuova sostanza che sembra emergere necessaria (la rivoluzione della letteratura e della forma romanzo?), ma davvero l'avventura notturna di Max e Paradiso hanno il sapore dell'incontro con il sublime inutile.
Ma erano anni speranzosi e convulsi (perché favolosi? Mah, mistero) e pieni di intenti generosi e genuini. Marmori tentò dunque di rivendicare una sua partecipazione al 'nuovo', all'impellente obbligatorietà del 'nuovo'.
Qualcosa è rimasto, nonostante tutto.
Lo sproloquio, uscito nella collana 'le comete' di Feltrinelli nel 1963, accanto ai nomi di Sanguineti, di Balestrini e dell'altro 'contestatore' Francesco Leonetti, testimoniava allora una realtà (epperò) 'altra'. Con cui fare i conti.
L'edizione da noi considerata è:
Giancarlo Marmori
Lo sproloquio
Le comete Feltrinelli – 1963 prima edizione
Singolare destino quello del romanzo di Marmori. Fu pubblicato prima in Francia, anche perché l'autore dal 1951 viveva a Parigi e collaborando con quotidiani e settimanali italiani: e la critica transalpina ne apprezzò l'aspetto inusuale e antirealista (quanto fu osteggiato il realismo, il neo e quella parte consistente di letterati e letteratura che per un verso diventò una sorta di muro da abbattere con ogni mezzo!).
Lo sproloquio si fa gioco della trama e della stessa forma del romanzo e si porta dietro un fottio di padri putativi (il teatro dell'assurdo di Beckett e di Jonesco, l'alienazione kafkiana, persino l'esoterismo dantesco): sufficiente per incanalarlo in un discorso già fatto, ma che lo priva di una personale necessità liberatoria.
Lo sproloquio inteso come parola inopportuna: cioè l'autore avvia un dialogo tra i protagonisti della vicenda, da una parte Max e dall'altro Paradiso, che sembra inconsistente e fluttuante, imbarazzante nella sua imprecisione (imbarazzanti possono anche essere le reazioni quando uno parla e l'altro reagisce: ... La linea è brusca? Per che rabbia, allora? Per che decisione? Max aprì la bocca e lasciò uscire una flatulenza. Uscì con un rombo così secco e fu tanto maleodorante che Paradiso torse la bocca per il disgusto). Ma pur sempre stracci di dialogo per tentare quantomeno un approccio con la realtà.
Lo sproloquio è sostanzialmente diviso in due parte: la prima ritrae i due personaggi che vagabondano in una notte fredda e grigia e in una 'geografia' che non è specificata, ma che il lettore in parte intuisce perché c'è un porto, c'è un fiume e ci sono i gabbiani come presenza fissa.
La seconda parte, più nichilista ad un attimo dal catastrofismo, avviene prima nell'abitazione-biblioteca di Paradiso e poi sul suo canotto che tenta di attraversare il fiume e che diventa l'antefatto della tragedia finale.
Si diceva: libro che fa strame della vicenda e della forma romanzo (uscì nel 1963 e collocabile dunque per tempi e per sostanza nel fenomeno rivoluzionario del Gruppo '63) per porsi interrogativi sulle alienazioni contemporanee e soprattutto sull'incomunicabilità.
Qualcuno in vena di finezze parlò di 'satira menippea' degli anni sessanta(!) intesa come combinazione organica di dialogo filosofico, di sublime simbolismo, di fantasia avventurosa e di naturalismo sordido.
Gli elementi ci sono tutti a cominciare dal dialogo filosofico, essendo l'autore laureato in filosofia e frequentatore del pensiero contemporaneo e impregnato del pessimismo kirkegaardiano: per non parlare del simbolismo, espresso soprattutto nella seconda parte, dove la casa-biblioteca, ridotta ormai ad una sorta di magazzino di libri attaccati in continuazione dai gabbiani, sembra essere quasi la rappresentazione visiva del disfacimento della cultura e dei suoi addentellati. O la fantasia avventurosa: sì perché la notte nebbiosa e fredda in cui si agitano i protagonisti sembra presa 'para' da un'indagine notturna di Holmes e Watson (nella sua accezione oggettiva, non certo di contenuto), o le peripezie fluviali dei due quando perdono il controllo del canotto sembrano un corredo immaginoso di uno scrittore alla ricerca di effetto e di emozioni più spicce.
Si confessava all'inizio, a proposito de Lo sproloquio, di materia incandescente, da prendere cum grano salis. E nello stesso tempo vi è il rischio che appiccicargli delle etichette e dei riferimenti (davvero ognuno può trovarvi il suo in queste scarse, e di 'corpo' sostanzioso, cento paginette) sia troppo cerebrale e quindi inessenziale.
Certo è che la lettura, in quella ora e mezza necessaria, ci lascia sospesi: capiamo l'urgenza di definire non solo il linguaggio (è necessario aggiungere che la rapidità della vicenda è perché l'autore non spreca una parola di troppo?), ma anche la nuova sostanza che sembra emergere necessaria (la rivoluzione della letteratura e della forma romanzo?), ma davvero l'avventura notturna di Max e Paradiso hanno il sapore dell'incontro con il sublime inutile.
Ma erano anni speranzosi e convulsi (perché favolosi? Mah, mistero) e pieni di intenti generosi e genuini. Marmori tentò dunque di rivendicare una sua partecipazione al 'nuovo', all'impellente obbligatorietà del 'nuovo'.
Qualcosa è rimasto, nonostante tutto.
Lo sproloquio, uscito nella collana 'le comete' di Feltrinelli nel 1963, accanto ai nomi di Sanguineti, di Balestrini e dell'altro 'contestatore' Francesco Leonetti, testimoniava allora una realtà (epperò) 'altra'. Con cui fare i conti.
L'edizione da noi considerata è:
Giancarlo Marmori
Lo sproloquio
Le comete Feltrinelli – 1963 prima edizione
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