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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Emanuele Trevi

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E' vero che le prime nozioni di chimica e marxismo te le ha date zia Vera Brodolini? Nel caso, ci dici come andò – infanzia compresa?



Di chimica certamente, più che di marxismo però di socialismo. Mio zio, che non ho mai conosciuto, giacomo brodolini, è stato il grande artefice dello statuto dei lavoratori. Era un socialismo molto pre-craxiano, ovviamente. La mia infanzia non è stata tutta rose e fiori, ma non vedo cosa c'entra mia zia, una donna davvero simpatica, anche se so che i suoi alunni a scuola la detestavano.



Come si usa il lupo?



Beh, se ve lo dico, a che scopo leggere il libro ?



Di recente, hai pubblicato un libro su Roma. Ce ne sveli gestazione e retroscena?



In realtà, quando la laterza mi ha commissionato un libro su Roma, il primitivo progetto si è andato modificando quasi da sé, perché sentivo l'esigenza di parlare del mio amico Pietro Tripodo, grande poeta e uomo del tutto incapace a vivere. Dopo la sua morte, Pietro mi è mancato molto, e non sono il solo dei suoi amici ad aver fatto qualcosa per ricordarlo. E abbiamo tutti agito all'insaputa l'uno dell'altro, ognuno con i mezzi e le idee che aveva. E' una cosa strana e bella.



Che c'entri tu con lo tsunami?



Lo tsunami è una mia ossessione, quindi c'entro molto. Non è solo

un'immagine di terrore, però.



Questo "Invasioni controllate", come nasce? Perché il titolo?



Il titolo l'ha inventato Chiara, la mia ragazza, leggendo una versione provvisoria. Lei è geniale con i titoli, ha inventato anche Senza verso. Il libro nasce essenzialmente dal desiderio di capire cosa ha fatto mio padre nella vita, chi è stato.



"Chiudendo la porta a quella parte inconscia, oscura, innominabile, Jekyll ottiene solo che essa se ne vada in giro come un mostro incontrollabile" - che è Hyde. Questo ricorda suo padre Mario, psicanalista junghiano. Da qualche tempo si starnazza "bisogna dire ai bambini che i mostri esistono". Ci trovi (Emanuele, trova) un collegamento?



Non avendo figli, non ho la minima idea di cosa si dice ai bambini. Io propenderei per una versione più mitigata, del tipo che i mostri potrebbero" esistere, ma forse no, dipende...i bambini imparano ben presto tutto il male e il bene della vita, senza bisogno di adulti moralisti tra le palle. Almeno questa è stata la mia esperienza.



A proposito di liberarsi dalla famiglia. Non sarebbe meglio nascere orfani (kibbutzim, magari) - e, da scrittori, postumi, come si dice oggidì?



In effetti, la famiglia non è una bella cosa. Però ha un senso dire che sarebbe meglio non nascere e basta, una volta nati non importa più molto. Quanto allo scrittore postumo, posso solo dire che quello che ho scritto regolarmente si allontana da me, quindi almeno per analogia posso condividere la metafora.



L'analista si mette in cammino verso l'altro. E il letterato, verso il linguaggio?



Quando Heidegger usa questa formula, parlando della poesia di Trakl, essa ha un senso perché esprime proprio la sua esperienza di filosofo in quel momento della sua vita. Ma che senso ha ripetere a pappagallo la formula di Heidegger, senza tutte le sue premesse? Tanto vale dire che il letterato è in cammino verso il cesso.



L'analisi si occupa dell'indicibile, dell'innominabile. La letteratura nel senso più vasto, quand'è buona ("Il manifesto del partito comunista", i "Tropici", "Lolita", "Un soffio al cuore", Calvino e Fenoglio sulla Resistenza, "Accattone","Il paese dei celestini", "Dalla parte delle bambine", "Porci con le ali") non contribuisce a far dire ciò di cui si dovrebbe tacere? Dunque, non decongestiona la psiche umana?



Non ho mai avuto un'idea precisa degli scopi della letteratura, né mia né altrui. Certo, a me piace ogni tanto dire cose che possono risultare imbarazzanti, ma non è quello il mio interesse principale. La presenza di un certo margine di indicibile è qualcosa che fa parte della percezione che qualunque scrittore ha del linguaggio. Ma il linguaggio non è, credo, l'esatto contrario dell'indicibile. Nn determinate condizioni, come quelle che si sviluppano nel discorso poetico (inteso in senso largo e comprensivo anche di certa prosa) il linguaggio semmai mi sembra il custode, il nascondiglio dell'indicibile.



Dei nomi: Giosetta Fioroni, Tommaso Pincio, Tommaso Giartosio, Mario Fortunato.



Che devo dire ? li conosco tutti e quattro, a vari gradi di stima ed amicizia. Giartosio lo conosco fin da bambino.



Dei cognomi: Sereni, Gozzano, Proust, fra' Michele Minorita - e almeno altri due che ti senti di citare.



Non riesco a scorgere nessun legame tra questi cognomi, mi dispiace. Ma cos'è, una specie di gioco?



Da critico: la letteratura e la critica italiane, di che salute godono?



Non è che leggo abbastanza da giudicare. Non per snobismo: è che proprio non ho tempo, leggo i libri che mi servono per i lavori che faccio e poco altro, non leggo mai per svago, o per curiosità, mi fa troppa fatica. Quando ero più giovane ero più informato. Mi piace la poesia, la seguo molto. Potrà anche essere in un cattivo stato di salute, ma non direi che in Francia o in Inghilterra va meglio, allora. Insomma, i grandi scrittori sono sempre stati pochissimi. E poi, di queste cose epocali non mi interesso più.



Dopo i quaranta, il critico non dovrebbe occuparsi di avanguardie, ma dei poeti elisabettiani. Lo dice - più o meno - Eco. Che ne pensi?



Credo che Eco sappia bene che anche i poeti elisabettiani erano una specie di avanguardia. Semmai, dopo i quaranta, il critico deve accettare la penuria delle cose davvero supreme, che per essere tali sono poche, e difficili da comprendere.





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