ATTUALITA'
Stefano Torossi
Emozioni e marmi antichi
Santa Maria in Monterone
E’ una minuscola chiesetta costruita fra l’anno mille e il millecento. Una chiesa nata povera: lo si capisce dalle colonne di scavo mezze scheggiate e malridotte, con capitelli diversi uno dall’altro. Insomma, messa insieme con quello che si trovava sottoterra nelle vicinanze, dopo che il meglio se l’erano portato via i più ricchi, o i più prepotenti.
Poi, verso fine seicento hanno rifatto la facciata (non sappiamo com’era in origine) e ci hanno costruito vicino il convento dei Redentoristi; il tutto in uno stile tra il barocchetto e il rococò, veramente carino ed elegante.
Se l’esterno è carino ed elegante, l’interno è rimasto austero e raccolto proprio per la dimensione intima e per la sua semplice povertà, che ci parla da sotto i pochi ornamenti barocchi.
Sull’altar maggiore una grande madonna di Pompeo Batoni, e alla sua sinistra un bello scheletrone seduto sul feretro, che regge un tondo con il ritratto del cardinal Durazzo, qui sepolto.
In questo ambiente serio ma non cupo; intimo ma non troppo chiesastico; povero ma non misero è andata in scena, il 13 dicembre, la sacra rappresentazione “Gesù secondo Maria”, con due protagonisti, Maria: Rosa Di Brigida e Giovanni: Francesco d’Ascenzo. Una lettura intensa del bel testo di Rosa Di Brigida, che durante la recita ha servito il pane e il vino del sacrificio agli spettatori dei primi banchi, davanti all’altar maggiore decorato con costumi arcaici.
Sorpresa! A un certo punto avanza dalla balaustra nientemeno che Miranda Martino, la quale canta con la sua splendida voce, intatta malgrado l’età (che non diciamo trattandosi di una signora) i testi di Di Brigida e di Pasolini sulla linea melodica di famosissime canzoni napoletane (“O sole mio”, “Era di maggio”…). Un effetto sorprendente e commovente, anche per l’accostamento del tutto inaspettato, ma per niente incongruo.
Dove si dimostra che, a prescindere dall’epoca e dalla geografia, se due cose sono belle stanno comunque bene insieme: Napoli e Nazareth; Gesù e Pasolini.
Come ha sottolineato a gran voce il disinvoltissimo parroco, don Ricci, il quale nei ringraziamenti dall’altare ha osato accostare la propria età (novant’anni) a quella della Martino. “Noi coetanei” ha detto.
Miranda si è giustamente risentita.
Marmi romani antichi
Questa sorprendente foto in bianco e nero, in realtà a colori, è una magnifica antica lastra di marmo romano (i veri colori sono appunto il nero del fondo e il bianco delle venature).
Tutto comincia il 9 dicembre con la presentazione del Manuale dei Marmi Romani Antichi di Francesco Crocenzi nello spazio delle Edizioni Gangemi.
Superato con eroica pazienza l’ostacolo impervio della chiacchierata introduttiva del marmista esperto, prof. Lorenzo Lazzarini che ha rischiato di ammazzarci con la sua eccessiva durata, la sua noia gommosa, le sue sonnolente interminabili pause (chissà perché certi argomenti devono capitare fra le mani di implacabili ancorché coltissimi rompiscatole), il libro ci ha provocato un immediato colpo di fulmine. E ce lo siamo fatto regalare per Natale.
E’ un elenco completo, con indispensabili foto a colori, di tutti i tipi di marmi dell’antica Roma (circa ottocentosessanta) salvati dall’ignoranza e dall’avidità degli scavatori medievali, dalle calcare in cui venivano bruciati e dalle distruzioni dei primi cristiani (l’Isis dell’epoca). Recuperati, raccolti nei musei, e riutilizzati in chiese e palazzi della città, in modo da renderli per sempre visibili nei loro eccitanti colori e disegni da chiunque capisca e apprezzi.
Bene, col volume sottobraccio ci siamo concessi, il pomeriggio del 25 una pagana partecipazione alla messa di Natale nella chiesa di S. Maria dell’Anima. Rito nobilitato dall’orchestra e coro diretti dal Kapellmeister Flavio Colusso. Kapellmeister perché la chiesa è quella ufficiale dei tedeschi di Roma, ed è, ahimé, anche l’unica della città in cui si può ascoltare della buona musica invece degli squallidi coretti delle suorine con le chitarrine, accompagnate dai chierichetti coi bonghetti.
La chiesa è, come abbiamo raccontato tante volte, splendidamente restaurata, illuminata da perfette luci teatrali e impeccabilmente lustrata fino alla lapide più piccola, leggibile anche nei suoi caratteri minuscoli (pare che, finito il lavoro di pulizia delle suore, il parroco, un imponente barbuto monsignorone, si aggiri nottetempo passando il dito sulle cornici più alte per vedere se c’è ancora polvere, proprio come farebbe una perfetta padrona di casa).
Che piacere identificare i tanti tipi di marmo presenti, ricordare che sono tutti di recupero dai monumenti romani, fatto incontestabile perché all’epoca della costruzione della chiesa, delle cave originali si era persa completamente la traccia, immaginare quanto abbondanti dovevano essere questi marmi nell’epoca imperiale, tanto da poterci arredare, malgrado secoli di razzie, le duecento chiese di Roma, più tutti i suoi palazzi.
E soprattutto la felice caratteristica naturale del marmo: la sua indistruttibilità. Duemila anni dopo, le lastre di numidicum, phrygium, hierapoliticum sono ancora lì con i loro vivi colori. Mentre chissà quanti splendidi tessuti, quadri, mobili della stessa epoca sono scomparsi rosicchiati dai tarli o semplicemente polverizzati dal tempo.
Va bene, lo ammettiamo, la nostra è proprio una fissazione, ma che piacere…
E’ una minuscola chiesetta costruita fra l’anno mille e il millecento. Una chiesa nata povera: lo si capisce dalle colonne di scavo mezze scheggiate e malridotte, con capitelli diversi uno dall’altro. Insomma, messa insieme con quello che si trovava sottoterra nelle vicinanze, dopo che il meglio se l’erano portato via i più ricchi, o i più prepotenti.
Poi, verso fine seicento hanno rifatto la facciata (non sappiamo com’era in origine) e ci hanno costruito vicino il convento dei Redentoristi; il tutto in uno stile tra il barocchetto e il rococò, veramente carino ed elegante.
Se l’esterno è carino ed elegante, l’interno è rimasto austero e raccolto proprio per la dimensione intima e per la sua semplice povertà, che ci parla da sotto i pochi ornamenti barocchi.
Sull’altar maggiore una grande madonna di Pompeo Batoni, e alla sua sinistra un bello scheletrone seduto sul feretro, che regge un tondo con il ritratto del cardinal Durazzo, qui sepolto.
In questo ambiente serio ma non cupo; intimo ma non troppo chiesastico; povero ma non misero è andata in scena, il 13 dicembre, la sacra rappresentazione “Gesù secondo Maria”, con due protagonisti, Maria: Rosa Di Brigida e Giovanni: Francesco d’Ascenzo. Una lettura intensa del bel testo di Rosa Di Brigida, che durante la recita ha servito il pane e il vino del sacrificio agli spettatori dei primi banchi, davanti all’altar maggiore decorato con costumi arcaici.
Sorpresa! A un certo punto avanza dalla balaustra nientemeno che Miranda Martino, la quale canta con la sua splendida voce, intatta malgrado l’età (che non diciamo trattandosi di una signora) i testi di Di Brigida e di Pasolini sulla linea melodica di famosissime canzoni napoletane (“O sole mio”, “Era di maggio”…). Un effetto sorprendente e commovente, anche per l’accostamento del tutto inaspettato, ma per niente incongruo.
Dove si dimostra che, a prescindere dall’epoca e dalla geografia, se due cose sono belle stanno comunque bene insieme: Napoli e Nazareth; Gesù e Pasolini.
Come ha sottolineato a gran voce il disinvoltissimo parroco, don Ricci, il quale nei ringraziamenti dall’altare ha osato accostare la propria età (novant’anni) a quella della Martino. “Noi coetanei” ha detto.
Miranda si è giustamente risentita.
Marmi romani antichi
Questa sorprendente foto in bianco e nero, in realtà a colori, è una magnifica antica lastra di marmo romano (i veri colori sono appunto il nero del fondo e il bianco delle venature).
Tutto comincia il 9 dicembre con la presentazione del Manuale dei Marmi Romani Antichi di Francesco Crocenzi nello spazio delle Edizioni Gangemi.
Superato con eroica pazienza l’ostacolo impervio della chiacchierata introduttiva del marmista esperto, prof. Lorenzo Lazzarini che ha rischiato di ammazzarci con la sua eccessiva durata, la sua noia gommosa, le sue sonnolente interminabili pause (chissà perché certi argomenti devono capitare fra le mani di implacabili ancorché coltissimi rompiscatole), il libro ci ha provocato un immediato colpo di fulmine. E ce lo siamo fatto regalare per Natale.
E’ un elenco completo, con indispensabili foto a colori, di tutti i tipi di marmi dell’antica Roma (circa ottocentosessanta) salvati dall’ignoranza e dall’avidità degli scavatori medievali, dalle calcare in cui venivano bruciati e dalle distruzioni dei primi cristiani (l’Isis dell’epoca). Recuperati, raccolti nei musei, e riutilizzati in chiese e palazzi della città, in modo da renderli per sempre visibili nei loro eccitanti colori e disegni da chiunque capisca e apprezzi.
Bene, col volume sottobraccio ci siamo concessi, il pomeriggio del 25 una pagana partecipazione alla messa di Natale nella chiesa di S. Maria dell’Anima. Rito nobilitato dall’orchestra e coro diretti dal Kapellmeister Flavio Colusso. Kapellmeister perché la chiesa è quella ufficiale dei tedeschi di Roma, ed è, ahimé, anche l’unica della città in cui si può ascoltare della buona musica invece degli squallidi coretti delle suorine con le chitarrine, accompagnate dai chierichetti coi bonghetti.
La chiesa è, come abbiamo raccontato tante volte, splendidamente restaurata, illuminata da perfette luci teatrali e impeccabilmente lustrata fino alla lapide più piccola, leggibile anche nei suoi caratteri minuscoli (pare che, finito il lavoro di pulizia delle suore, il parroco, un imponente barbuto monsignorone, si aggiri nottetempo passando il dito sulle cornici più alte per vedere se c’è ancora polvere, proprio come farebbe una perfetta padrona di casa).
Che piacere identificare i tanti tipi di marmo presenti, ricordare che sono tutti di recupero dai monumenti romani, fatto incontestabile perché all’epoca della costruzione della chiesa, delle cave originali si era persa completamente la traccia, immaginare quanto abbondanti dovevano essere questi marmi nell’epoca imperiale, tanto da poterci arredare, malgrado secoli di razzie, le duecento chiese di Roma, più tutti i suoi palazzi.
E soprattutto la felice caratteristica naturale del marmo: la sua indistruttibilità. Duemila anni dopo, le lastre di numidicum, phrygium, hierapoliticum sono ancora lì con i loro vivi colori. Mentre chissà quanti splendidi tessuti, quadri, mobili della stessa epoca sono scomparsi rosicchiati dai tarli o semplicemente polverizzati dal tempo.
Va bene, lo ammettiamo, la nostra è proprio una fissazione, ma che piacere…
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