ATTUALITA'
Michele Lupo
Flavio Santi, con 'Aspetta primavera, Lucky' ha vinto la prima edizione del premio letterario 'Il Paradiso degli orchi'.
Santi e gli operai-intellettuali (*)
Piccolo romanzo sarcastico, livoroso, arrabbiato (ma che sa far ridere): Aspetta primavera, Lucky (Edizioni Socrates, 2011) di Flavio Santi, è la messa in scena impudica di un io che non ce la fa più, di cui si può dire con ragionevole certezza che si è rotto i maroni di sopravvivere a stento, di essere trattato come l'ultimo dei fessi in un paese, il nostro, che disprezza profondamente la cultura dichiarandolo con le parole e i fatti.
Un uomo di talento, per giunta uno scrittore capace (il che è un aggravante), uno che ha studiato e magari conosce le lingue ormai da noi equivale a un idiota: questo, il protagonista del romanzo Aspetta primavera, Lucky, lo sa e lo dice, Fulvio Santi lo ripete anche a se stesso ma non ha intenzione di accettarlo di buon grado. Non sa bene come difendersi, non dispone dei mezzi materiali, appunto, vive con ottocento euro al mese, sa che le occasioni sono pochissime, e in fondo lo stesso Pasolini, non lo avessero incastrato subito in Friuli con due ragazzetti, magari non sarebbe mai fuggito, magari si sarebbe accontentato di diventare un ottimo insegnante preso a pedate dalle istituzioni (ora siamo alla minaccia di licenziamenti di massa) e avrebbe dismesso ambizioni e creatività.
Pensiamo che lo scrittore, traduttore, tuttofare culturale qui non ha nemmeno la certezza di uno stipendiuccio miserevole e avremo il quadro di una sconfitta amarissima, di cui forse nemmeno cogliamo sino in fondo il possibile portato tragico nei prossimi anni. Più che Pasolini allora, è Bianciardi, il furente, incazzoso e fin troppo lucido Bianciardi, l'esempio paradossale cui guardare, paradossale perché la malasorte è quasi accarezzata come un destino inevitabile, che si può soltanto blandire, per non farsi male ancora di più.
Personaggio che si barcamena fra pasta al tonno, aerosol lievemente lisergici e due donne; e non si decide, indulge al proprio tempo lasco, partecipa di una generazione che non ce la fa, operaio- intellettuale che però non ha la forza di mutare la propria condizione (non è una malattia individuale ma appartiene a un'epoca: la generazione del narratore peraltro non sembra la più combattiva della storia, si affida al caso - dipende dal luogo in cui si nasce, dalle conoscenze che si acquisiscono).
Già autore di romanzi, racconti e raccolte di poesie l'alter ego dell'autore Flavio Santi (con il quale ha molto in comune) – un Biancardi d'oggi che non può permettersi di essere licenziato per scarso rendimento dalla Feltrinelli di turno, perché ora non sarebbe nemmeno assunto, stiamo a un passo dalla povertà vera e la rabbia è senza sbocchi – il narratore protagonista di Aspetta primavera, Lucky è uno stuntman della cultura, campa essenzialmente di traduzioni, un vero massacro anche perché spesso gli tocca lavorare con libri brutti, più altre fugaci occupazioni di tipo culturale. Tutto quello che fa, lo fa per poco o niente: il rodimento non è uno stato d'animo temporaneo ma la condizione ontologica in cui rischia di finire la vita precaria di un giovane intellettuale oggi in un paese in cui gli scrittori brand se la passano invece benissimo perché la loro poetica coincide con la stessa disumanizzante berlusconizzazione in cui conta solo il prodotto-merce.
Non tutto gira a mestiere, le cogitazioni ironiche su 'Beatiful' o la lettera al triste Veltroni sono un po' scontate, né particolarmente avvincenti sono le scene di sesso, mentre sono più efficaci gli approcci e le situazioni a margine. Per il resto, il paese è raccontato per quello è: un posto di paraculi, di corrotti, dove le università ormai sono delle barzellette, le scuole di scrittura tutte uguali, l'ambiente letterario sembra persino peggiore degli altri; ivi spesso si utilizzano slogan di battaglie ideali per opportunismo personale contraddicendo nei comportamenti la parole d'ordine di cui ci si ammanta. L'invidia, bontà sua, segna per gran parte la vita del narratore, ma vivaddio l'ammette – di essa soffrono tutti ma pochi lo confessano. Continuando di questo passo – e non per colpa del narratore e di quelli come lui – l'odio sociale potrebbe essere dietro l'angolo.
Flavio Santi (1973) vive in campagna alle porte di Pavia. Alterna l'attività di traduttore (Balzac, Celan, Gifford, Kelman, Stone, Smith ecc.) a quella di libero docente universitario. È autore di libri di poesia, tra cui Rimis te sachete (Marsilio, 2001), Il ragazzo X (Ed. Atelier, 2004), dei romanzi Diario di bordo della rosa (PeQuod, 1999) e L'eterna notte dei Bosconero (Rizzoli, 2006), della raccolta di racconti La guerra civile in Italia (Sartorio, 2008). Suoi racconti, romanzi e poesie sono tradotti in numerose lingue.
(*) per gentile concessione de 'Il recensore.com'
Piccolo romanzo sarcastico, livoroso, arrabbiato (ma che sa far ridere): Aspetta primavera, Lucky (Edizioni Socrates, 2011) di Flavio Santi, è la messa in scena impudica di un io che non ce la fa più, di cui si può dire con ragionevole certezza che si è rotto i maroni di sopravvivere a stento, di essere trattato come l'ultimo dei fessi in un paese, il nostro, che disprezza profondamente la cultura dichiarandolo con le parole e i fatti.
Un uomo di talento, per giunta uno scrittore capace (il che è un aggravante), uno che ha studiato e magari conosce le lingue ormai da noi equivale a un idiota: questo, il protagonista del romanzo Aspetta primavera, Lucky, lo sa e lo dice, Fulvio Santi lo ripete anche a se stesso ma non ha intenzione di accettarlo di buon grado. Non sa bene come difendersi, non dispone dei mezzi materiali, appunto, vive con ottocento euro al mese, sa che le occasioni sono pochissime, e in fondo lo stesso Pasolini, non lo avessero incastrato subito in Friuli con due ragazzetti, magari non sarebbe mai fuggito, magari si sarebbe accontentato di diventare un ottimo insegnante preso a pedate dalle istituzioni (ora siamo alla minaccia di licenziamenti di massa) e avrebbe dismesso ambizioni e creatività.
Pensiamo che lo scrittore, traduttore, tuttofare culturale qui non ha nemmeno la certezza di uno stipendiuccio miserevole e avremo il quadro di una sconfitta amarissima, di cui forse nemmeno cogliamo sino in fondo il possibile portato tragico nei prossimi anni. Più che Pasolini allora, è Bianciardi, il furente, incazzoso e fin troppo lucido Bianciardi, l'esempio paradossale cui guardare, paradossale perché la malasorte è quasi accarezzata come un destino inevitabile, che si può soltanto blandire, per non farsi male ancora di più.
Personaggio che si barcamena fra pasta al tonno, aerosol lievemente lisergici e due donne; e non si decide, indulge al proprio tempo lasco, partecipa di una generazione che non ce la fa, operaio- intellettuale che però non ha la forza di mutare la propria condizione (non è una malattia individuale ma appartiene a un'epoca: la generazione del narratore peraltro non sembra la più combattiva della storia, si affida al caso - dipende dal luogo in cui si nasce, dalle conoscenze che si acquisiscono).
Già autore di romanzi, racconti e raccolte di poesie l'alter ego dell'autore Flavio Santi (con il quale ha molto in comune) – un Biancardi d'oggi che non può permettersi di essere licenziato per scarso rendimento dalla Feltrinelli di turno, perché ora non sarebbe nemmeno assunto, stiamo a un passo dalla povertà vera e la rabbia è senza sbocchi – il narratore protagonista di Aspetta primavera, Lucky è uno stuntman della cultura, campa essenzialmente di traduzioni, un vero massacro anche perché spesso gli tocca lavorare con libri brutti, più altre fugaci occupazioni di tipo culturale. Tutto quello che fa, lo fa per poco o niente: il rodimento non è uno stato d'animo temporaneo ma la condizione ontologica in cui rischia di finire la vita precaria di un giovane intellettuale oggi in un paese in cui gli scrittori brand se la passano invece benissimo perché la loro poetica coincide con la stessa disumanizzante berlusconizzazione in cui conta solo il prodotto-merce.
Non tutto gira a mestiere, le cogitazioni ironiche su 'Beatiful' o la lettera al triste Veltroni sono un po' scontate, né particolarmente avvincenti sono le scene di sesso, mentre sono più efficaci gli approcci e le situazioni a margine. Per il resto, il paese è raccontato per quello è: un posto di paraculi, di corrotti, dove le università ormai sono delle barzellette, le scuole di scrittura tutte uguali, l'ambiente letterario sembra persino peggiore degli altri; ivi spesso si utilizzano slogan di battaglie ideali per opportunismo personale contraddicendo nei comportamenti la parole d'ordine di cui ci si ammanta. L'invidia, bontà sua, segna per gran parte la vita del narratore, ma vivaddio l'ammette – di essa soffrono tutti ma pochi lo confessano. Continuando di questo passo – e non per colpa del narratore e di quelli come lui – l'odio sociale potrebbe essere dietro l'angolo.
Flavio Santi (1973) vive in campagna alle porte di Pavia. Alterna l'attività di traduttore (Balzac, Celan, Gifford, Kelman, Stone, Smith ecc.) a quella di libero docente universitario. È autore di libri di poesia, tra cui Rimis te sachete (Marsilio, 2001), Il ragazzo X (Ed. Atelier, 2004), dei romanzi Diario di bordo della rosa (PeQuod, 1999) e L'eterna notte dei Bosconero (Rizzoli, 2006), della raccolta di racconti La guerra civile in Italia (Sartorio, 2008). Suoi racconti, romanzi e poesie sono tradotti in numerose lingue.
(*) per gentile concessione de 'Il recensore.com'
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