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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Franco Bolelli

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Ho sempre conosciuto Franco Bolelli come l'uomo dai giudizi "tranchant". Nel libro ce ne sono a iosa, ma per semplificare ne riporto tre: 1)Strawberry Fields Forever è in assoluto la più grande canzone dei Beatles. 2)La canzone forse più emblematica dei Red Hot Chili Peppers si chiama Californication (miglio titolo di ogni epoca, non c'è storia). 3)No, non è che così sto giustificando Brecht, che rimane un mentecatto. Al di là dei contesti in cui sono stati scritti, c'ho sempre l'impressione che sia la tecnica del cane che azzanna per non essere bastonato.



Ho una relazione forte con il mondo, mi nutro di certezze assolute, e quanto alle affermazioni definitive e perentorie posso farne un migliaio anche a proposito di questioni più sostanziali. Però sono certezze che riguardano solo me e non chiedo certo agli altri di condividerle. Se azzanno è con allegria. Credo talmente tanto alle mie certezze che mi permetto di giocarci e di farci giocare gli altri.



Mi sta bene che "Cartesio non balla" perché molte teorie e ideologie e filosofie che vengono considerate assolute, come dici tu, sono nate e cresciute nel mezzo di una terrificante povertà di informazioni, di stimoli e di conoscenze. Ma perché condannare il moralismo pasoliniano? Forse perché, e cito proprio il PierPaolo il comportamento coatto del potere dei consumi ricrea e deforma la coscienza del popolo italiano? Ma lì forse perché la deformazione della società era dovuta al potere democristiano.



Pasolini è stato quanto di meno pop si possa immaginare. Non ne nego la nobiltà nè l'importanza storica, ma la sua è stata una visione tutta rivolta all'indietro, tutta presa da quello che si perde, laddove a me interessa quello che si conquista nell'evoluzione.



Cito dal libro: Di quale etica stiamo parlando? (...) Quella che sottomette i singoli essere umani al disegno della giusta causa e vuole decidere per gli altri e stabilire regole e limiti e divieti? Quella che vuole convertire, educare, curare, prescrivere, redimere? Nel libro non usi mai la parola anarchia, ma ci siamo quasi no?



Ho paura delle parole ideologiche. Semplicemente, credo nella più assoluta libertà di scelta, e nella responsabilità personale. Però non mi nascondo che per tanti scegliere e prendersi responsabilità è la cosa più difficile.



Tu dici che ogni forma di cultura e di pensiero dove la mente è separata dal corpo è priva di energia, quasi malata. Addirittura riscontri i segni di una patologia. Di sicuro un appunto che non ti giungerà nuovo, visto che poni Nietzsche in cima alla tua scala di valori: ma non è che così facendo, al di là dello straordinario talento di Michael Jordan, si rischia di teorizzare una nazistificazione del corpo? Torniamo dunque alle immagini muscolari dell'"Olimpia" di Reni Reifenstahl?



Credo alla vitalità del corpo, alla sua saggezza. Mi appassionano la performance fisica, l'azione energetica, la sensualità della vita, il progetto biologico. Ma tutto questo non è superumano, è assolutamente umano. Attivare l'energia che c'è nel nostro organismo mi sembra la cosa più naturale del mondo. Credo che queste cose ognuno debba farle a suo modo, non per corrispondere a un ideale perfezione. La mia battaglia contro la cultura separata dal corpo nasce dalla constatazione che siamo ancora troppo condizionati da una cultura intellettuale e da una cultura spirituale che hanno per secoli posto il corpo sul gradino più basso: è un micidiale errore antropologico da cui liberarci.



Cito di nuovo: La storia è davvero quella che stai facendo, adesso, qui, in movimento, in divenire. Quanto questo concetto è lontano da La Storia siamo noi, nessuno si senta escluso di degregoriana memoria?



Io non parlo della storia storica o sociale: parlo di una storia dell'evoluzione, delle imprese, delle esplorazioni. Parlo della storia di tutto quello che ha allargato i confini, che ha ampliato le possibilità di scelta. Per me questa è la storia del progetto vitale e della sua espansione.



Il tuo entusiasmo per l'assoluta convinzione della superiorità della cultura pop non ti esime però dal constatare, con un pizzico di mestizia, che comunque tutti questi essere umani più creativi, energetici, connessi e in contatto con se stessi sono sempre un'élite. Un po' come quando dalle pagine di "Linus" "insultavi" il popolo delle discoteche perché un disco come "Buy" dei Contortions vendeva in Italia 3000 copie ed era tutto sommato un prodotto commerciale e da pista. La cultura più stimolante appartiene sempre ad una manciata di persone?



Sì. No. L'evoluzione riguarda sempre un'elite. E' inevitabile. L'importante è che si tratti di un'elite che -invece di arroccarsi su su stessa e di diventare ancora più elite- sia spinta dalla voglia di condividere, di ampliare. Quello che è vertiginosamente cambiato negli ultimi anni è che il nuovo mondo tecnocomunicativo ha fornito strumenti straordinari a un numero di umani sempre più vasto. E' sempre di un'elite che si tratta, ma è un'elite in clamorosa espansione. Un tempo era questione di pochi eletti, poi di ristrette avanguardie: ora è un'elite di svariate decine di milioni di umani che comunicano ad altre svariate decine di milioni.



A dieci anni tuo figlio Daniele leggeva Nietzsche e apprezzava le mostre di Jackson Pollock. Giovanissimo è diventato professore universitario a Los Angeles ed il suo libro è tra i favoriti del sito Suicide girls, dove le ragazze si spogliano per pagarsi gli studi universitari. Ma da quale pianeta proviene?



Da un babbo e una mamma che lo hanno fatto -io quando avevo 23 anni, lei 17- con orgoglio, senso di sfida, pienezza vitale. Da quando è nato, lo abbiamo fatto sentire dannatamente importante, e gli abbiamo trasmesso -indissolubilmente connesse- la voglia di prendersi grandi responsabilità e la voglia di giocare. Tutto il resto se l'è fatto da solo, molto meglio di quanto ho fatto io. Per me mio figlio è l'emblema stesso dell'evoluzione.



Parlando di letteratura fai un elenco di autori indispensabili per capire dove va il mondo, anzi perché il mondo, contrariamente a quanto si dice in giro, è ricco e stimolante: Palahniuk, Lethem, Gaiman, Lehane, Crais, Connelly, Lansdale. Sbaglio o son tutti americani? Possibile che non ci sia un'alternativa europea?



Lo so, io sono un vero ultrà americano. D'altra parte, è da lì che da almeno cent'anni vengono tutte le innovazioni, tutte le esperienze più creative e vitali. Loro hanno il senso dello spazio, il senso della frontiera. Chiaro che al mondo ci sono altre cose di qualità (ce ne sono anche qui da noi): però sono convinto che il metabolismo della cultura americana è quello più sostanzioso e inventivo.



Citi nel libro il filosofo Severino che parla della ricerca scientifica che risveglia la potenza e rende possibile la sua crescita... mostra che non possono esistere limiti inviolabili: le leggi divine né ordinamenti e fondamenti immutabili del mondo. Ma io in questo vedo il contraltare: lo strapotere delle multinazionali farmacologiche, la balla mostruosa dell'Aids, gli esperimenti impazziti della nuova genetica.



L'evoluzione si afferma con un mucchio di perdite, di pericoli, di effetti collaterali. E' come canta Lorenzo: "mi fido di te/ cosa sei disposto a perdere". Io mi fido dell'evoluzione e sono disposto ad accettarne le perdite e i pericoli. Chiaro che ogni avanzamento, ogni sperimentazione, richiede i suoi contrappesi, le sue attenzioni verso chi rimane sul lato sbagliato dell'evoluzione.



Ti chiedi perché dall'epoca romantica il mondo non ha più prodotto eroi e te la prendi con Brecht che disse: beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Ma non è perché forse ci sono state in mezzo due grandi guerre e l'eroe non esisteva non per mancanza di coraggio e carattere - come diresti tu - ma per il rigetto di una condizione che ti obbligava ad essere eroe a tutti i costi per salvare la pelle?



Storicamente hai ragione tu, nessun dubbio. Forse sbaglio a usare la parola eroi. Quello che voglio dire è che abbiamo bisogno di un respiro epico e mitologico, in chiave pop, dunque sorridente. E abbiamo bisogno di nutrire la nostra esistenza, i progetti, le relazioni, le nostre scelte quotidiane, di coraggio e di senso dell'impresa.





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