DE FALSU CREDITU
Rinaldo Incampo
Gli amici gay di Mastella
Editoria sommersa, Pag. 187 Euro 14,50
Il titolo, ironicamente, prende spunto dalla consuetudine dell'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella di rispondere alla domanda sul perché sia contrario al riconoscimento delle coppie di fatto con la frase: perché sono cattolico, ma io ho molti amici gay.
Non ci sorprende dunque che una singola dichiarazione, seppur con la "tara" della coazione a ripetere, possa essere uno spunto per costruirci sopra una storia di avventure giovanili, di tormenti esistenziali, di trapassi generazionali, di vere e proprie depressioni cliniche.
Ed il romanzo in questione, con un ritmo a volte serrato ed incandescente, "polito" nella sua scansione ossessivamente dialoghistica, si presta ad essere riversato in pellicola sulla scia, ma con un "aplomb" diverso e più corposo, di film post-puberali e di cassetta.
E non sarebbe il primo caso: pensiamo al successo del film All'inseguimento delle pere verdi, che parodiando nel titolo un vecchio movie dell'allor giovane Michael Douglas, (che a sua volta parodiava le avventure di Indiana Jones), in realtà affrontava, con risvolti anche drammatici ed inaspettati, ma pur sempre giovanilistici, il problema della tossicodipendenza nelle aree metropolitane più difficili e problematiche.
Gli amici gay di Mastella – geniale non c'è che dire nell'attualizzazione qualificante – narra la vicenda di Antonio e Cristo (eh sì, il poveraccio porta sulle spalle un'onomastica provocazione, tra sacro e profano, tra cultuale e impudica irreligiosità), coppia gay, che, dopo molte vicissitudine – il primo ha perso tutto, la famiglia, la casa e il lavoro e nel tentativo di provare sollievo dai dolori della vita attua una sorta di autoflagellazione fisica come misera consolazione e balsamo, il secondo invece, conscio di una "diversità" non solo di fatto, ma anche nominativa, tenta la carta, fallendo, della protesta politica scontrandosi contro un mondo insensibile e destrorso – riesce a trovare un equilibrio esistenziale ed affettivo, ma fin troppo rigido nell'imitazione pedissequa e acritica del modello eterosessuale.
Lo scontro torna duro quando Antonio, provato dall'eccessiva istituzionalizzazione dei sentimenti, in un impeto improvviso e distruttivo (perfetta, in questo caso, la coerenza caratteriale del personaggio e la caratura che ad esso dà l'Incampo) si lascia andare ad una sorta di rivisitazione pasoliniana di sessualità mercenaria e plurima (chi può dimenticare l'episodio di Petrolio in cui lo scrittore, sul far della sera nei pratoni del casilino, inanella una serie di oralità prezzolate e di misurazioni diversificate pur di soddisfare una bramosia incontrollata, ma sterile?).
Non raccontiamo il finale, bello, ma poco istruttivo se vogliamo (e a questo punto se film sarà, ci chiediamo come possa superare gli ostacoli di una moralità censurante); ci basta segnalare che narrativamente il registro regge alla perfezione e che nelle ultime pagine, un "cameo" dell'ex ministro di Giustizia corona, con una circolarità coerente, il senso dell'operazione tutta.
Non ci sorprende dunque che una singola dichiarazione, seppur con la "tara" della coazione a ripetere, possa essere uno spunto per costruirci sopra una storia di avventure giovanili, di tormenti esistenziali, di trapassi generazionali, di vere e proprie depressioni cliniche.
Ed il romanzo in questione, con un ritmo a volte serrato ed incandescente, "polito" nella sua scansione ossessivamente dialoghistica, si presta ad essere riversato in pellicola sulla scia, ma con un "aplomb" diverso e più corposo, di film post-puberali e di cassetta.
E non sarebbe il primo caso: pensiamo al successo del film All'inseguimento delle pere verdi, che parodiando nel titolo un vecchio movie dell'allor giovane Michael Douglas, (che a sua volta parodiava le avventure di Indiana Jones), in realtà affrontava, con risvolti anche drammatici ed inaspettati, ma pur sempre giovanilistici, il problema della tossicodipendenza nelle aree metropolitane più difficili e problematiche.
Gli amici gay di Mastella – geniale non c'è che dire nell'attualizzazione qualificante – narra la vicenda di Antonio e Cristo (eh sì, il poveraccio porta sulle spalle un'onomastica provocazione, tra sacro e profano, tra cultuale e impudica irreligiosità), coppia gay, che, dopo molte vicissitudine – il primo ha perso tutto, la famiglia, la casa e il lavoro e nel tentativo di provare sollievo dai dolori della vita attua una sorta di autoflagellazione fisica come misera consolazione e balsamo, il secondo invece, conscio di una "diversità" non solo di fatto, ma anche nominativa, tenta la carta, fallendo, della protesta politica scontrandosi contro un mondo insensibile e destrorso – riesce a trovare un equilibrio esistenziale ed affettivo, ma fin troppo rigido nell'imitazione pedissequa e acritica del modello eterosessuale.
Lo scontro torna duro quando Antonio, provato dall'eccessiva istituzionalizzazione dei sentimenti, in un impeto improvviso e distruttivo (perfetta, in questo caso, la coerenza caratteriale del personaggio e la caratura che ad esso dà l'Incampo) si lascia andare ad una sorta di rivisitazione pasoliniana di sessualità mercenaria e plurima (chi può dimenticare l'episodio di Petrolio in cui lo scrittore, sul far della sera nei pratoni del casilino, inanella una serie di oralità prezzolate e di misurazioni diversificate pur di soddisfare una bramosia incontrollata, ma sterile?).
Non raccontiamo il finale, bello, ma poco istruttivo se vogliamo (e a questo punto se film sarà, ci chiediamo come possa superare gli ostacoli di una moralità censurante); ci basta segnalare che narrativamente il registro regge alla perfezione e che nelle ultime pagine, un "cameo" dell'ex ministro di Giustizia corona, con una circolarità coerente, il senso dell'operazione tutta.
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