CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
I migliori album del 2010
1 – Gown. Jo Hamilton
Gown, questo il titolo dell'album d'esordio di quest'artista scozzese, è una meraviglia. Undici brani assolutamente coerenti e spiazzanti. Jo Hamilton è un angelo, un Jeff Buckley al femminile. L'artista che rivoluzionerà (forse lo ha già fatto) il concetto di rock al femminile e forse pure al maschile. La sua musica sprizza misticismo pagano da ogni nota. Sentitela, scaricatela, compratela. Ma fatelo. L'album dell'anno senza ombra di dubbio.
2 – There is love in you. Four Tet
Echi d'angelo profusi a volontà. Beat incalzanti in cui si incastrano leggeri tocchi dance.
Kiern Hiebden (dj olandese) in arte Four Tet reinventa per l'ennesima volta la musica elettronica, la riconfonde, la riaggiusta, la sistema su basi standard e poi improvvisamente le fa prendere una direzione diversa, un volo pindarico nuovo, un pizzico folk che poi lancia verso le stelle; un corpo senza gravità che si rotola beato nella spirale del non tempo. Sublime.
3 – High Violet. The National
Lanciata al grande pubblico da quella straordinaria etichetta discografica che risponde al nome di Beggar's Banquet con cui hanno pubblicato i due precedenti album, i National hanno realizzato undici struggenti pezzi di rock cupo e melanconico, un indie-rock dal sapore leggermente e delicatamente maudit senza mai, e questa è un'impresa, fare il verso ai grandi del genere. Importante.
4 – Rock, dust, light, star. Jamiro Quai
Sarà che quando l'ascolto mi sento sempre in vacanza. Al mare, in spiaggia, in luoghi bellissimi e incontaminati. Sarà che la carica energetica che riescono a infondere i suoi ritmi funky (qualcuno direbbe acid jazz) sono ancora inimitabili (e inimitati). Così, anche per questo settimo album in studio di Jason K in arte Jamiroquai, mi ritrovo a parlare di un gioiellino, un disco che rimarrà un classico della sua produzione e del genere.
5 – Olympia. Bryan Ferry
Accattivante, per niente banale, tutto il già sentito dei Roxy Music e del primo Bryan Ferry sono reinventati in questo caleidoscopico lavoro di maquillage sonoro. A quattro anni di distanza, questo straordinario e poliedrico musicista inglese ritorna con il tredicesimo album in studio e non ha deluso. Anzi, ha sorpreso per la sua verve creativa e ammaliante. Da puro dandy, immortale e bello come i vampiri che vanno tanto di moda di questi tempi.
6 – Interpol. Interpol
In realtà volevano suonare come in Turn on the bright light, il loro primo album, ma non è che ci siano riusciti appieno, per fortuna aggiungo. E dirò pure una cosa, sono diversi, sì, sufficientemente diversi dai primi ma, forse, migliori, perché non suonano più come uno scimmiottamento, seppure grandioso, dei Joy Division (di tutti i simulacri usciti nell'ultimo decennio loro erano i più spudorati, bisogna ammetterlo).
7 – Surfing the void. Klaxons
Sono carini. Giocano a fare gli intrippati con l'esoterismo. Il loro space rock (trip rock si potrebbe dire) è godereccio, adeguatamente con echi anni'80. Fanno ballare, divertire, pensare. Sbalordiscono con effetti molto speciali (vedere il video di Twin Flames per credere). Soprattutto non sono un bluff e dopo l'esordio folgorante del primo album hanno retto l'urto del secondo. Volete mettere.
8 – El Nus. Didac Rocher
Prendete un cantautore catalano. Fatelo cantare in catalano. Fategli strimpellare delle ballate folk acustiche venate di rock elettronico. A un tratto, vi accorgete che vi ricorda qualcuno. Vi basta un secondo per capire. Vi basta l'attacco del pezzo iniziale di questo splendido album e rimanete sbalorditi. La voce è come quella di Fabrizio De Andrè. La cosa stupefacente è che la lingua catalana è terribilmente simile, almeno nella fonia, al genovese di Creuza De Ma. Sorprendente.
9 - Plastic Beach. Gorillaz
Chissà perché stavolta se n'è uscito con le spiagge di plastica. Musica per pirati svogliati. Strane figure esotiche che si aggirano su lidi rottamosi. Un universo di pellicani con berretti di lana, gabbiani che gridano in lontananza. L'album è allegro e alcuni brani svettano. E' un continuo giocare fra elettronica, dance e black. Giocoso.
10 – Heligoland. Massive Attack
L'attesa intorno al ritorno di Del Naja e Marshall era tanta, febbrile, in realtà ci stavamo spazientendo. Il risultato è, ai primi ascolti, soddisfacente. C'è tutto quello che ci si aspettava, sicuramente c'è qualcosa in meno. Se ci sarà qualcosa in più sarà il tempo a dirlo. Due o tre perle delle loro, poi normale amministrazione. Delusi? In questo caso vanno premiate le buone intenzioni.
Gown, questo il titolo dell'album d'esordio di quest'artista scozzese, è una meraviglia. Undici brani assolutamente coerenti e spiazzanti. Jo Hamilton è un angelo, un Jeff Buckley al femminile. L'artista che rivoluzionerà (forse lo ha già fatto) il concetto di rock al femminile e forse pure al maschile. La sua musica sprizza misticismo pagano da ogni nota. Sentitela, scaricatela, compratela. Ma fatelo. L'album dell'anno senza ombra di dubbio.
2 – There is love in you. Four Tet
Echi d'angelo profusi a volontà. Beat incalzanti in cui si incastrano leggeri tocchi dance.
Kiern Hiebden (dj olandese) in arte Four Tet reinventa per l'ennesima volta la musica elettronica, la riconfonde, la riaggiusta, la sistema su basi standard e poi improvvisamente le fa prendere una direzione diversa, un volo pindarico nuovo, un pizzico folk che poi lancia verso le stelle; un corpo senza gravità che si rotola beato nella spirale del non tempo. Sublime.
3 – High Violet. The National
Lanciata al grande pubblico da quella straordinaria etichetta discografica che risponde al nome di Beggar's Banquet con cui hanno pubblicato i due precedenti album, i National hanno realizzato undici struggenti pezzi di rock cupo e melanconico, un indie-rock dal sapore leggermente e delicatamente maudit senza mai, e questa è un'impresa, fare il verso ai grandi del genere. Importante.
4 – Rock, dust, light, star. Jamiro Quai
Sarà che quando l'ascolto mi sento sempre in vacanza. Al mare, in spiaggia, in luoghi bellissimi e incontaminati. Sarà che la carica energetica che riescono a infondere i suoi ritmi funky (qualcuno direbbe acid jazz) sono ancora inimitabili (e inimitati). Così, anche per questo settimo album in studio di Jason K in arte Jamiroquai, mi ritrovo a parlare di un gioiellino, un disco che rimarrà un classico della sua produzione e del genere.
5 – Olympia. Bryan Ferry
Accattivante, per niente banale, tutto il già sentito dei Roxy Music e del primo Bryan Ferry sono reinventati in questo caleidoscopico lavoro di maquillage sonoro. A quattro anni di distanza, questo straordinario e poliedrico musicista inglese ritorna con il tredicesimo album in studio e non ha deluso. Anzi, ha sorpreso per la sua verve creativa e ammaliante. Da puro dandy, immortale e bello come i vampiri che vanno tanto di moda di questi tempi.
6 – Interpol. Interpol
In realtà volevano suonare come in Turn on the bright light, il loro primo album, ma non è che ci siano riusciti appieno, per fortuna aggiungo. E dirò pure una cosa, sono diversi, sì, sufficientemente diversi dai primi ma, forse, migliori, perché non suonano più come uno scimmiottamento, seppure grandioso, dei Joy Division (di tutti i simulacri usciti nell'ultimo decennio loro erano i più spudorati, bisogna ammetterlo).
7 – Surfing the void. Klaxons
Sono carini. Giocano a fare gli intrippati con l'esoterismo. Il loro space rock (trip rock si potrebbe dire) è godereccio, adeguatamente con echi anni'80. Fanno ballare, divertire, pensare. Sbalordiscono con effetti molto speciali (vedere il video di Twin Flames per credere). Soprattutto non sono un bluff e dopo l'esordio folgorante del primo album hanno retto l'urto del secondo. Volete mettere.
8 – El Nus. Didac Rocher
Prendete un cantautore catalano. Fatelo cantare in catalano. Fategli strimpellare delle ballate folk acustiche venate di rock elettronico. A un tratto, vi accorgete che vi ricorda qualcuno. Vi basta un secondo per capire. Vi basta l'attacco del pezzo iniziale di questo splendido album e rimanete sbalorditi. La voce è come quella di Fabrizio De Andrè. La cosa stupefacente è che la lingua catalana è terribilmente simile, almeno nella fonia, al genovese di Creuza De Ma. Sorprendente.
9 - Plastic Beach. Gorillaz
Chissà perché stavolta se n'è uscito con le spiagge di plastica. Musica per pirati svogliati. Strane figure esotiche che si aggirano su lidi rottamosi. Un universo di pellicani con berretti di lana, gabbiani che gridano in lontananza. L'album è allegro e alcuni brani svettano. E' un continuo giocare fra elettronica, dance e black. Giocoso.
10 – Heligoland. Massive Attack
L'attesa intorno al ritorno di Del Naja e Marshall era tanta, febbrile, in realtà ci stavamo spazientendo. Il risultato è, ai primi ascolti, soddisfacente. C'è tutto quello che ci si aspettava, sicuramente c'è qualcosa in meno. Se ci sarà qualcosa in più sarà il tempo a dirlo. Due o tre perle delle loro, poi normale amministrazione. Delusi? In questo caso vanno premiate le buone intenzioni.
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