CLASSICI
Alfredo Ronci
I rumori di una città silenziosa. 'Le voci di Marrakech' di Elias Canetti.
Quando si viaggia si prende tutto come viene, lo sdegno rimane a casa. Si osserva, si ascolta, ci si entusiasma per le cose più atroci solo perché sono nuove. I buoni viaggiatori sono gente senza cuore...
Nel 1954 Elias Canetti, a seguito di una troupe cinematografica, fa un viaggio a Marrakech e, crediamo, tra una pausa e l'altra della decennale elaborazione di Massa e potere (ponderoso saggio che lo stesso autore definì 'l'opera di una vita' e che proprio in questi giorni 'festeggia' i 50 anni della prima edizione)ci racconta le impressioni e le voci di una splendida città chiusa dalle sue mura, realizzando un 'reportage' che, per una volta d'accordo con la quarta di copertina dell'edizione da noi considerata, ha la perfezione e la compattezza dell'istantaneo.
Dunque non opera minore, nemmeno rispetto al suo capolavoro narrativo Auto da fé, ma un compiuto diario di un mondo che proprio in quel momento stava vivendo una fase delicata del proprio processo politico (due anni dopo, nel 1956, al Marocco viene riconosciuta, ad eccezione di alcune terre, l'indipendenza da parte della Spagna e della Francia).
Un mondo fatto di sfaccettature e di convivenze che allo stato attuale sembrano ancor più problematiche: e lo sguardo viene da uno scrittore, da un intellettuale che racchiudeva in sé le stratificazioni culturali di un consesso vissuto assai vario (nato in Bulgaria, da una ricca famiglia ebrea sefardita di Livorno, cresciuto parlando lo spagnolo e anche il tedesco, ben presto dovrà 'convivere' anche con l'inglese dopo il trasferimento del padre a Manchester. Visse parecchi anni in Austria, ma dopo l'annessione del paese al Reich, fuggì a Parigi).
Durante la sosta a Marrakech, coabitando tranquillamente con le sue origini, fa visita al quartiere ebraico della città araba ("E' questa la Berrima," disse "l'intero quartiere ci chiama Berrima". "E qui possono abitarci anche gli ebrei?". "Sì," rispose "lo ha concesso il pascià". "Ce ne sono molti?". "No, gli arabi sono qui in maggioranza. Però ci abitano anche degli ebrei. Non vuole conoscere mia zia? Anche mia nonna abita qui".) e al cimitero, regalandoci l'immagine di un luogo quasi surreale dove sono solo le pietre in terra a distinguere una sacralità da una consuetudine terrena: Niente nella piazza si ergeva in altezza. Le pietre, che si potevano vedere, e le ossa, alle quali si pensava, tutto giaceva supino. Qui camminare in posizione eretta non era piacevole, non c'era niente di cui esser fieri, ci si sentiva soltanto ridicoli.
E poi animali e uomini: come i cammelli del capitolo iniziale che sono destinati al macello ("Si mangia dunque tanta carne di cammello da queste parti?" domandai. Tentavo di mascherare la mia costernazione con domande concrete. "Moltissima" o l'asino scheletrico ('La voglia dell'asino') che viene maltrattato in continuazione che, pur essendo in procinto di schiantare, mostra un improvviso attaccamento alla vita con una gagliarda erezione.
Gli uomini (uomini e donne) sono dignitosi e irreprensibili. Indimenticabile il ritratto del marabutto (secondo gli arabi una sorta di santone) che accetta l'elemosina e, qualunque cosa essa sia, la fa passare attraverso la bocca e la saliva ('La saliva del marabutto'), o quello della donna che bisbiglia frasi incomprensibile da una grata che solo il suggerimento di un bambino fa capire allo scrittore di essere in presenza di persona malata di testa ('La donna della grata').
Di fronte alle contraddizioni e alle violenze di un popolo non del tutto affine, ma non singolare ("Ma lei non sa" rispose lui "che per cinquanta franchi può avere una qualsiasi di quelle bambine? Per una cifra simile tutte indistintamente verrebbero subito con lei dietro l'angolo), Canetti preferisce lasciarsi ammaliare dagli odori e dalle voci di una etnia affascinante e misteriosa. Ecco dunque i resoconti del brulicare dei suk, delle grida dei ciechi (Colui che grida è definito dal suo grido, continuamente ripetuto. Ce lo imprimiamo nella mente, lo conosciamo, ora egli è qui per sempre; è lui, nella sua caratteristica nettamente circoscritta: il suo grido) o della monocorde sillaba diffusa da una sorta di presenza invisibile sotto un misero straccio che emetteva il suo unico suono con uno zelo e una costanza senza pari, lo emetteva per ore e ore fino a quando, nella piazza immensa non restava che quest'unico suono, il suono che sopravviveva a tutti gli altri suoni.
Il Marocco e Marrakech come non lo avete mai 'sentito'.
L'edizione da noi considerata è:
Elias Canetti
Le voci di Marrakech
Gli Adelphi 2009
Nel 1954 Elias Canetti, a seguito di una troupe cinematografica, fa un viaggio a Marrakech e, crediamo, tra una pausa e l'altra della decennale elaborazione di Massa e potere (ponderoso saggio che lo stesso autore definì 'l'opera di una vita' e che proprio in questi giorni 'festeggia' i 50 anni della prima edizione)ci racconta le impressioni e le voci di una splendida città chiusa dalle sue mura, realizzando un 'reportage' che, per una volta d'accordo con la quarta di copertina dell'edizione da noi considerata, ha la perfezione e la compattezza dell'istantaneo.
Dunque non opera minore, nemmeno rispetto al suo capolavoro narrativo Auto da fé, ma un compiuto diario di un mondo che proprio in quel momento stava vivendo una fase delicata del proprio processo politico (due anni dopo, nel 1956, al Marocco viene riconosciuta, ad eccezione di alcune terre, l'indipendenza da parte della Spagna e della Francia).
Un mondo fatto di sfaccettature e di convivenze che allo stato attuale sembrano ancor più problematiche: e lo sguardo viene da uno scrittore, da un intellettuale che racchiudeva in sé le stratificazioni culturali di un consesso vissuto assai vario (nato in Bulgaria, da una ricca famiglia ebrea sefardita di Livorno, cresciuto parlando lo spagnolo e anche il tedesco, ben presto dovrà 'convivere' anche con l'inglese dopo il trasferimento del padre a Manchester. Visse parecchi anni in Austria, ma dopo l'annessione del paese al Reich, fuggì a Parigi).
Durante la sosta a Marrakech, coabitando tranquillamente con le sue origini, fa visita al quartiere ebraico della città araba ("E' questa la Berrima," disse "l'intero quartiere ci chiama Berrima". "E qui possono abitarci anche gli ebrei?". "Sì," rispose "lo ha concesso il pascià". "Ce ne sono molti?". "No, gli arabi sono qui in maggioranza. Però ci abitano anche degli ebrei. Non vuole conoscere mia zia? Anche mia nonna abita qui".) e al cimitero, regalandoci l'immagine di un luogo quasi surreale dove sono solo le pietre in terra a distinguere una sacralità da una consuetudine terrena: Niente nella piazza si ergeva in altezza. Le pietre, che si potevano vedere, e le ossa, alle quali si pensava, tutto giaceva supino. Qui camminare in posizione eretta non era piacevole, non c'era niente di cui esser fieri, ci si sentiva soltanto ridicoli.
E poi animali e uomini: come i cammelli del capitolo iniziale che sono destinati al macello ("Si mangia dunque tanta carne di cammello da queste parti?" domandai. Tentavo di mascherare la mia costernazione con domande concrete. "Moltissima" o l'asino scheletrico ('La voglia dell'asino') che viene maltrattato in continuazione che, pur essendo in procinto di schiantare, mostra un improvviso attaccamento alla vita con una gagliarda erezione.
Gli uomini (uomini e donne) sono dignitosi e irreprensibili. Indimenticabile il ritratto del marabutto (secondo gli arabi una sorta di santone) che accetta l'elemosina e, qualunque cosa essa sia, la fa passare attraverso la bocca e la saliva ('La saliva del marabutto'), o quello della donna che bisbiglia frasi incomprensibile da una grata che solo il suggerimento di un bambino fa capire allo scrittore di essere in presenza di persona malata di testa ('La donna della grata').
Di fronte alle contraddizioni e alle violenze di un popolo non del tutto affine, ma non singolare ("Ma lei non sa" rispose lui "che per cinquanta franchi può avere una qualsiasi di quelle bambine? Per una cifra simile tutte indistintamente verrebbero subito con lei dietro l'angolo), Canetti preferisce lasciarsi ammaliare dagli odori e dalle voci di una etnia affascinante e misteriosa. Ecco dunque i resoconti del brulicare dei suk, delle grida dei ciechi (Colui che grida è definito dal suo grido, continuamente ripetuto. Ce lo imprimiamo nella mente, lo conosciamo, ora egli è qui per sempre; è lui, nella sua caratteristica nettamente circoscritta: il suo grido) o della monocorde sillaba diffusa da una sorta di presenza invisibile sotto un misero straccio che emetteva il suo unico suono con uno zelo e una costanza senza pari, lo emetteva per ore e ore fino a quando, nella piazza immensa non restava che quest'unico suono, il suono che sopravviveva a tutti gli altri suoni.
Il Marocco e Marrakech come non lo avete mai 'sentito'.
L'edizione da noi considerata è:
Elias Canetti
Le voci di Marrakech
Gli Adelphi 2009
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