DE FALSU CREDITU
Michel Hérisson
Il capolavoro
La Scimmia Edizioni, Piuma 13, Pag. 132 Euro 14,00
Pubblicare Hérisson è una dannazione più che un azzardo: in fondo perché violare le leggi che legano il genio all'incomprensione?
Kafka ha trasgredito tutto (per il gusto sardonico di essere punito, ovvio), meno l'obbligo metafisico che lo voleva misconosciuto e non pubblicato in vita. Pessoa idem. Svevo, che così poteva andare da Saba e vantarsi di essere, in compenso, molto ricco, da chi non è stato disprezzato? (pure Joyce, secondo me, lo ha aiutato per senso dell'ironia più che per stima). Potocki è stato pubblicato qualche secolo dopo la morte, esclusi vari tentativi di plagio. Solo dopo circa un trecento anni dalla morte (che, tra l'altro, si è svolta in maniera niente male) si è cominciato a leggere Petronio, ma solo gli ultimi capitoli. E che dire di Mario Gotti, il papà di Letteratura & Delinquenza, l'indimenticabile per chiunque ha palpato questi inediti nelle gattabuie di una casa editrice, l'autore di Brutta gente, Non si tocca, Mai abbastanza e del vertiginoso A modo mio che solo a trenta anni dal decesso (invidiabile) la premiata ditta Di Mino & Di Mino, Pietrogiacomi und Di Tullio, sta cercando di pubblicare?
Insomma, come si fa ed essere geni e compresi insieme?
Si può, perché le regole sono fatte appunto per essere messe alla prova dalle eccezioni: è questo è il caso di Hérisson: un genio assoluto, forse il più grande scrittore di tutti i tempi: forse il Genio.
Vale la pena di ripetere l'arcinota parabola della sua vicenda.
Parigi, 1947. A quindici anni tanto per essere precoce, Michel si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. La scelta non è sua, ma della famiglia. Si annoia molto e, così, si mette a scrivere. Non ha mai amato la letteratura, la poesia, o l'arte, ma, in quindici giorni secchi butta giù un centinaio di cartelle che abbandona sulla sua scrivania senza nemmeno dargli un titolo. Come nelle favole: passa la sorella, Marie: trova il malloppo e comincia a leggerlo. Si accorge che il fratello ha scritto un capolavoro. Cerca di convincerlo a pubblicarlo, ma Michel ha un caratteraccio, è un istrice: si arrabbia, insulta la sorella, si dichiara offeso.
In verità Marie non capirà mai bene il motivo di questo rifiuto, anche perché Michel ha un grave difetto di pronuncia che rende incomprensibile qualsiasi sua parola.
La ragazza decide di agire per conto suo: inventa un titolo, Il capolavoro e, senza neanche accludere i francobolli per la restituzione, spedisce il lavoro a l'Èdition de Minuit.
Dopo una settimana Michel riceva una telefonata: è Fìfi Gebert, dell'Èdition de Minuit, il padrone della letteratura francese in giorni di ricostruzione, che gli offre una somma spropositata per la pubblicazione del suo libro: il che non scosse minimamente Hérisson che prese a male parole Gerbert, il quale era, comunque, sordo: fra i due sarebbe nato, in un certo senso, un buon rapporto.
Il successo è immediato: pubblico, critica. I giornali lo vogliono, lo assediano. "per me è una maledizione" ha creduto di capire un giornalista durante una delle sue intraducibili dichiarazioni.
Sta di fatto che il suo secondo lavoro è una riedizione aggiornata de Il capolavoro.
È chiaro, ha detto Marcel Malin, o, almeno lo è ora, che lo scopo di Hérisson era di bruttare il suo capolavoro per farla finita con questa maledizione, e che la seconda edizione, con il taglio di tutti gli aggettivi, gli avverbi, le parole di non stretto uso comune e dei giri sintattici insoliti, era finalizzata ad appiattire l'opera. Via aggettivi e annessi, infatti, e la critica parlò di "vertigine dell'essenzialità". Il capolavoro è sempre più capolavoro.
Terza edizione. Michel ce la vuole mettere tutta: accorcia tutte le frasi, sgrammatica, svariona: è la fiera dell'anacoluto. La critica: apocalisse dell'espressionismo.
Alla quarta edizione Michel Hérisson è un uomo precocemente invecchiato, incattivito: taglia le frasi a caso (è il primo a farlo, con buona pace di Burroughs), le inverte, inserisce qui e lì numeri di telefono, insulti e confessioni intime. La critica: Oltre non si può. Il più grande capolavoro è anche l'ultimo
Hérisson muore suicida, vittima del suo genio, di quella bellezza inoccultabile e, soprattutto, vittima del fatto di essere stato compreso.
Kafka ha trasgredito tutto (per il gusto sardonico di essere punito, ovvio), meno l'obbligo metafisico che lo voleva misconosciuto e non pubblicato in vita. Pessoa idem. Svevo, che così poteva andare da Saba e vantarsi di essere, in compenso, molto ricco, da chi non è stato disprezzato? (pure Joyce, secondo me, lo ha aiutato per senso dell'ironia più che per stima). Potocki è stato pubblicato qualche secolo dopo la morte, esclusi vari tentativi di plagio. Solo dopo circa un trecento anni dalla morte (che, tra l'altro, si è svolta in maniera niente male) si è cominciato a leggere Petronio, ma solo gli ultimi capitoli. E che dire di Mario Gotti, il papà di Letteratura & Delinquenza, l'indimenticabile per chiunque ha palpato questi inediti nelle gattabuie di una casa editrice, l'autore di Brutta gente, Non si tocca, Mai abbastanza e del vertiginoso A modo mio che solo a trenta anni dal decesso (invidiabile) la premiata ditta Di Mino & Di Mino, Pietrogiacomi und Di Tullio, sta cercando di pubblicare?
Insomma, come si fa ed essere geni e compresi insieme?
Si può, perché le regole sono fatte appunto per essere messe alla prova dalle eccezioni: è questo è il caso di Hérisson: un genio assoluto, forse il più grande scrittore di tutti i tempi: forse il Genio.
Vale la pena di ripetere l'arcinota parabola della sua vicenda.
Parigi, 1947. A quindici anni tanto per essere precoce, Michel si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. La scelta non è sua, ma della famiglia. Si annoia molto e, così, si mette a scrivere. Non ha mai amato la letteratura, la poesia, o l'arte, ma, in quindici giorni secchi butta giù un centinaio di cartelle che abbandona sulla sua scrivania senza nemmeno dargli un titolo. Come nelle favole: passa la sorella, Marie: trova il malloppo e comincia a leggerlo. Si accorge che il fratello ha scritto un capolavoro. Cerca di convincerlo a pubblicarlo, ma Michel ha un caratteraccio, è un istrice: si arrabbia, insulta la sorella, si dichiara offeso.
In verità Marie non capirà mai bene il motivo di questo rifiuto, anche perché Michel ha un grave difetto di pronuncia che rende incomprensibile qualsiasi sua parola.
La ragazza decide di agire per conto suo: inventa un titolo, Il capolavoro e, senza neanche accludere i francobolli per la restituzione, spedisce il lavoro a l'Èdition de Minuit.
Dopo una settimana Michel riceva una telefonata: è Fìfi Gebert, dell'Èdition de Minuit, il padrone della letteratura francese in giorni di ricostruzione, che gli offre una somma spropositata per la pubblicazione del suo libro: il che non scosse minimamente Hérisson che prese a male parole Gerbert, il quale era, comunque, sordo: fra i due sarebbe nato, in un certo senso, un buon rapporto.
Il successo è immediato: pubblico, critica. I giornali lo vogliono, lo assediano. "per me è una maledizione" ha creduto di capire un giornalista durante una delle sue intraducibili dichiarazioni.
Sta di fatto che il suo secondo lavoro è una riedizione aggiornata de Il capolavoro.
È chiaro, ha detto Marcel Malin, o, almeno lo è ora, che lo scopo di Hérisson era di bruttare il suo capolavoro per farla finita con questa maledizione, e che la seconda edizione, con il taglio di tutti gli aggettivi, gli avverbi, le parole di non stretto uso comune e dei giri sintattici insoliti, era finalizzata ad appiattire l'opera. Via aggettivi e annessi, infatti, e la critica parlò di "vertigine dell'essenzialità". Il capolavoro è sempre più capolavoro.
Terza edizione. Michel ce la vuole mettere tutta: accorcia tutte le frasi, sgrammatica, svariona: è la fiera dell'anacoluto. La critica: apocalisse dell'espressionismo.
Alla quarta edizione Michel Hérisson è un uomo precocemente invecchiato, incattivito: taglia le frasi a caso (è il primo a farlo, con buona pace di Burroughs), le inverte, inserisce qui e lì numeri di telefono, insulti e confessioni intime. La critica: Oltre non si può. Il più grande capolavoro è anche l'ultimo
Hérisson muore suicida, vittima del suo genio, di quella bellezza inoccultabile e, soprattutto, vittima del fatto di essere stato compreso.
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